LA MUMMIA, QUESTA SCONOSCIUTA!
Quand’ero ragazzino mio padre possedeva il più grande cinema della città. Facevo in fretta i compiti e mi precipitavo nel cinema a gustarmi due o tre volte il film che si proiettavano. La prima volta mi limitavo a guardare il film, la seconda mi sforzavo di trovarvi difetti o anacronismi, la terza mi divertivo a osservare il pubblico, specie quando i film erano particolari. I miei preferiti erano i film dell’orrore, che guardavo dietro uno dei pesanti tendaggi delle porte d’accesso ai corridoi. Guardai La Mummia, quella in bianco e nero, sempre in piedi. Ogni volta che c’era una scena paurosa nascondevo il viso dietro il tendaggio. Ma il risultato era peggiore: le urla dello sventurato di turno le sentivo e mi facevano rabbrividire.
La mummia era, in ordine di terrore, la seconda, dopo il vampiro naturalmente. Mi affascinava la storia del morto che torna in vita per vendetta e che scagliava anatemi contro chiunque osasse disturbare il suo sonno. Era unica, per me. Immaginate quindi la mia sorpresa e delusione quando mi resi conto che di mummie ce ne erano tantissime e non tutte avvolte nelle tradizionali bende. Non solo, ma la mia delusione rasentò lo choc quando appresi che nell’antico Egitto venivano mummificati anche gli animali e che avevano trovato tanti di quei gatti mummificati da usarli come concime.
La mummificazione è anche un processo naturale. Se artificiale, è un trattamento di disidratazione tendente a evitare che il cadavere si decomponga e a favorire la sua conservazione. Insomma, si liofilizzavano i cadaveri. La mummificazione è stata praticata sin dai tempi più remoti da molti popoli, e raggiunse il massimo della raffinatezza presso gli egiziani. Nel trattamento del cadavere si aveva lo scopo di conservare interamente il suo corpo cercando di mantenerne l’aspetto naturale: quando l’anima sarebbe tornata avrebbe dovuto ritrovare la sua dimora abituale. Per questo, tra l’altro, si trattava il corpo con natron e asfalto e si avvolgevano tutte le sue parti con lino (curioso come il lino sia stata la stoffa dei morti, si pensi anche ai sudari). Non è il caso di entrare nei particolari, ma basti dire che tra gli altri procedimenti c’era quello di estrarre il cervello a pezzi attraverso le narici per evitare di rompere il cranio.
Forse da questo è derivato il fatto che mettersi le dita nel naso sia un atto sconveniente in pubblico. Specie se lo si fa davanti a un egittologo. Vedendovi tirar fuori qualcosa dal naso il suo commento potrebbe essere: “Santo cielo, è tutto lì il cervello?” e se vi dovesse veder tentare disperatamente di liberarvi del viscido piccolo fardello certo potrebbe aggiungere: “E lo si butta pure via!“.
In un interessante articolo su Focus vengono indicate le numerose mummie disseminate nel globo terraqueo, dagli Incas alle catacombe del Convento dei Cappuccini a Palermo, dove, come macabro scherzo, spedisco tutti gli amici che vanno in quella città osannando le meravigliose catacombe e senza dir loro che si troveranno di fronte ad una serie interminabile di cadaveri mummificati appesi al muro in pose da foto di gruppo e sorrisi non proprio smaglianti (mi sono sempre chiesto cosa avessero gli scheletri da sorridere tanto!). Come pure si può parlare di mummificazione nei processi che subiscono gli incorruttibili, quei corpi di santi che dopo la morte non imputridiscono. Mummie sono quelle delle torbiere, come l’uomo di Tollund, mummia è l’uomo di Similaun, tanto conteso tra due nazioni, mummia è quella trovata in Cina, nello Xinjiang (di un cinese curiosamente biondo). Mummie sono quelle trovare in Perù, che si conservavano principalmente per il clima secco. Mummia straordinariamente conservata era quella della fanciulla romana, scoperta in un sarcofago negli scavi della via Appia, che presentava un corpo assolutamente intatto. Era tanto bello che la sua nudità eccitò macabramente la fantasia del narratore, l’umanista fiorentino Bartolomeo Fonti. Raccontando la scoperta per lettera al suo concittadino Francesco Sassetti tra l’altro scriveva “Il dorso, i fianchi e il deretano, invece, avevano conservato i loro contorni e le forme meravigliose, così come le cosce e le gambe che in vita avevano sicuramente presentato pregi anche maggiori del viso.”
Ma il campo diverrebbe troppo vasto, per cui ci si limiterà alle sole mummie egiziane.
Nell’antico Egitto tutti desideravano essere mummificati per poter ritrovare il proprio corpo così come l’avevano lasciato. Ma il procedimento era costoso e certo non tutti potevano permetterselo. Vi erano quelli che finivano sepolti in un deposito cumulativo o semplicemente sotto un paio di metri di sabbia. Allora si fabbricavano piccoli fantocci di legno simili alle mummie, li si metteva in piccole casse a forma di sarcofago, vi si dipingeva sopra il nome del morto, lo si avvolgeva in un pezzo di lino e lo si seppelliva nottetempo davanti all’ingresso di un grande sepolcro, con la speranza che il defunto, per via della effigie in legno e della vicinanza al grande sepolcro, godesse delle briciole della felicità dei defunti sepolti in pompa magna. Non si scordi che in quel popolo, la forma della mummia equivaleva a qualcosa di miracoloso e di santo.
Si era partiti col film La Mummia, del quale La Mummia (1999), La Mummia 2 (2001) e ancora il recentissimo La Mummia (2017) sono soltanto brutte imitazioni in forma di confuso fumettone ipertecnologico, e si parlava di maledizioni, ma cosa c’è di vero nella maledizione dei faraoni?
Non sono un esperto ma a furia di leggerne e sentirne di tutti i colori sull’argomento ho sposato l’idea degli scettici che vogliono la maledizione del faraone come un estremo (ingenuo?) tentativo di proteggere la propria tomba dai saccheggiatori.
Le maledizioni in genere non sono mai state prese troppo sul serio. Wallis Budge, meglio conosciuto in Egitto come Abu Arra’wus, Padre dei teschi, trafugò migliaia di reperti preziosissimi acquistati dai tombaroli egiziani e morì alla veneranda età di 77 anni. Né preoccupavano gli stessi tombaroli che aprivano le tombe, derubavano i dormienti (che al contrario della mummia cinematografica continuavano a ronfare) e richiudevano le tombe in maniera così perfetta che nessuno si accorgeva in seguito dell’effrazione. Non preoccupò il padovano Giovanni Belzoni, quando entrò per primo in un cunicolo strettissimo che, come uno scivolo, lo portò in mezzo a centinaia di mummie, ovunque si girasse si trovava faccia a faccia con cadaveri ghignanti, o quando scoprì la tomba di Seti I, ricavandone un bel gruzzolo. Tutto vero. Eppure…
Quel pomeriggio è particolarmente afoso. Il museo del Cairo è affollato di gente che vuole vedere la mummia di Ramesse II e si accalca intorno alla grande cassa di vetro che contiene le spoglie mortali del faraone appena scoperte.
All’improvviso si ode il rumore di vetri infranti. Davanti agli occhi di decine di visitatori la mummia, distesa nel suo sarcofago, si solleva, mettendosi come seduto, gira il capo verso nord spalancando la bocca in un grido silenzioso ma agghiacciante e allarga le braccia mandando in frantumi il vetro.
Il panico fece diverse vittime, molti dei visitatori furono travolti dalla calca in fuga finendo in ospedale. Gli scienziati però non si sorpresero poi molto, il movimento era dovuto al clima umido e caldo del museo molto diverso da quello freddo e secco della tomba di Ramesse II (che si ripeté molto tempo dopo muovendo un braccio appena sbendato). Ma fedeli al detto: non ci credo, ma è vero, la mummia fu riposta in un luogo non aperto al pubblico col viso rivolto a nord.
Che alcuni scopritori di tombe fecero una brutta fine non lo si può negare. Prima si è parlato di Belzoni. Ebbene, tornato in Africa nel 1823 vi morì il 3 dicembre a causa di un male oscuro. Si incolpò subito la maledizione dei faraoni, ma i mali africani erano tanti e, in quel tempo, ancora tanto sconosciuti. Numerosi archeologi fecero una brutta fine, ma a volte si ha l’impressione che le morti siano forzatamente strane, come quella di Richard Lepsius. L’archeologo tedesco che aveva trasportato a Berlino interi sepolcri della Valle dei Re, morì molto anziano di una strana paralisi secondo alcuni o di tumore secondo altri. Sono centinaia a morire anziani di strane paralisi o di tumore e la maggior parte di loro forse ha pensato alla propria moglie sentendo parlare di mummie. Eppure James Henry Breasted morì abbastanza giovane colpito dalla (stessa?) strana paralisi. Identica sorte toccò al famosissimo Jean-Francois Champollion, l’interprete della stele di Rosetta, che morì a 42 anni durante una spedizione in Egitto.
Il massimo della curiosità riguarda l’affondamento del Titanic. Pare che nelle stive del transatlantico ci fosse la mummia di una veggente vissuta ai tempi di Amenofi IV che lord Canterville voleva portarsi in America. La mummia aveva indosso ancora i suoi amuleti e su uno di questi c’era la seguente iscrizione: “Svegliati dal sonno in cui sei sprofondata. Lo sguardo dei tuoi occhi trionferà su tutto ciò che sarà intrapreso contro di te.” Certo, la veggente può essersi svegliata durante il viaggio e aver scagliato anatemi contro tutto e tutti (si viaggia scomodi nella stiva), ma cosa potevano saperne gli antichi egizi degli iceberg?
Sir Leonard Woolley scoprì in Ur sedici tombe reali e 450 tombe comuni, impiegando centoquaranta operai. Eseguì altri scavi in zone pericolose e partecipò alla Seconda Guerra Mondiale uscendone indenne e terminando la sua vita a quasi ottant’anni. Ma l’esempio più eclatante, quello per antonomasia, della maledizione della mummia fu relativo alla scoperta da parte di Carter della tomba di Tutankhamon.
Il 17 febbraio 1923 nella stanza interna del sepolcro di Tutankamon entrarono in venti, Carter, lord Carnarvon, il magnate che sponsorizzava gli scavi, sua figlia Lady Evelyn e altri diciassette tra cui alte autorità egiziane. Il primo a morire fu proprio lord Carnarvon che cominciò a star male alla fine di febbraio per peggiorare rapidamente e spirare il 4 aprile all’età di 57 anni in un albergo del Cairo. Era pochino per parlare di maledizione ma il panico cominciò a diffondersi quando quello stesso anno, due dei partecipanti agli scavi morirono. Il primo fu un archeologo americano, Arthur C. Mace, che era stato con Carter quando avevano aperto la tomba. Poco dopo la morte di Carnarvon, cadde in uno stato di esaurimento che lo portò rapidamente al coma e alla morte senza che i medici ne capissero la ragione. Fulminante fu la morte di Geroge Jay-Gould, amico di lord Carnarvon che era venuto dagli Stati Uniti per vedere di persona la scoperta. Il giorno dopo la visita fu colto da un violentissimo attacco di febbre e la sera stessa morì. Toccò poi all’inglese Joel Woolf a morire colpito dall’identica febbre. Nel 1924, l’anno seguente la scoperta, muore il radiologo Archibald Douglas Reed, che aveva tolto le bende alla mummia del faraone e ne aveva radiografato il cadavere. Nel 1929 muore lady Almina, moglie di lord Carcarvon. Si parla di puntura di insetto, ma la morte fu inspiegabile. Nello stesso anno scompare Richard Bethell, un quarantacinquenne assistente di Carter.
Lo studioso Philipp Vanderberg afferma che in pochi anni delle venti persone presenti all’apertura della tomba ben 13 morirono e nello stesso periodo ne morirono altre 9 legate alla tomba di Tutankhamon. In tutto 22. A scorrere la lista a volte il collegamento pare forzato, considerando che alcuni decessi furono apparentemente naturali, ma resta il fatto che molte delle morti furono inspiegabili.
È però tempo di chiudere e nel farlo vorrei rammentare a tutti che il desiderio della vita eterna, o meglio, il desiderio di tornare in vita dopo anche migliaia di anni ha affascinato, sconvolto e, spesso, istupidito l’essere umano. L’uomo ha provato, con ogni mezzo, a conservare un corpo che, secondo la naturale propensione dell’intero nostro universo che si evolve verso la morte termica, tende a mutare procedendo verso la massima entropia, il massimo disordine, il caos. Gli egizi usavano l’imbalsamazione, altri popoli, strani unguenti e, nei tempi attuali, mille altri sistemi, come la formalina o sostanze simili che riescono a bloccare il processo degenerativo. Si è giunti persino alle tecniche criogeniche, quelle cioè che sfruttano la bassissima temperatura per conservare intatto il corpo o, spesso, soltanto la testa, di qualche ricco credulone che spende anche da morto un fiume di denaro nella presuntuosa certezza di poter essere in futuro richiamato in vita, futuro in cui le malattie e la vecchiaia saranno state sconfitte.
Nelle famose catacombe del Convento dei Cappuccini a Palermo, il pezzo forte è una bambina morta più di cinquant’anni fa e il cui viso, visibile dietro una bara di vetro, è appena un po’ pallido, null’altro, come fosse appena spirata. Lei dorme, ma è così ben conservata che non sorprenderebbe nessuno se da un momento all’altro aprisse i suoi occhioni, sbattesse le lunghe e intatte ciglia nere, e si alzasse guardandosi intorno in cerca del suo mondo nuovo, del suo meraviglioso mondo del futuro.
Ma io credo che una volta conosciuto questo nostro mondo tornerebbe di corsa nella sua bara traslucida e richiuderebbe gli occhi. Davvero per sempre.
Bibliografia
– La religione degli Egizi, di Adolfo Erman, Messaggerie Pontremolesi, traduzione dell’opera Die agyptische Religion, Berlino, 1905;
– Avventure archeologiche, di Philipp Vendenberg, Varia Club, 1982;
– Focus n°11, 1992 Gruner und Jahr-Mondadori SpA, Milano;
– Focus n° 86, dic.1999 ” ” ” ;
– Achab, il corriere dell’avventura, Bariletti Ed. n°54, 1997;
– Dimensione X, vv. nn° 3,4,5, EDIPEM, Novara 1983.
Donato Altomare
Nasce a Molfetta nel 1951. Narratore, saggista, poeta, ha vinto due volte il Premio Urania, il premio della critica Ernesto Vegetti e otto volte il Premio Italia. Autore del genere fantastico è stato pubblicato dalla maggior parte degli editori. Nel maggio 2013 è stato nominato Presidente della World SF Italia, l’associazione italiana degli operatori della fantascienza e del fantastico.