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IL MONDO DEL SOGNO AUSTRALIANO (2): OLTRE HANGING ROCK

IL MONDO DEL SOGNO AUSTRALIANO (2): OLTRE HANGING ROCK

Seconda parte

Picnic a Hanging Rock, di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, fu uno dei più fulgidi rappresentanti della New Wave del cinema australiano, quella stagione tra la prima metà degli anni Settanta e la seconda degli Ottanta molto fervida dell’industria cinematografica degli antipodi. Il regista Peter Weir, uno dei principali protagonisti di questo cambiamento, aveva esordito alla regia nel 1974 con Le macchine che distrussero Parigi (The Cars that Ate Paris), film che era stato d’ispirazione per Interceptor (Mad Max, 1979). Questo film, diretto da George Miller, darà origine a una saga cinematografica dove ancora una volta l’Outback australiano che dovrebbe fare da sfondo alla vicenda, ne diventa una parte integrante.

L'ultima onda, cinema australianoNel 1977 Weir torna a riproporre il tema della contrapposizione di culture, questa volta non più col modello vittoriano ma col moderno uomo australiano, nel film L’ultima onda (The Last Wave). Richard Chamberlain interpreta un avvocato di Sidney alle prese con una profezia che parla di una prossima fine del mondo causata da una gigantesca onda. Stregoni aborigeni e il loro mondo del sogno, piogge di rane, pietre magiche e altri avvenimenti misteriosi; anche qui prevalgono le emozioni del mistero: angoscia e inquietudine. il paesaggio australiano e il suo impenetrabile popolo aborigeno, riescono a trasmettere a un osservatore occidentale.

Il primo film con attori aborigeni e che mostrava la loro difficile integrazione con i bianchi fu Jedda (1955) di Charles Chauvel. La pellicola è considerata una delle più importanti e influenti per lo sviluppo della cinematografia australiana e fu anche la prima girata a colori nel continente. Ma la vera ondata di film che esplorarono la natura mistica della cultura aborigena e il rigido panorama dell’Outback australiano aveva avuto inizio nel 1971 con L’inizio del cammino (Walkabout) del regista Nicolas Roeg. Ipnotico, viscerale ed elegiaco, non privo di scene abbastanza dure, il film rappresenta una meditazione, sotto forma di racconto allegorico, sull’incontro/scontro tra due civiltà apparentemente inconciliabili. I titoli di testa recitano:

In Australia, quando un aborigeno compie 16 anni, viene mandato nel deserto. Per mesi dovrà vivere solo con il deserto. Dormire nel deserto. Mangiarne i frutti e la selvaggina. Sopravvivere. Anche se questo significa uccidere i suoi amici animali. Gli aborigeni lo chiamano Walkabout.
Questa è la storia di un Walkabout.”

L'inizio del cammino, cinema australianoQuesta volta a compiere la sorta di rituale di passaggio citato nel titolo originale, oltre che un ragazzo aborigeno, saranno due bambini bianchi abbandonati nel deserto australiano dal padre suicida. Per loro inizia un lungo viaggio che li porterà a lottare per la sopravvivenza e a esplorare il lato più selvaggio, inospitale e oscuro dell’Australia e della loro personalità ancora in evoluzione.

L'australianoAndando avanti, dopo i citati Picnic a Hanging Rock e L’ultima Onda, restando nel novero dei film fantastici, arriviamo a L’australiano (The Shout, 1978), sconcertante e ambiguo film britannico diretto dal polacco Jerzy Skolimowski con Susannah York, John Hurt e John Bates. È la storia di un uomo che può uccidere con un grido, un’abilità che ha imparato vivendo con gli aborigeni australiani. Sembra che alcuni sciamani, infatti, abbiano questo potere capace di eliminare ogni forma di vita nel raggio di chilometri, ma questa forza soprannaturale è solo una parte di un surreale puzzle psicologico del protagonista. Il film, inoltre, è completamente ambientato in Inghilterra e l’Australia vi è solo accennata, ma lo citiamo perché lancia comunque uno sguardo nella sua intricata cultura.

Long WeekendCon Long Weekend (1978), di Colin Eggleston, a ergersi protagonista non il popolo aborigeno e la loro cultura, ma l’intera flora e fauna australiana. Si tratta infatti di un eco-vengeance: una coppia va in campeggio per il fine settimana in una remota spiaggia australiana. Giunti sul posto, dimostrano un assoluto disprezzo per l’ambiente inquinando, uccidendo animali e appiccando fuochi. La natura non ci sta e inizia la sua lenta e logorante vendetta. Non certo un soggetto originale ma interessante nella messa in scena, capace di creare un’atmosfera di angoscia, di attesa e sospensione temporale che in qualche modo richiama quella di Picnic a Hanging Rock. Come nel film di Weir, infatti, ancora una volta è l’anima stessa del continente a scontrarsi con un corpo estraneo da debellare: l’irrispettoso invasore bianco.
Il film ha avuto un remake omonimo nel 2008 diretto da Jamie Blanks.

Dove sognano le formiche verdi, cinema australianoNon è un film fantastico e neanche un film di produzione completamente australiana ma Dove sognano le formiche verdi (Wo die grünen Ameisen träumen, 1984), del regista tedesco Werner Herzog va comunque menzionato per la rilevanza che assume l’ancestrale mitologia del popolo aborigeno, soprattutto quella legata al mondo del sogno. L’area desertica dove le formiche verdi sognano è infatti un posto sacro per i nativi e la sua distruzione, secondo una loro leggenda, può avere come conseguenza la distruzione dell’umanità. Il film racconta la lotta tra un gruppo di aborigeni e una compagnia mineraria che intende sconvolgere la zona in cerca di prezioso uranio. Viene da sé che la distruzione di questo posto, pieno di miti e tradizioni, rappresenta metaforicamente un altro tassello nel sistematico annullamento di una cultura diversa da quella occidentale che da sempre vive in armonia con gli elementi naturali circostanti, per quanto possano apparire inospitali.

Il mistero del lago scuroDi ben altro tenore è invece Il mistero del lago scuro (Frog Dreaming, 1986) di Brian Trenchard-Smith, un apparentemente innocuo e leggero film d’avventura per ragazzi come solo gli anni Ottanta sapevano sfornare, che però esplora alcuni aspetti non secondari della cultura aborigena. La storia parla di un ragazzo che cerca di scoprire il mistero di un piccolo lago dalle acque torbide che si crede abitato da un Bunyip, una creatura della mitologia aborigena che vive nascosta nelle pozze d’acqua del continente. Tra stregoni, Kurdaitcha, sorta di versione aborigena dell’uomo nero, sogni e visioni, il mistero sarà alla fine svelato ma l’avventura vissuta lascerà nel giovane protagonista la consapevolezza che la realtà visibile è solo una parte di qualcosa di più grande.

Oltre ai film con elementi fantastici citati sopra, sull’argomento, cioè sulla contrapposizione tra l’uomo moderno e il mondo del sogno australiano, ne ricordiamo altri che, come L’inizio del cammino e Dove sognano le formiche verdi, hanno un impianto decisamente realistico.

Storm Boy (1976) di Henri Safran, per esempio, parla dell’amicizia tra un ragazzo australiano e uno aborigeno, accomunati dalla passione per i pellicani. Yolngu Boy (2001) di Stephen Johnson, rivolge invece l’attenzione ancora sul rito di passaggio del Walkabout già visto nel film di Roeg.

La generazione rubata (Rabbit-Proof Fence, 2002) di Phillip Noyce, è incentrato sulla pratica di integrazione messa in atto dal governo australiano fino alla metà circa del secolo scorso che allontanava forzatamente dalle loro famiglie i bambini aborigeni, soprattutto se meticci, per farli crescere secondo lo stile di vita occidentale. L’argomento è alla base anche di Australia, kolossal del 2008 diretto da Baz Luhrmann.

La generazione rubata

Negli ultimi decenni, un regista in particolare ha raccontato la vita del popolo aborigeno: Rolf de Heer. In The Tracker (2002), all’inizio del secolo scorso un poliziotto razzista usa l’abilità di un cacciatore di piste indigeno per inseguire un assassino. 10 canoe (Ten Canoes, 2006), diretto insieme all’attore aborigeno Peter Djigirr, è invece il primo film completamente girato in lingua aborigena. Charlie’s Country (2013) racconta infine il ritorno alle origini di un anziano aborigeno occidentalizzato.

Chiudiamo questo rapido e incompleto viaggio nel cuore di un continente agli antipodi dal nostro, non solo geograficamente, citando Wolf Creek, film del 2004 diretto da Greg McLean. A prima vista si tratta del classico horror con serial killer come ne esistono a centinaia, sullo stile di Le colline hanno gli occhi o Non aprite quella porta, ma con alcune caratteristiche che lo fanno invece apprezzare anche ai non amanti del genere. Intanto il protagonista è John Jarratt, uno degli attori di Picnic a Hanging Rock, qui nelle vesti di uno spietato assassino. La prima parte del film, supportata da una magistrale fotografia, è un lento inoltrarsi nella straniante e misteriosa bellezza dell’atavico e selvaggio paesaggio australiano. Peccato che nella seconda ceda alla tentazione di abbandonarsi ai più beceri effettacci splatter, assolutamente gratuiti ai fini del mantenimento della tensione fin lì accumulata.

Wolf Creek, cinema australiano

Roberto Azzara
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(Caltagirone, 1970). Grande appassionato di cinema fantastico, all'età di sette anni vide in un semivuoto cinema di paese il capolavoro di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”. Seme che è da poco germogliato con la pubblicazione del saggio “La fantascienza cinematografia-La seconda età dell’oro”, suo esordio editoriale. Vive e lavora a Pavia dove, tra le altre cose, gestisce il gruppo Facebook “La biblioteca del cinefilo”, dedicato alle pubblicazioni, cartacee e digitali, che parlano di cinema.

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