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Il burlone

Il burlone

Mondi Passati – Vintage

 

Mona Farnsworth è lo pseudonimo di Muriel Newhall (1904-1981). Nativa del Massachusetts, cominciò la sua carriera di scrittrice pulp negli anni ’30, pubblicando sulle riviste specialistiche dell’epoca racconti quasi di ogni genere, spaziando dall’horror, al western, al noir, al rosa, genere quest’ultimo in cui andò specializzandosi negli anni ’50. Il suo esordio nella narrativa lunga risale al 1970, quando pubblicò il romanzo The Evil that Waited, il primo di una serie di 14 romanzi etichettati come gothic, che nel gergo del pulp americano indica una specie di incrocio fra l’horror e il rosa. Il suo ultimo romanzo è The Menace of Marble Hill (1977). Tutta la sua opera è inedita in Italia.

Racconto di Mona Farnsworth

(The Joker, Unknown, luglio 1939)
Traduzione di Mario Luca Moretti

 

La prima volta che l’uomo entrò nell’ufficio di Peter, sedette nell’anticamera proprio come qualunque altro paziente. Dovette aspettare un po’ e rimase seduto tranquillo, le lunghe mani sottili intrecciate, un magro ginocchio gettato sopra l’altro.

Finalmente l’infermiera lo fece entrare e Peter, da dietro la sua scintillante scrivania, gli indicò una poltrona.

L’uomo sedette. La poltrona scricchiolò un po’, e Peter pensò ancora una volta che doveva comprarne una nuova. Poi smise di pensare alla sedia. Mosse la testa e guardò l’uomo seduto.

La grigia luce del nord gli colpì in pieno il volto, e così Peter poté vedere il turbamento dei suoi occhi azzurri slavati, e le sottili rughe di tensione che tiravano la bocca.

Così Peter cominciò a parlare, come deve fare ogni buon psichiatra, gentilmente, del più e del meno; argomenti futili che portavano qui e là, cercando di farsi un’idea del paziente. Ma ben presto il paziente alzò una mano.

“Questo non è importante,” disse irritato. “Non si tratta di niente del genere. È solo che  – Be’, vedete, il mio nome è Jonathan Doane. Sono un fantasma…” E scomparve.

Peter rimase immobile. Sapeva di cosa si trattava. Bill Brady ne stava combinando una delle sue.

Diamine se Bill sapeva essere divertente. E la sua passione per gli scherzi toccava il fanatismo.

Questa era la ragione principale per cui Peter non aveva voluto condividere un ufficio con lui, all’inizio.

Lavorare con un baraccone di Coney Island era un po’ troppo – aprivi un cassetto e e sbucava la testa di un serpente di gomma; facevi per prendere  l’agenda e quella schizzava via tirata da un elastico ben piazzato. Questo genere di cose, pensava Peter, alla lunga stancano.

Per il resto Peter era un brav’uomo.

Era giovane, ma aveva già dimostrato il suo valore. Aveva scritto un libro sull’eterno mistero – l’Uomo – che chiunque altro più anziano sarebbe stato orgoglioso di aver firmato.

E il pamphlet di Bill dal titolo Che cosa motiva il subconscio dell’Uomo? era uno studio importante.

Così Peter, dopo aver considerato la cosa sotto tutti gli aspetti, aveva deciso di condividere lo studio con lui.

Questo era il risultato. Bill gli aveva rifilato un fantasma. Solo: come diavolo aveva fatto a far svanire quell’uomo?

Era – o era stato – un uomo molto ben solido; e sostanzioso. Eppure…

Il pensiero di un trucco a base di raggi ultravioletti attraversò la mente di Peter. Tamburellò sulla scrivania e lo prese in considerazione, gli occhi fissi sulla poltrona all’apparenza vuota.

Si poteva fare, certo.

Bill doveva aver nascosto qualche aggeggio nel suo ufficio – il che significava che Bill lo aveva guardato per tutto il tempo e probabilmente stava ancora osservando lui e il delizioso effetto del suo ultimo trucco con grande spasso.

Peter si alzò dalla sua poltrona. Con grande nonchalance camminò dietro il separé e finse di lavarsi le mani. Ritornò e camminò per la stanza gingillandosi oziosamente. Ma tenne gli occhi sulla poltrona occupata dal ‘fantasma’.

Anche da dietro il separé non le aveva mai tolto lo sguardo. Non c’era alcun segno che qualcuno vi si fosse seduto.

Ma qualcuno si era seduto lì.

Peter aveva visto l’uomo con i suoi occhi; aveva sentito la sua voce; lo aveva visto muoversi. Doveva essere stato lì. E Peter lo avrebbe dimostrato.

I raggi ultravioletti potevano ingannare gli occhi – ma non potevano produrre un effetto capace di ingannare il tatto. Peter roteò di colpo e si sedette sulla poltrona. All’istante trasalì, sobbalzò, sbarrò gli occhi.

La poltrona era incontestabilmente vuota.

La rabbia lampeggiò come il fuoco negli occhi di Peter. Le sue dita si strinsero come se le avesse messe attorno la gola di Bill.

Desiderò che fosse così. Moriva dalla voglia di strangolare Bill. Quel maledetto idiota. Farlo fesso in quel modo. Lo avrebbe sistemato…

La rabbia si placò. Ma non  mancava la curiosità, come un prurito. L’ardente curiosità dello scienziato. Come diamine aveva fatto a far sparire quell’uomo?

“Che io sia dannato se non glielo chiederò,” mormorò Peter cupamente. “Che sia dannato se non lo farò.”

* * *

la seconda volta che Jonathan venne non aspettò in anticamera con gli altri pazienti. Entrò dalla porta senza neanche essere annunciato.

A Peter la cosa non piacque. Aggrottò la fronte.

“Ci sono altri pazienti in attesa,” disse severo.

“Perdonatemi”  – Jonathan sembrò davvero contrito – “ma vedete, io sono un fantasma, e, date le circostanze, mi sembra che si possa fare un’eccezione. Io… be’… svanisco molto facilmente.”

“L’ho visto,” disse Peter e sogghignò. “Ma oggi il dr. Bradley è in ospedale. Lei non scomparirà questa volta.”

“Ne sono contento.” L’uomo annuì con la sua testa oblunga, ma la sua mente sembrava essere altrove.

“Se potessi avere il tempo di spiegare le mie difficoltà,” sembrava impaziente. “Vedete, io non voglio essere un fantasma.  È davvero…” Peter si piegò in avanti e poté vedere il profondo turbamento nei suoi occhi. “È davvero un’esistenza miserabile. La gente si spaventa tantissimo. È… è una pesante responsabilità. Ora per esempio, prendete questo posto che sto infestando. C’è una donna là fuori che sto spaventando poco per volta. Voi la conoscete – è una vostra paziente – la signora Holstead Hamilton – Oh, caspita!” disse Jonathan, e sparì.

Con un breve colpo la porta si aprì e Bill Brady infilò dentro la sua testa rossa.

“Sono tornato dall’ospedale,” disse allegro. “Come vanno le cose?”

“Spiritoso,” disse Peter, guardandolo. “Davvero spiritoso.”

* * *

Quella notte lo squillo attutito del telefono sul comodino svegliò Peter a mezzanotte e un quarto.

Vide l’ora sul quadrante illuminato della sveglia mentre cercava il ricevitore. Lo sollevò dalla forcella e una voce gridò.

“Dottore? Oh, dottore, vi prego, venite! È la signora Hamilton. È svenuta e non posso fare niente per lei e…”

Di colpo la voce si interruppe. Da qualche parte un grido attutito cominciò. Peter abbassò la forcella. Non c’era niente da sentire tranne quelle lontane grida attutite.

Peter riappoggiò il telefono con cautela.

Hamilton.

Il nome risuonò come un gong nella sua mente. Ascoltò – e si ricordò. Quel maledetto fantasma di Bill. Pensa un po’. Era uno scherzo?

Peter sedette sull’orlo del letto e rifletté. Quell’eccitata, isterica voce al telefono, quelle grida attutite ad arte – e Bill, in quello stesso istante, appoggiato a una qualche cabina del telefono che rideva alle sue spalle come un matto.

“Ah,” disse Peter. Allungò le gambe nel letto. Si strinse nelle spalle sotto le lenzuola. Chiuse gli occhi.

Li riaprì. Fissò il soffitto buio.

Ma metti che non sia uno scherzo? Metti che Bill non sia in una cabina a sghignazzare? Metti che…

“Oh, diavolo…” Sollevò il telefono e formò il numero di casa Hamilton. E la voce metallica dell’operatore disse:

“Mi dispiace, sembra che ci sia qualcosa che non va. Il ricevitore è staccato, e riesco a sentire solo delle grida. Provo a chiamare…”
“Non chiamate, no,” disse Peter. “Sono un dottore e sto andando lì.”

Ventisette minuti dopo infilò la sua automobile nel vialetto di casa Hamilton. Frenando guardò a quell’enorme mostruosità in arenaria e trasalì. Una scia di luci partiva dalla cima del tetto della mansarda fino alle fitte pietre della solida cantina. E da qualche parte qualcuno stava ancora urlando.

* * *

Peter salì i gradini di corsa e premette il campanello vecchio stile. Risuonò in lontananza e prima che l’eco scemasse la porta si aprì.

“Oh, grazie a Dio! Voglio dire… siete voi il dottore, signore?”

“Per l’appunto,” disse Peter.

Seguì la cameriera nell’atrio. Era una donna piccola e ordinata, ma la paura aveva reso la sua faccia tanto bianca e gli occhi tanto neri quanto Peter non aveva mai visto.

La donna lo guidò su per le ampie scale sinuose. Quando furono in cima le urla si sentirono più forti.

“È sempre stata così da quando vi ho telefonato, signore,” sussurrò la cameriera. “È… è terribile.”

“Vedo,” disse Peter.

Non lo avrebbe mai ammesso davanti alla cameriera, ma lui era d’accordo con lei al 100%. Quelle urla erano terribili. Ti risalivano lungo la schiena e si congelavano alla base del cervello. Ti pungevano le vene come punte di ghiaccio.

La cameriera aprì la porta e le grida esplosero in faccia a Peter.

Peter entrò. La stanza era inondata di luce.

Un grande lampadario vecchio era un’abbacinante piramide di luminosità; muri di luce scintillavano, lampi fiammeggiavano, e due lampadine schermate sopra il letto erano puntate direttamente sul viso avvizzito come una pergamena della donna, gli occhi gonfi di terrore e la caverna rossastra della bocca urlante.

Peter attraversò la stanza.

Rimase in piedi di fianco al letto e la guardò.

Non aveva mai visto la signora Hamilton priva degli ornamenti della sua aristocrazia: gli occhiali d’oro con manico, la fascia di velluto che nascondeva le rughe della gola rinsecchita, l’aria altezzosa che assumeva come una specie di armatura. E senza di essi la signora sembrava pietosamente esile, piccola e vecchia.

“Signora Hamilton,” disse Peter gentilmente. “Signora Hamilton.”

Si piegò e sollevò una delle mani trasparenti, dalle spesse vene. “Signora Hamilton.”

L’insistenza della sua voce la raggiunse attraverso le grida. Le grida si interruppero – poi ripresero – si interruppero – e morirono in un tremulo piagnucolio.

La cameriera spostò una sedia, e Peter sedette. Cominciò a parlare gentilmente, ma con prudenza. La signora Hamilton scuoteva la testa. La sua voce era debole e secca a forza di urlare.

“Non è quello che pensate, dottore,” mormorò lei. “Oh, lo so. Capisco che voi siete stato molto professionale e comprensivo con quelli che considerate i folli capricci di una stupida vecchia. Uffa! Non sprecate il fiato a contraddirmi – e non state lì ad arrossire come un ragazzino. Non è stata colpa vostra. È stata colpa mia. Non sono mai stata sincera con voi. Non ho osato esserlo. Io… io avevo paura che mi credeste pazza. Avevo forse paura che poteste usare la vostra influenza per farmi rinchiudere chissà dove. Ma ora io… io non posso più sopportarlo. Non posso. Non posso...” La sua voce si spezzò, quindi salì in un urlo penetrante.

“Signora Hamilton,” implorò Peter.

“Questo posto è infestato!” gridò la signora Hamiltom. “Infestato! Lo capite? Infestato… infestato… infestato!”

Peter usò una siringa ipodermica per calmarla. poi parlò alla cameriera. Ma non ottenne molto dalla donna.

“No, signore,” disse la domestica contorcendo le dita mentre il respiro pulsava come le ali di una farfalla, “nessuno l’ha visto tranne la signora Hamilton. E lei non dice niente. A volte grida e a volte sviene, ma non caviamo una parola dalla signora. Oh, è tremendo, signore!”

“Mmm,” disse Peter. “Be’, adesso starà bene. L’iniezione che le ho fatto la farà dormire tutta la notte. Domattina si sentirà meglio.”

“Sì, signore,” disse la cameriera, aprendo la porta. “Buonanotte, signore.”

* * *

Al mattino Peter andò in studio di buon’ora. Il posto era buio e tranquillo; le tende ancora tirate, la scrivania non spolverata.

La donna delle pulizie non era ancora arrivata, e nemmeno la signorina Gribby, la sua infermiera-segretaria. Ma qualcuno c’era.

Peter vide le ginocchia magre emergere dalle profondità della poltrona imbottita. Attraversò la stanza furibondo.

“Eccovi qui! Sono stufo. Se Bill Brady ha avuto il coraggio di darvi la chiave del mio studio…”

“Nessuno mi ha dato la chiave,” disse Jonathan. I suoi occhi erano pallidi; così pallidi da sembrare dei buchi vuoti in faccia. Peter li evitò.

“Allora vi ha portato il diavolo qui?” domandò.

“Ve l’ho detto, sono un fantasma. Posso entrare dappertutto. E vi dirò anche dell’altro.” Si alzò e uscì dal cono d’ombra della poltrona. Peter lo fissava.

L’uomo sembrava allungarsi  sempre di più, lungo, sottile, un po’ oscillante. Peter strizzò gli occhi, poi sogghignò. Una folle illusione. L’uomo era appena più alto di Peter. Ma era reale e pazzo.

“Sono stufo di tutto questo!” Jonathan si sporse in avanti e toccò Peter con un dito magro. “Sono stufo di tutto questo! Vi ho detto che dovete avere qualcosa a che fare con questo. E non avete fatto niente. Niente di niente. E guardate cos’è successo! La donna è morta! È morta ed è colpa vostra, perché lei…”

“Chi è morta?” disse Peter. Ma lo sapeva. Poteva sentire la risposta in arrivo. Poteva vederla negli gli occhi dell’uomo.  E Jonathan esplose:

“Chi è morta!? Chi pensate che sia morta? La signora Hamilton, ecco chi. Io l’ho spaventata a morte. Vi ho detto che lo avrei fatto. E non mi avete dato alcuna attenzione. Non ci avete provato. Non mi avete creduto. E ora…” La sua voce tremò. “Oh, basta,” disse debolmente. E sparì.

Peter rimase fermo. Dopo un minuto guardò in basso. Aveva le dita quasi bianche nei punti in cui aveva afferrato l’orlo della sua scrivania. Le rilassò, una dopo l’altra, sforzando la sua volontà. Ecco, così.

Fece un profondo sospiro. Costrinse la mente a pensare lentamente, con logica.

Il dottore in lui si distaccò e si mise a lato, osservando tutto con calma.

Ci doveva essere senz’altro una spiegazione. Doveva senz’altro esserci dietro Bill, in qualche modo. Ma se così non fosse? L’uomo dentro Peter gridò al dottore. Metti che Bill non ne sappia niente di Jonathan. Metti che Bill non abbia mai sentito della Hamilton, o della fissazione della Hamilton secondo cui la sua casa era infestata. Supponi che questo Jonathan – l’orrore strisciò nella mente di Peter. Lui era… poteva essere… Un brivido lo percorse.

“Sono sano,” disse con voce forte. “Sono perfettamente sano. Non ho mai visto un fantasma in vita mia. Quell’uomo non era un fantasma. Era un essere reale.” Molto bene. Reale. Era seduto in una poltrona. La poltrona scricchiolava sotto il suo peso. Parlava. Peter ne aveva sentito la voce. E poi era scomparso.

“Maledizione!” Peter scattò in piedi. La  poltrona roteò e balzò all’indietro. Percorse la stanza a grandi passi e spalancò la porta dell’ufficio di Bill.

“Ciao!” disse allegro Bill. “Anche tu sei venuto presto. Magnifico. Ti ho sempre detto che il primo mattino…”

“Guarda qui!” strillò Peter. Doveva strillare. Doveva sentire il suono della sua voce. E doveva farlo sentire a Bill. Raggiunse la scrivania di Bill. Ci si appoggiò. “Ti credi furbo a mandarmi quel pazzo di Jonathan con tutta la sua folle pantomima? Credi di essere…”

“Dì un po’”, Bill si appoggiò allo schienale della poltrona, “sei impazzito? Non conosco nessuno che si chiami Jonathan, e di certo io…”

“Va bene! Va bene!” strillò Peter. “Nega quanto vuoi…” Negava. Certo che negava. Ma non significava niente. Doveva mantenere quella parvenza di innocenza. Altrimenti tutta la facciata di quella sua stupida messinscena sarebbe crollata. Ma era una messinscena di certo. Doveva esserlo. Dio! Ma se non lo fosse stata! Una mente sconvolta – che vede fantasmi – che ha allucinazioni!

“Solo dimmelo.” Peter si chinò in avanti. La sua faccia era una maschera di gesso. La sua bocca era rigida, e doveva pensarci prima di formulare le parole.

Ma dietro quella rigidità montava un impeto ansioso. Doveva essere astuto. Doveva scoprire esattamente cosa sapeva Bill. E se Bill sapeva… bene, voleva dire che Bill…

“Ascolta,” disse Peter, “dimmi solo questo. Come facevi a sapere, quando non lo sapevo nemmeno io, che si diceva che casa Hamilton fosse infestata – e come facevi a sapere che la signora Hamilton…”

“Oh, allora è questo!” ringhiò Bill. “Ecco cosa ti rode, vero? Non mi stupirebbe. Ma perché non dovrei esserne informato. Ne parlano tutti i giornali.”

Frugò nel cestino della spazzatura finché non trovò una copia del Morning Star. La mostrò, ancora piegata, notò Peter, in modo che il titolo fosse visibile.

FAMOSA VEDOVA DELL’ALTA SOCIETÀ MUORE DI SPAVENTO

I domestici  sostengono che la casa è infestata

“Vedi?” Bill sbatté il giornale davanti al naso di Peter. “C’è tutta la storia, amico. E non sei tu quel cavolo di dottore che ha perso un paziente a causa di uno spettro?”

Peter scoppiò a ridere. Una risata tumultuosa, a raffiche, ma di sollievo.

* * *

Nelle tre settimane successive non capitò più niente. O almeno, non molto.

Bill scoprì uno speciale inchiostro che svaniva del tutto dopo due ore. Riuscì a riempire il calamaio di Peter, e così, un pomeriggio, Peter aprì la sua agenda e vide una serie di pagine bianche.

Poi il farmacista telefonò per chiedere che diavolo doveva farsene di tutte le ricette vuote che erano arrivate con niente scritto sopra.

Tranne questa sciocchezze, Bill non fece nulla.

Non fece altre menzioni dell’affare Hamilton. E neanche Peter. Ma ogni volta che ci pensava si sentiva a posto. Era stato abile nell’inchiodare Bill così bene.

Poi un martedì mattina aprì la porta del suo ufficio e vide Jonathan, le lunghe ginocchia piegate davanti a lui, le mani magre pendenti dai braccioli della poltrona.

Peter restò immobile a fissarlo. Si sentì sempre più freddo, poi caldo, poi di nuovo freddo. Sentì il cuore andargli in gola e lì bloccarsi come un pugno chiuso. Poi vide Jonathan muoversi. Sentì la sedia scricchiolare sotto il suo peso. Peter fece un passo avanti.

“E stavolta dovete proprio fare qualcosa,” disse Jonathan, come se stesse continuando una conversazione. “Non m’importava quando la casa era vuota. Quando la signora Hamilton è morta ed è stata sepolta, i domestici se ne sono andati tutti. Allora è stato bello. Non m’importava. Butch poteva fare tutto quello che voleva. Ma ora quella ragazza sta traslocando…”

“Quale ragazza?” chiese Peter. “E chi è Butch?” La voce tesa. Come se fosse quella di un altro.

Non aveva avuto intenzione di fare quelle domande. Non gli piaceva il suono mentre gli uscivano dalla bocca. Se Jonathan fosse tornato da Bill e gli avesse riferito quella conversazione – cosa che certo avrebbe fatto…

Bill aveva mandato quell’uomo allo scopo di manipolare Peter. E lui lo sapeva. Ne era sicuro. Non aveva forse già preparato tutto da prima? Non c’era da dubitarne assolutamente. Neanche un po’.

E Jonathan disse:

“La ragazza di cui sto parlando è la nipote della Hamilton. Si chiama Lorna Hart. La Hamilton le ha lasciato la casa, e lei sta traslocando. E vi dico…” Jonathan si eccitò. La sua voce si alzò. Si sollevò dalla poltrona e torreggiando su Peter. “Vi dico che dovete fare qualcosa! Non spaventerò a morte quella ragazza come ho fatto con la signora Hamilton! No. Io…” La voce si gli spezzò. Stava per svanire un’altra volta? Peter vide sbiancare le nocche delle mani strette a pugno. Ma Jonathan non scomparve.  Improvvisamente si sedette e quel gesto parve calmarlo.

“Dovete fare qualcosa,” insistette.

Peter lo guardò. C’era forse un modo per por fine a tutto questo. Forse c’era un modo per costringere Peter ad ammettere la sua burla.

“Molto bene,” sentì dire dalla propria voce. “Farò del mio meglio. Ora, qual è il suo problema? Se non volete infestare quella casa, che cosa vi costringe a…”

“È la legge,” disse Jonathan. “Devo infestarla, altrimenti… Ma siete voi lo psicologo,” si interruppe sospettoso. “Perché me lo chiedete?”

La matita di Peter tamburellò sulla scrivania.

Si spostò sulla poltrona. Si schiarì le idee e si concentrò attentamente.

Doveva interrogare quell’uomo e incastrare Bill. In qualche modo ci sarebbe riuscito. Doveva metterlo all’angolo in modo che tutto quello che avrebbe potuto fare sarebbe stato sorridere e dire: “Certo, sciocco, certo che sono stato io. Guarda, questo è il trucco con cui l’ho fatto sparire – furbo, non è vero?”

E allora Bill glielo avrebbe spiegato. Bill avrebbe dovuto dirglielo. Non era forse amico di Bill?

E quando Bill faceva uno scherzo… Sì, certo. Sicuro che fosse così. E Peter lo avrebbe provato. Anche Peter stava allo scherzo.

Era sempre stato ai suoi giochi. Sicuro. Funzionava così. Bastava fargli credere che si stava bevendo tutto. Fregare quel mattacchione di Bill – quello scemo di Bill. Solo stare al gioco…

Peter aspirò un profondo respiro nei polmoni. Rilassò la mascella. Disse, torvo: “Una cosa; voi chi eravate quando eravate vivo?”

“Ero il proprietario di un ristorante,” disse Jonathan pronto. “Avevo un bel locale giù a Randolph, vicino al Peach.”

“E allora perché non infestate il vostro ristorante?” chiese Peter.

“Perché,” disse Jonathan spazientito, “non è lì che Butch mi ha picchiato a morte. Voi non potete capire, c’è una legge…”

“Va bene, va bene,” disse Peter. “Adesso, chi è Butch?”

“Era il gangster che Baby Joe mi aveva messo addosso. Baby Joe era il capo, e quando io non vendevo liquori…”

“Nel vostro ristorante?”

“Durante il Proibizionismo,” disse Jonathan, “il loro gioco consisteva nel farmi vendere liquori, e giocavano a tiramolla con me in mezzo. Mi vendevano il liquore di contrabbando e mi strozzinavano con i loro prezzi, poi mi anche per la ‘protezione’ dalla polizia e dagli altri gangster. Era un grosso racket.”

“E voi che gioco facevate?”

“Io lo dissi alla polizia.” Jonathan ne era orgoglioso. “Ho raccontato tutto,” i suoi occhi cupi si illuminarono.

“Così Butch vi ha fatto fuori.”

“Eh già. Mi hanno trascinato a casa Hamilton, che allora era vuota. Non ci viveva nessuno tranne il custode. La signora Hamilton era chissà dove in Europa. Comunque hanno legato il custode e mi hanno picchiato a morte. E adesso…”

“Quando dovete infestare la casa?” chiese Peter – e in quel momento spezzò la matita con un improvviso scatto furioso delle dita. Buon Dio! Stava credendo a quella storia?

“All’inizio lo facevamo solo agli anniversari. Ogni anno, allo stesso giorno, sapete? Ma adesso lo facciamo spesso. A Butch” aggiunse a mo’ di spiegazione, “piace molto.”

“Gli piace molto picchiarvi?” Lo psicologo in Peter ebbe un’idea. Si sporse in avanti. “Guardate,” disse, “posso fermare tutto quanto, se riuscirete a portare qui Butch. Gli dovrei parlare…”

“Volete dire che potrete bloccare l’obbligo di infestare? Potete liberarmi…” Le lunghe mani di Jonathan si contorsero. Gli occhi s’incupirono.

“Portate qui Butch,” disse Peter. E si appoggiò alla sedia. Sorrise soddisfatto. Che cosa avrebbe fatto Bill per portare lì Butch?

L’infermiera bussò alla porta ed entrò.

“C’è una ragazza in sala d’attesa,” sussurrò. “È una che… sarà meglio che la vediate subito, finché non c’è ancora nessuno.”

“Nessuno…” disse Peter. Si guardò attorno. Era abbastanza sicuro che Jonathan se ne fosse andato.

“La ragazza si chiama,” sussurrò l’infermiera, “Lorna Hart. Dice di essere la nipote della signora Hamilton…”

“Fatela entrare,” disse Peter.

* * *

La ragazza entrò, e immediatamente Peter capì che aveva la mano vincente. Era quel genere di ragazza. Piccola, e bionda cenere, con la pelle sottile, e ombre sotto gli enormi occhi azzurri.

“Dottore, sono così spaventata,” lei irruppe senza preamboli, ” sono così terribilmente spaventata. Se avessi saputo che la casa della zia Kate era infestata, sarei morta prima di entrarci. Sinceramente lo vorrei. E ora…”

“Perché non tornate a casa?” disse Peter. Le sorrise. Mise una calda simpatia nella sua voce. Ma lei si torceva le dita.

“Non posso andare a casa!” gemette lei. “Non capite? Ho preso tutti i miei risparmi dalla banca per venire qui e io… Tutto quello che ho ora è quella casa e se quel fantasma tornerà, dottore, io…”

“Su, su,” disse Peter, “non dite assurdità. Sappiate che non esistono cose come i fantasmi. Io dovrò semplicemente trasmettere questo concetto alla sua mente…”

“Allora che cosa ha ucciso la zia Kate? Ascoltatemi, dottore. Conosco la zia Kate da quando sono nata. Ed era la persona più ragionevole e meno fantasiosa sulla faccia della Terra. E se lei vedeva i fantasmi…”

“Lo so,” disse Peter accondiscendente, “lo so. Ma negli ultimi mesi soffriva di pesanti crisi nervose. Forse voi non lo sapevate. E senza dubbio fu questa condizione nervosa che l’ha spinta a vedere – ad avere allucinazioni – Ora, voi siete giovane e…”

“E sono spaventata a morte, dottore! Vi dico che se mai dovessi posare gli occhi su un fantasma, io… io mi ucciderei! Lo farei, so che lo farei!”

“Oh no, non lo fareste,” disse Peter con disinvoltura. “Siete una ragazza troppo ragionevole per farlo. Adesso state correndo troppo – non succederà niente – e se succede sono qui all’altro capo del telefono, e verrei subito da voi.” La accompagnò alla porta, la aprì, la vide camminare, piccola, leggera e spaventata, lungo l’anticamera.

“Adesso abbiamo una graziosa biondina,” disse Bill. Peter si girò. La porta dell’ufficio di Bill era aperta e Bill era appoggiato allo stipite, sorridente. Peter si infuriò e afferrò il braccio di Bill. “Stammi a sentire, spiritoso piantagrane nato ieri,” la sua voce tremava e non poteva fermarsi. “Se fai uno dei tuoi scherzi a quella ragazza, ti scanno. Se solo ti avvicini a meno di un miglio da casa Hamilton…”

“Oh-oh,” disse Bill, “ecco di cosa si tratta! Perdonami, mio caro amico. Non avevo capito che tu avessi messo gli occhi su…”

“Non è così,” scattò Peter. “Non sto parlando di me – sto parlando di quel tale Jonathan che appare e scompare dal mio ufficio. Se a causa di uno dei tuo folli scherzi quella ragazza si spaventa, io… io ti deferirò all’Ordine de Medici. Giuro che lo faccio. Non ne posso più di quel Jonathan che appare dal nulla nel mio ufficio e nel nulla scompare…”

“Hmmm,” fece Bill guardando Peter da vicino. “Credo di capire da dove ti viene tutto il fastidio.”

“Bene, allora,” disse Peter, “e voglio che la smetti.” Si voltò e sbatté la porta del suo studio. Ma dopo aver chiuso la porta, Peter realizzò che Bill non s’era mosso. Continuava a stare lì a guardarlo.

* * *

Quella notte, la ragazza, Lorna, lo fece venire a casa Hamilton alle dodici e mezza.

Lo chiamò lei stessa, al telefono, con voce folle di paura.

Quando Peter arrivò la ragazza era fuori sul porticato in preda al più classico attacco isterico che lui avesse mai visto. Proprio come sua zia prima di lei. Ma stavolta non c’era nessuna cameriera ad accudirla. Non c’era nessuno.

“Siete sola in questa casa?” chiese Peter, dopo esser riuscito a calmarla abbastanza per farla parlare.

“Certo che sono sola. Chi vorrebbe rimanere qui? Anche se potessi permettermi di pagare qualcuno – cosa che non posso – nessuno dei servitori di zia Kate vorrebbe restare qui a dormire.”

“Santo Cielo,” disse Peter. Non c’era da meravigliarsi che la ragazza avesse una crisi isterica. Sola in una casa che metterebbe i brividi a chiunque. Senz’altro era così. “Potrebbe immaginarsi qualsiasi cosa.”

“No,” disse la ragazza, “no, dottore.” I suoi grandi occhi si piazzarono sul volto di lui. “Non è la mia immaginazione. Dico sul serio. Non si può immaginare una cosa come questa. Perché è stato il più brutale pestaggio che si potesse vedere! Era…” La sua voce fremette. L’isteria si vedeva come una luce attraverso una garza.

“Un… pestaggio?” disse Peter. La sua spina dorsale si trasformò in ghiaccio. “Che genere di pestaggio?”

“Era un bruto grande e grosso, l’ho visto molto chiaramente. L’ho visto per la prima volta nella sala al piano di sopra. È uscito da una delle stanze. Era così reale! Ho pensato che lo fosse. Io… io ero paralizzata, terrorizzata. Non potevo muovermi. Poi ho capito che non poteva vedermi affatto. Sembrava guardare attraverso di me. Sembrava cercare qualcosa. Continuava a entrare e uscire dalle porte delle stanze. Poi ha trovato.”

“Trovato chi?” chiese Peter. Il dottore in lui si era messo in guardia. I suoi occhi scrutavano il volto della ragazza, gli occhi, i pensieri dietro gli occhi. Esame soddisfacente. La cosa per lei era reale, certo.

E lei disse: “L’uomo che il bruto stava cercando. Un uomo alto, magrissimo, con occhi piccoli, quasi sfuggenti. L’uomo grosso lo ha preso e lo ha colpito… Ah!” Il suo respiro si spezzò. Un lungo tremito. E un’idea si insinuò nella testa di Peter.

Gli occhi gli si strinsero. La bocca si tese. “Guardatemi, signorina,” disse, “avete per caso parlato con il dottor William Brady – Bill Brady?”

“Il dottor Brady?” L’isteria si placò, la ragazza si rilassò. “Oh sì! Non è quell’uomo di bell’aspetto? L’ho incontrato oggi pomeriggio, per caso.”

“Lo ha incontrato, eh?” affermò Peter. Lasciò passare diversi minuti in silenzio. Poi aggiunse: “Sa, l’ipnotismo è una scienza curiosa. Per esempio, potreste essere stata ipnotizzata in modo da farvi vedere quella scena stanotte. Sapete, per caso, se siete mai stata ipnotizzata?”

“No,” disse Lorna. “No, mai. Ma è curioso che me lo chiediate. Il dr. Brady mi ha domandato la stessa cosa oggi pomeriggio.”

* * *

Erano le 10 del mattino successivo quando Peter, sollevati gli occhi dalla posta, vide lo sguardo contrito di Jonathan che lo fissava.

Peter tirò un profondo sospiro e si diede un contegno. Si sforzò di mettere un sorriso tranquillo nei propri occhi.

“L’ho fatto venire,” disse Jonathan. “Lui non voleva venire neanche un po’ – ma gli ho detto…”

“E questo non ha fatto la minima differenza, vedi?” Peter si voltò verso una nuova voce.

Vide uno uomo strambo, appoggiato contro la porta, le braccia taurine  intrecciate, la mascella non rasata all’infuori, gli occhi scintillanti. “La infesterò, sai?” disse. “L’ho fatto, mi è piaciuto e continuerò a farlo. E nessuno me lo impedirà. Non tu, con le tue arie da dottorone, e nemmeno questo schifoso pappamolla da due soldi che sta qui, né…”

“Fermatelo, dottore,” implorò Jonathan. “Dovete fermarlo! Io… noi abbiamo spaventato quella ragazza quasi a morte. E…”

“E fino alla morte la spaventeremo stanotte, vedi? La spaventeremo, perché io voglio spaventarla. È un grande spasso…”

“No!” gridò Jonathan. “No!” Saltò in piedi. Si sfregò le braccia. L’omone balzò dalla porta. Afferrò Jonathan per le ginocchia. Lo buttò a terra. Peter poté vedere un manganello nel suo pugno enorme. Poi – lo studio si svuotò. Entrambi erano svaniti.

Peter girò su se stesso e si scagliò nella porta spalancata dello studio di Bill Brady. Bill alzò lo sguardo dalle carte che stava esaminando. I suoi occhi, guardando Peter, avevano una strana luce.

“Jonathan ti dà fastidio di nuovo?” chiese.

Peter chiuse la porta. Vi si appoggiò, tremando. Ci volle parecchio prima che potesse muoversi. Molto tempo.

* * *

Quella notte non riuscì a dormire.

Camminava in casa masticando la pipa. Si disse che stava pensando alla ragazza tutta sola in casa Hamilton. Spaventata, sola in quella casa che scricchiolava tutt’attorno a lei.

E forse Bill l’ha ipnotizzata per farle avere di nuovo quella spaventosa visione! Magari proprio in questo momento – Peter masticò la pipa. Su e giù per la stanza.

Se fosse uscito lui – cosa avrebbe visto?

Se la ragazza avesse avuto di nuovo la visione – Peter avrebbe visto qualcosa?

Di sicuro non avrebbe visto niente. Bill non lo aveva ipnotizzato. E nessuna persona sana vede fantasmi. Nessuna persona sana – ma Peter aveva visto Jonathan. Ma diamine!

Jonathan non era un fantasma! Jonathan non era… Era un uomo qualunque. Bill glielo aveva mandato per fare uno scherzo. Bill lo aveva mandato.

Peter aveva visto Jonathan. E gli uomini sani non vedono fantasmi. Non quelli sani – Dio! Loro no – non quellii sani!

Peter non ce la faceva più. Tremava. Il sudore sulla pelle riluceva di una tenue luce ambrata.

Si vestì. Salì in macchina e partì.

Per la terza volta trovò casa Hamilton completamente illuminata.

Per la terza volta salì i gradini e suonò il campanello. Per la prima volta nessuno rispose. Nessuno venne ad aprire la porta. Nessun rumore.

Peter picchiò contro la porta.

Corse intorno alla casa cercando una finestra aperta. Chiamò Lorna. Gridò. Lanciò una pietra, rompendo il vetro della porta d’ingresso. La raggiunse e girò la chiave.

Trovò Lorna distesa sui gradini in fondo alla grande scala a chiocciola. Morta.

Peter la sollevò. Era piccola e leggera. La tenne fra le braccia, come se fosse una bambina – la testa contro la spalla e le ginocchia piegate.

Tornò verso la porta, portandola in questo modo. E si fermò. Bill Brady era fermo sulla porta.

“Peter…” la voce calma, molto gentile. “Posso aiutarti, Peter?”

“Aiutarmi?” Qualcosa dentro Peter si spezzò. “Aiutare… me? Tu… diavolo! Tu l’hai uccisa! Tu, pazzo, stupido matto! Tu… tu… Stai lontano da me! Non toccarmi! Non…”

“No, no,” disse Bill gentilmente. “Va tutto bene, Peter. Te lo dico io, andiamo dentro. Dovremmo metterla sul divano. Ce un divano… qui nella biblioteca. Vieni…”

Fece strada. Passò davanti al grande tavolo della biblioteca su cui c’era il telefono. “Mettila qui,” disse Bill.

Prese il corpo della ragazza dalle braccia di Peter. Peter dondolava senza pace.

“So perché lo hai fatto!” La sua furia lo irrigidì. Doveva sforzarsi per far uscire le parole. “L’ho capito adesso. Pensi di incolpare me così da prenderti il mio studio! Sei geloso. E pensi…” La voce gli si spezzò. Barcollò. Se avesse potuto mettere le mani sulla gola di Bill. Se avesse potuto stringere le dita… stringere…

Bill lo vide arrivare. Capì le sue intenzioni dai suoi occhi. Bill strinse il pugno e lo sferrò a Peter.

Solo uno.

Peter cadde a terra, svenuto. Poi Bill alzò il telefono e chiamò un’ambulanza.

Quando sentì il campanello suonare lontano, uscì sul porticato di casa Hamilton per andarle incontro.

“Due per voi,” disse all’autista. “Una è morta, l’altro…” Si morse il labbro. Faceva male. “L’altro è… pazzo. È il dottor Peter Gale. Verrò con voi. Voglio che riceva le migliori cure possibili.” Bill vide che Peter veniva sistemato in condizioni comode per lui, poi salì e gli si sedette accanto.

Per tutto il tragitto verso l’ospedale non tolse mai gli occhi dal viso incosciente di Peter.

Come aveva potuto un uomo come Peter impazzire completamente? Quale parte della sua mente si era indebolita al punto da avviare quel processo? Come aveva potuto lui, che ne sapeva così tanto di malattie mentali, non aver riconosciuto i sintomi in se stesso?

Peter. Forte, bello, grande Peter. Bill allungò la mano e toccò quella di Peter. E quando vide la piccola lacrima, e sentì l’umido nei propri occhi, non se ne vergognò. Peter era stato un uomo eccezionale.

Bill rimase con Peter all’ospedale tutta la notte. All’alba riacquistò conoscenza. Ma non faceva una gran differenza. Non appena riaprì gli occhi e vide Bill ricominciò da dove aveva finito: a parlare di Jonathan; a incolparlo della morte di Lorna. Povero Peter. Un pazzo lunatico.

Bill andò in studio non appena gli fu possibile. Non avrebbe voluto tornarci.

Era dura aprire la porta; odiava il pensiero della poltrona di Peter vuota.

Ma alla fine dovette andarci. Entrò lentamente, con passo pesante, e chiuse la porta.

Dal fondo di una poltrona imbottita un uomo alto e dinoccolato con occhi di un azzurri slavato lo guardava.

“Vorrei che mi aiutaste, dottore,” disse lamentoso. “Vedete, il problema è che… sono un fantasma.” E sparì.

 

 

Mario Luca Moretti
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Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano

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