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IL VAMPIRO, QUESTO SCONOSCIUTO!

IL VAMPIRO, QUESTO SCONOSCIUTO!

Del resto mi pare ovvio che non si sappia poi molto sulla figura del Vampiro. Quanti hanno letto un vero saggio sul vampirismo? Quanti vanno oltre le scarne notizie che si acquisiscono saltuariamente (direi spesso a ondate sollevate dalla moda ricorrente, e non sempre veritiere) sui succhiasangue? Eppure il Vampiro ha la sua protostoria, ha antenati più o meno simili in quanto dalla notte dei tempi il sangue è stato la possibilità di vita eterna, che fa coppia con il cibo degli dei: la carne umana.

Non c’è poi molto da meravigliarsi se inciampiamo nella religione, non solo la nostra, che ci invita a mangiare il corpo di Cristo e a bere il sangue di Cristo (Freud docet). Per ottenere l’immortalità. Una metafora? Permettetemi di dubitarne. Ma perché poi, durante la messa, si dà da mangiare il corpo del Cristo ma non si dà da bere il Suo sangue? Come è stato appunto comandato? Forse perché l’antropofagia è meno blasfema del vampirismo? Se è stata utilizzata l’ostia in sostituzione del corpo, non poteva essere utilizzato qualcos’altro in sostituzione del sangue? Non so, una pralina al liquore. E non consideratemi irrispettoso in quanto l’ostia, base di molti dolci, sta al pane come una pralina al vino.

Ma sto andando fuori traccia.

Cos’è un Vampiro? È facile e difficile al contempo dare una risposta. Certo non è da confondere con gli spettri o i fantasmi, con i lupi mannari o le streghe (tra l’altro i Vampiri femmina sono una rarità).

Gordon Melton, massima autorità nel campo secondo Massimo Introvigne, definisce il Vampiro come: “un tipo particolare di revenant, una persona morta che è tornata alla vita e continua una forma di esistenza bevendo il sangue dei viventi“. Secondo lo stesso Introvigne, probabilmente il maggiore esperto italiano, il Vampiro ha quattro caratteristiche:

  1.  è una persona umana;
  2.  è una persona umana morta;
  3.  è una persona umana morta che appare col proprio corpo;
  4.  è una persona umana morta che appare col proprio corpo, ma attacca i viventi e si sostiene col loro sangue.

Da come Introvigne ce la racconta pare che i Vampiri esistano veramente! In senso metaforico (usurai, profittatori, politici ladroni, ecc.) ne siamo tutti convinti, in senso proprio del termine non saprei cosa pensare. È come per gli UFO, tutti quelli che non ci credono affermano che sarebbero pronti a ricredersi nel caso ne vedessero uno. Non penso però che la questione valga per il Vampiro. Almeno non per me in quanto io spero ardentemente di non vederne mai uno, morirei di paura tenuto conto della particolare attenzione con cui il succhiasangue guarderebbe il mio aspetto rubicondo.

Ma cosa significano le quattro caratteristiche? Prima di tutto che non si tratta, come detto, di forme astrali, di esseri eterei ed evanescenti. Il Vampiro,  parliamone come esistesse davvero, è (o era) un essere umano che muore, spesso le morti sono strane e particolari, e che risorge col proprio corpo per sopravvivere col sangue degli altri. Un’altra caratteristica è che spesso succhia sangue dalla gente a lui vicina, parenti stretti (moglie, figli, fratelli, amici o compaesani). La spiegazione parrebbe logica, poiché sono loro che addirittura sarebbero felici di rivedere in vita il congiunto o l’amico e gli permettono di avvicinarsi tanto… troppo. Ma potrebbe esserci anche un’altra spiegazione, il desiderio, conscio o inconscio non ci è dato di saperlo, di circoscrivere inizialmente a pochi il contagio, quasi a creare una casta, una popolazione notturna che pian piano, agendo sempre sul proprio microcosmo, tende ad allargarsi, dopo aver infettato la propria famiglia, il proprio quartiere, la propria città… e così via, sino a conquistare il mondo. Ma allora perché questo non accade?

Ma chi lo dice che non accade?

Per rassicurarvi, il Vampiro chiede alla sua potenziale vittima di farlo entrare in casa e se questa non l’invita cercherà di entrare in un’altra casa. Quindi se doveste trovarvi fuori casa un individuo piuttosto pallido, con un mantello nero e rosso, occhi infossati violacei e lunghi canini, che vi chiede educatamente di poter entrare a bere qualcosa, non c’è bisogno di andare in escandescenza e di precipitarsi a cercare aglio e croci o a chiamare il prete della vostra parrocchia, basta dirgli semplicemente di no. E quando insiste restate fermi e decisi. Se ne andrà via mogio mogio a capo basso, ma soltanto come estremo tentativo di farvi compassione.

I Vampiri non hanno altra possibilità se non quella di trasformare gli esseri umani normali in Vampiri bevendo il loro sangue e facendoli morire così da vederli rinascere Vampiri. E questo per la semplice ragione che i non-morti non possono riprodursi, non esistendo Vampiri-femmine in grado di procreare, e in genere l’unione di un Vampiro con una donna umana non può dar prole, anche se secondo alcuni un Vampiro può accoppiarsi con una zingara. Del resto le donne umane cercano di evitare rapporti intimi con i Vampiri principalmente per la loro mancanza di calore… E per l’alito.

Non è possibile affrontare in questa sede la protostoria, ci vorrebbero troppe pagine, basterà dire che la storia antica è costellata di avvenimenti strani. Persino Marco Polo ha segnalato personaggi simili al Vampiro e se ne parlava anche prima di Cristo. Si rammenti che nel passato il termine vampiro non esisteva, si utilizzava sanguisuga. Gli aneddoti che si raccontano, a volte confermati da insigni uomini di chiesa, sono tantissimi, hanno una matrice simile e portano quasi tutti alla stessa conclusione. In genere si tratta di individui crudeli, malvagi (omicidi, soldati o suicidi) che muoiono e che subito dopo ricompaiono prima ai loro cari poi agli altri e sopravvivono bevendo il loro sangue. La gente all’inizio è restia a parlarne, ma quando parecchi ci lasciano la pelle… pardon, il sangue, allora si arma di pale e coraggio, disseppellisce il morto che in genere si presenta tutt’altro che decomposto, ma roseo e ben in carne, con capelli e unghie cresciute anche più della norma. Gli si squarcia il petto per strappargli il cuore e il sangue esce a fiotti dal corpo del defunto. Il corpo viene, a preferenza, decuorato, decapitato, impalettato, deartato, deunghiato, sventrato e quasi sempre bruciato.

C’è un altro particolare che va detto prima di passare al Vampiro moderno. In nessuno di questi casi, e sono davvero centinaia descritti e riportati nei testi antichi, si fa riferimento ai canini aguzzi,  presunti tipici del Vampiro. Non si specifica quasi mai di come la sanguisuga succhi il sangue. Jean-Claude Aguerre ritiene che basta solo il contatto fisico per permettere al Vampiro di succhiare il sangue attraverso la pelle, insomma, pelle contro pelle, incartapecorita l’una e florida l’altra, per diventare subito florida l’una e incartapecorita l’altra.

Ma ora rullino i tamburi e squillino le trombe, ecco a voi il Vampiro moderno, il Vampiro per antonomasia, la sintesi delle figure non ben definite del passato e la creta per modellare il Vampiro del futuro. È lui, Dracula. Il Dracula di Bram Stoker.

Pare, ma non è certo, che Stoker si sia ispirato a un personaggio realmente esistente, Vlad III, detto l’Impalatore, altrimenti noto come Draculea, che in rumeno significa figlio del Diavolo. Vlad è vissuto intorno alla metà del quindicesimo secolo e ha governato la Valacchia. Di positivo di lui può dirsi che fece da argine contro l’invasione dei turchi che combatté ferocemente. Ed è tutto. Abbiamo poco spazio per parlare delle sue negatività. Tra queste c’era la sua predilezione a impalare i prigionieri e i suoi nemici senza distinzione di casta e credo. Era, insomma, il suo passatempo preferito, come dire, di… punta. Di lui si narra che impalò, tra una battaglia e l’altra, almeno 30.000 turchi e ne bruciò in una sola volta 6.000 in un rogo gigantesco. Morì miseramente in una scaramuccia proprio con alcuni turchi ai quali probabilmente era diventato antipatico. Stoker forse apprende che Vlad amava bere il sangue delle sue vittime credendo di acquisire maggior forza, e forse ne scorge l’immagine da qualche dipinto. Aggiunge al cocktail le leggende che da secoli coloravano di lugubre la vita quotidiana di quella gente, agita il tutto energicamente e tira fuori quel capolavoro che è stato letto da milioni di persone e ha ispirato migliaia di altri libri e centinaia di film. Ne sa qualcosa Bela Lugosi, forse più famoso Vampiro cinematografico, che entrò tanto nel personaggio che alla fine della sua vita si credette davvero un Vampiro (a pensarci bene il suo nome era poco appropriato, non doveva chiamarsi Bela Lugosi, sarebbe stato più consono non so… Ringhia Lugosi o Sibila Lugosi). E a proposito di nomi, sapete come si chiamava la prima attrice che impersonò una donna Vampiro? Bara, Theda Bara.

In quelle terre la cosa peggiore che poteva accadere a un morto, quando veniva portato fuori dalla sua casa nella bara, aveva a che fare con le galline. Se una di queste, naturalmente frequenti nell’aia, saltava sopra la bara invece che passarle di sotto non c’erano dubbi, il morto sarebbe diventato un Vampiro. Quindi la bara veniva aperta e nel petto dello sventurato (sia se morto-vivente o  se vivo-morente) veniva infisso un paletto appuntito. Per buona pace di eredi ed eventuali giovani mogli inconsolabili.

Pare, e l’unico che potrebbe confermare o smentire sarebbe soltanto Stoker, che lo scrittore fosse stato ispirato anche da un altro personaggio sanguinario (addirittura discendente del famigerato Vlad Tepes), la contessa ungherese Elizabeth Bathory, moglie di un generale e che viveva nei Carpazi. Era convinta che fare il bagno nel sangue di giovani fanciulle le preservasse la bellezza e la giovinezza. Così nottetempo, aiutata da una masnada di tagliagole, catturava giovani vergini e le portava nelle segrete del suo castello per stillarne il prezioso elisi di lunga vita. E giù un bel bagno ristoratore. Lei però è morta (murata in una prigione per le sue nefandezze), e questo significava o che il bagno di sangue non serviva a nulla, oppure anche allora il concetto di verginità era piuttosto elastico.

Solo un appunto. Anche in questa storia si parla di qualcuno, la contessa, che non succhia il sangue, ma che lo mette a contatto con la propria pelle, chissà, forse perché si era abituati a veder morire la gente col sangue che usciva dalla pelle, e quindi si pensava che si potesse prolungare la propria vita facendo entrare il sangue dalla pelle.

Ma perché i Vampiri escono di notte e temono la luce del giorno? Oggi la questione ci pare sin troppo ovvia, siamo stati così indottrinati dalle caratteristiche del Vampiro cinematografico che diamo quasi tutto per scontato. Ma provate a riflettere. Perché la notte? E perché la luce era per loro morte? Sulla notte la ragione pare ovvia, la notte è il buio, il buio è il massimo della paura, il buio che si identifica nella non conoscenza, e il Vampiro succhia il sangue-conoscenza che faticosamente l’essere umano acquisisce di giorno. Ciascuno di noi ha paura di ciò che non sa, e ciò che non sa è buio, e buio è la notte. E il Vampiro è la notte. Ma i non-morti possono far molta paura anche di giorno, basti rammentare il film La notte dei morti viventi. Il primo assalto a un vivo da parte di un resuscitato, alquanto affamato, avviene di giorno. Ma l’effetto-paura è lo stesso.

Secondo alcuni medici moderni, la paura della luce e il fatto di bere il sangue nasce da una malattia che nel medioevo ha colpito molte persone. A causa dei frequenti incroci tra consanguinei, spesso si scatenavano malattie genetiche. Una di queste, che colpiva in prevalenza i bambini, era la protoporfiria eritropoietica. Chi ne veniva colpito, a noi basterebbe soltanto il nome per farci star male, aveva una produzione eccessiva di porfirina, sostanza fondamentale per la produzione di globuli rossi. L’aspetto dei malati era tutt’altro che… da malati. L’individuo era rubicondo, con la pelle rosseggiante (si rammenti che i succhiasangue vengono trovati nella tomba rosei e ricchi di sangue), ma avevano anche rossi gli occhi e addirittura i denti. Avveniva poi un fenomeno particolare. Le gengive e il labbro superiore si ritiravano mettendo in mostra maggiormente i denti. E naturalmente quelli che spiccavano di più erano i canini (anche se il vero revenant aveva tutti i denti appuntiti e in grado di mordere). Ma il guaio maggiore era per la pelle che, se esposta ai raggi del sole, tendeva facilmente a spaccarsi e a sanguinare. Per cui i medici di allora non potevano far altro che consigliare di tenere i malati lontani dalla luce, di farli muovere solo di notte. E di alimentarli con sangue per compensare quello che perdevano dalle ferite. E così il Vampiro è servito.

Ogni paese ha il proprio Vampiro:

  • Navalli, vampiro di cultura precolombiana messicano;
  • Nosferat, vampiro-bambino nato morto da genitori illegittimi, una credenza molto diffusa in Romania;
  • Kiang-si, terribile vampiro cinese;
  • Sa-bdag, il mostro-vampiro della religione autoctona Bo del Tibet;
  • Blood-sucker, vampiro medioevale inglese;
  • Nschzehrer, vampiro-masticatore di sudari, diffuso in Germania e Francia;
  • Vieszcy, vampiro del romanticismo tedesco;

e in Serbia c’è persino il:

  • Dhampiro, figlio non vampiro di una zingara e di un vampiro.

Quest’ultimo è molto particolare in quanto dedica la sua vita a scoprire (li riesce a distinguere) i Vampiri e a ucciderli usando, mezzo insolito, il fucile o alcune formule magiche, ma il suo destino è segnato in quanto dopo la sua morte tornerà in vita proprio come Vampiro. E l’ex-Jugoslavia, come quasi tutti i paesi dell’est, è famosa per i suoi Vampiri. Basti solo rammentare la storia di Giure Grando.

Giure Grando era originario della cittadina di Coridigo. A un certo punto muore e viene sepolto. La sera stessa della sua tumulazione si presenta davanti alla porta della sua casa e supplica la moglie Ivana di farlo entrare, ma questa, spaventatissima, non lo fa entrare. Allora il non-morto comincia a tentare altri parenti e amici. E all’improvviso nella cittadina comincia una serie di decessi inspiegabili. L’incubo dura addirittura sedici anni, e il paese viene ridotto a un unico camposanto nel quale i pochi sopravvissuti si aggirano terrorizzati e incapaci di reagire. Fu il Valvassore locale che pose fine alla vicenda. Prima incuriosito e poi preoccupato delle strane voci che circolano nella zona, fa interrogare i sopravvissuti e alla fine si decide di riesumare Grando. La sorpresa è davvero grande quando si scopre la bara e si ritrova il corpo dell’uomo roseo e ben in carne, come semplicemente addormentato. Eppure era sepolto da sedici anni! Non ci si perse in chiacchiere, si infilò un paletto di rosa selvatica nel suo cuore, lo si decapitò e si bruciò il tutto. E le disgrazie per Coridigo cessarono.

Secondo alcuni studiosi, primo fra tutti P. W. Schmidt in Origine e storia delle religioni, il culto dei morti ha avuto origine proprio per impedire a essi un indesiderato ritorno, e questo ci spinge a credere che la cultura e la civiltà, la cui nascita si associa proprio al culto dei morti, abbia avuto origine nella preistoria per la semplice paura. Ciò ci rammenta che un uomo in pace e tranquillo non ha mai fatto neanche un passettino avanti nel progresso. Una buona scarica di adrenalina e l’umanità fa un altro passo in avanti.

Come già accennato, i bambini morti sono considerati probabili rivenienti, per cui in alcuni paesi si prendono particolari precauzioni, come a Coggiola di Vercelli dove c’era l’usanza di mettere tra le labbra di un bambino morto un fiore rosso (meglio una rosa). Al giorno d’oggi spesso si mette tra le mani del bambino nella bara un rosario che ha due significati, il primo quello della croce che impedirebbe in ogni caso al revenant di tornare come Vampiro, il secondo riguarda i grani del rosario che rappresentano le spine della rosa che un tempo venivano infisse nel cuore e nella testa del morto per neutralizzare il potenziale Vampiro in lui.

Alcuni popoli, come gli Sciti, più sbrigativamente, i potenziali revenant se li mangiavano non per acquisire, ragione prevalente nel cannibalismo, la forza e l’intelligenza del morto, ma per avere la certezza di non trovarseli davanti assetati di sangue umano.

Un altro aspetto concomitante è in genere l’uso di un fiore: la rosa. Una rosa rossa si metteva tra le labbra dei bambini morti, con le spine di rosa si trapassavano il cuore e la testa dei morti, i cadaveri sospetti venivano cosparsi di rami spinosi di rosa selvatica, e più d’ogni altra cosa, era preferibile realizzare il paletto da infiggere nel petto del Vampiro in buon legno di rosa selvatica. E non a caso la rosa è essenzialmente un simbolo di finalità, di perfezione, il fatto che sia selvatica forse può esser interpretato nel senso che soltanto con la natura alla stato spontaneo si può combattere e vincere il non-naturale.

Stoker non fu il primo a scrivere del Vampiro, la letteratura gotica ne è stata ricca. Un nome su tutti: Polidori, che scriveva Il Vampiro nel 1816 (ispirando tutt’oggi numerosi film). Leonard Wolf scriveva nei sui Appunti su Dracula che Polidori ha dato alla letteratura universale il prototipo del Vampiro moderno. Il classico nobiluomo solitario, brillante, gelido, ammaliatore, sin troppo distante dalla tradizione popolare che vedeva il revenant più come un mostro assetato di sangue che un annoiato e piatto e banale Vampiro-gentiluomo. Certo, pensate un po’ a quella che dovrebbe essere la vita di un vampiro. Tutto il giorno in una bara, non sempre comoda, spesso con, per materasso, terra della sua terra, senza il piacere della visione di un tramonto, di una splendida giornata di sole o di una tremenda tempesta, e poi svegliarsi ogni volta a mezzanotte in punto, senza poter sgarrare, magari avendo voglia di poltrire qualche ora in più, e ancora alla ricerca di nettare, con tutti che non ti possono vedere, che ti danno appresso, con i cani che abbaiano e ti mordono, con il fatto che devi sempre muoverti in silenzio nelle zone impervie (non sarebbe immaginabile un vampiro che entri in casa dalla porta principale suonando e chiedendo della tale signorina). E poi il vitto… sempre lo stesso, mai nulla di solido nello stomaco, neanche una bistecca per una volta ben cotta e non al sangue.

Quello che poi mi sono spesso chiesto è che, se ai Vampiri crescono molto unghie e capelli, crescerà anche la barba, ma come diavolo possono radersi se gli specchi non rimandano la loro immagine? Forse per tutte queste ragioni sono sempre così tristi e poco socievoli.

Poi sul simbolo della croce per fermare i Vampiri ci sarebbe da riflettere.

Nell’antichità i suicidi venivano sepolti non in terra consacrata di un cimitero, ma fuori, all’incrocio di due strade, e sopra la loro tomba veniva infissa una gigantesca croce per impedire loro di tornare, poiché anche i suicidi erano aspiranti Vampiri. Sicché con la croce gli si impediva il ritorno. Mi viene in mente il film comico sui Vampiri di Roman Polanski Per favore, non mordermi sul collo!, del 1967 in cui uno dei Vampiri era ebreo e a lui la croce non faceva alcun effetto.

Ma è tempo di concludere. Forse è tutta una sciocchezza, la storia dei Vampiri, forse c’è un fondamento di verità scientifica o semplicemente ci si vuol credere perché nel Vampiro si concretizzano le paure ancestrali e il male e il desiderio di vita eterna. Ma la vita eterna è davvero un sogno? E’ davvero la meta a cui tutti agogniamo?

Il regista Herzog che forse per primo ha visto il Vampiro come un personaggio drammatico il cui dramma è proprio quello di essere eterno, afferma che: “(…) La morte non è il peggiore dei mali; ci sono cose ben più terribili. Il tempo è un abisso, profondo come mille notti. I secoli vanno e vengono. Non poter invecchiare è terribile. Puoi immaginare che si possa durare per secoli, e che si rivivranno tutti i giorni le stesse  futilità?

Forse è questo dramma che lega il Vampiro a noi, che ce lo fa odiare e amare, che ci fa gioire quando viene sconfitto… per noi… per lui.

Ma che lascia in tutti noi la certezza e il timore di un eterno ritorno.

Bibliografia

– M. Introvigne LA STIRPE DI DRACULA, ed.Arnoldo Mondadori, Milano, 1997
– J. E. Cirlot, DIZIONARIO DEI SIMBOLI, Ed. CDE, Milano 1986
– AA.VV. DIMENSIONE X, ed. EDIPEM, Novara, 1982
– AA.VV. NEL MONDO DELL’INCREDIBILE, ed. Selezione dal Reader’s Digest, Milano, 1980

 

Donato Altomare
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Nasce a Molfetta nel 1951. Narratore, saggista, poeta, ha vinto due volte il Premio Urania, il premio della critica Ernesto Vegetti e otto volte il Premio Italia. Autore del genere fantastico è stato pubblicato dalla maggior parte degli editori. Nel maggio 2013 è stato nominato Presidente della World SF Italia, l’associazione italiana degli operatori della fantascienza e del fantastico.

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