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Di sabato sera…

Di sabato sera…

“Cavolo, questo sembra interessante,” pensò fra sé Lucio, guardando il manifesto appeso a un muro di un film appena uscito. Si intitolava La spietata guerra del reduce Rambo, e si vedeva Tomas Milian con la barba incolta, i capelli lunghi e arruffati, una giacca di pelle con le frange, in mezzo a una foresta, che sparava con un M-14 a un elicottero che volava sopra gli alberi, dal quale sbucava la figura di un poliziotto, anche lui con un fucile in mano. Nella parte bassa del manifesto, tanti piccoli quadratini con le foto degli attori principali: Tomas Milian, appunto, Henry Silva, Richard Conte, Claudio Cassinelli e Rena Niehaus. Un po’ di azione non gli sarebbe dispiaciuta, anche per svagarsi dai suoi studi di letteratura inglese 4. Uno dei due esami che gli mancavano, l’altro era letteratura tedesca 4. Poi, la laurea. Il titolo era stato appena assegnato: L’applicazione telematica in ambito linguistico-universitario. Una tesi sperimentale, all’avanguardia. Il relatore non sapeva neanche che cosa fosse la telematica, e così glielo aveva spiegato Lucio: la comunicazione fra calcolatori (o computer, per dirla all’inglese). Lucio aveva scoperto che in America le università comunicavano tra loro con un sistema detto Arpanet, che collegava fra loro i calcolatori delle varie università, e che era in studio il tentativo di fornire questo sistema anche alle università extra-americane e ad altri istituti di natura pubblica. Essendo uno studente di Lingue e Letterature Straniere all’Università Cattolica di Milano, e interessato alle innovazioni tecnologiche, Lucio si appassionò subito all’argomento… pensa: sedersi davanti a un computer e comunicare in tempo reale, o quasi, con chiunque in qualunque altro angolo del mondo, usando come lingua franca l’inglese.

Ma quella sera non era fatta né per il cinema né per lo studio. Lucio aveva appuntamento con un gruppo di amici… be’, forse amici era una parola grossa. Erano quattro ragazzi, studenti universitari come lui, che aveva conosciuto la domenica precedente. Quel pomeriggio Renato, un suo amico che lavorava alla Cineteca di Milano e che organizzava manifestazioni, gli aveva telefonato se voleva venire al Parco Lambro, dove quell’anno si teneva il Festival dell’Unità, dove lui aveva organizzato un incontro nientemeno che con Bernardo Bertolucci, il regista sulla cresta dell’onda dopo i successi di Ultimo tango a Parigi (che Lucio aveva trovato noiosissimo) e di Novecento – Atto I e Atto II, che Lucio invece aveva amato. Nel caso non si fosse capito, anche Lucio era un appassionato di cinema. Ma quella sera Lucio non pensava al cinema. Passando la serata con quei quattro, due ragazzi e due ragazze, Lucio si era trovato bene. Il gruppetto aveva chiacchierato di cinema, di vacanze, di politica, delle rispettive materie di studio (le due ragazze studiavano Legge, uno dei due maschi Filosofia, l’altro Lettere). Lucio si era un po’ stupito: non gli era mai capitato di incontrare ben due studentesse di Giurisprudenza in un colpo solo, ma del resto frequentavano la Festa dell’Unità, e la condizione femminile era stato uno degli argomenti intavolati proprio dalle due ragazze quella sera… La conferenza di Bertolucci era stata improntata alla politica: il regista aveva parlato perlopiù della passione politica che lo aveva animato prima e durante la lavorazione di Novecento, film che considerava un atto d’amore al Partito Comunista Italiano, di come lo avesse eccitato l’idea che il film fosse stato finanziato e distribuito da due grandi case di produzione hollywoodiane, quindi capitaliste, che così avrebbero contribuito a diffondere gli ideali comunisti financo in America… e così via. Il pubblico si era scorticato le mani a dichiarazioni del genere, e Lucio, poco interessato alla politica, e affascinato da altri aspetti del film, si era accodato agli applausi più per non deludere i suoi nuovi conoscenti che altro.

Comunque, alla fine della serata i cinque si erano scambiati i numeri di telefono ripromettendosi di organizzare un’uscita insieme il sabato seguente: e così era stato!

Nel corso della settimana, Lucio aveva parlato un po’ con tutti e quattro al telefono, e insieme si era deciso di organizzare una cena in pizzeria per il sabato seguente. A quella cena sarebbero venute anche altre persone, amici e amiche dei quattro studenti.

Da quando si era alzato al mattino, Lucio sentiva che quella sarebbe stata una sera speciale… che sarebbe successo qualcosa d’importante… Sì, ma cosa? Non osava ammetterlo a sé stesso, ma in fondo sentiva che fra quelle persone ce ne sarebbe stata una che… che gli avrebbe cambiato la vita.

La pizzeria non aveva un nome originale – Marechiaro – ma era in una posizione allo stesso tempo centrale, vicino proprio all’Università Statale, e nascosta, cioè in uno di quei vicoletti laterali che nascondevano le vere bellezze architettoniche e artistiche di Milano, impedendole così di dare alla metropoli quella fama di città d’arte che si sarebbe meritata. Il vicolo si apriva in una piazzetta, in cui si trovava anche la Marechiaro, incastonata in una fila di palazzi e mura che sembravano persi in un’era passata ma indefinibile, costruiti con mattoni di quel rosso che solo in quei vicoli si vedevano, con fregi in stucco dai ghirigori magici e ipnotici, o con cancellate attraverso le quali si intravedevano giardini lussureggianti con statue di quegli artisti anonimi eppur geniali che sembravano essere fioriti nell’oblio del mondo, solo per essere fagocitati dall’aristocrazia meneghina per il loro recluso piacere personale.

La mente di Lucio fu sfiorata appena da questi pensieri mentre aspettava solitario fuori dal locale. Era stato il primo ad arrivare all’appuntamento, ed era ancora l’unico quando finalmente vide arrivare il gruppo che attendeva. Lo vide da lontano, una decina di persone, prima all’imbocco del vicoletto, poi sempre più vicini e distinti. Ma fin da subito, Lucio aveva notato una figura che si distingueva fra tutte le altre. Una figura femminile, manco a dirlo. Aveva i capelli lunghi e ricci, ricci in un modo armonioso, persino artistico, ma non artificioso. Erano scuri, eppure lucidi e luminosi, tanto da distinguersi nel buio della sera. Anche la carnagione era scura, senz’altro mediterranea. I lineamenti non erano regolari, eppure… esprimevano una bellezza classica, antica, con un che di aristocratico, nel senso letterale del termine: in quei tratti Lucio vedeva un’armonia, una nobiltà d’animo, di pensiero, di carattere, propri di una personalità fuori dal comune, unica e migliore appunto rispetto alla massa degli altri.

Di colpo – o almeno così sembrò a Lucio – il gruppo si trovò davanti a Lucio, a pochi centimetri da lui… e la ragazza sconosciuta proprio in faccia allo studente di Lingue. E lo sguardo di Lucio, come attratto da una calamita, si fermò negli occhi della ragazza. Occhi neri, profondi e luminosi come i suoi capelli. Dentro gli occhi della ragazza, per essere esatti.

Lucio non capì cosa stava succedendo. Non ebbe il tempo di chiederselo, ma in fondo neanche la volontà. Tutto ciò che era intorno a quegli occhi svanì, e Lucio sentì che si stava spostando altrove. Di colpo il suo campo visivo tornò ad allargarsi, pur mantenendo il centro nelle pupille nere della ragazza. Poco a poco Lucio vide il suo volto, sul quale s’era formato un sorriso sardonico, simile a quello di un gatto che ha messo un topo all’angolo, ma aspetta a mangiarlo, per prolungare il gusto della vittoria, prima di compierla del tutto. I suoi ricci si spostavano lentamente, come mossi da una brezza leggera… la stessa che lui avvertiva attorno a sé.

Finalmente mise a fuoco tutto il corpo della ragazza. Era coperto da una specie di tunica, ma di un tipo che Lucio non aveva mai visto. Aveva uno sfondo celeste, sul quale comparivano figure affascinanti ed elaborate, che però lo studente non era capace di riconoscere. Cos’erano?

Erano figure di animali mitologici, nei quali non era ferrato? Erano squisiti ed elaborati disegni astratti, lavori di una mano di raffinata fantasia? Erano caratteri di una lingua dimenticata, di una scrittura talmente antica da essersi persa ogni traccia al di fuori di quella veste? E quella ragazza chi era? La loro ultima depositaria? Forse quegli arcani ghirigori erano un po’ l’una e l’altra di tutte quelle cose.

Lucio non le fece nessuna di queste domande, ma lei, senza dire una parola, gli afferrò la mano. Quella stretta! Lucio ne rimase impressionato. Era forte, calda, ma insieme tenera, rassicurante. E la pelle… così morbida!

D’istinto Lucio abbassò lo sguardo sulle loro mani riunite, e prima di rialzarlo, la mano di lei lo trascinò. Lucio rialzò lo sguardo e fece appena in tempo a scorgere il viso di lei, ora disteso in un sorriso radioso, giocoso, quasi infantile, prima che lei gli volgesse il capo. Si stavano muovendo, velocemente, ma non stavano correndo, e neanche volando, eppure si spostavano a una tale velocità che intorno a loro Lucio non vedeva costruzioni o paesaggi, ma solo macchie di colore indistinte e sempre mutevoli. Quindi si fermarono. Non fu una frenata, né un atterraggio, ma Lucio sentì sotto i suoi piedi un suolo soffice ma stabile, e il vortice di colori si arrestò.

La ragazza ora era al suo fianco, sempre tenendolo per mano. Il suo sorriso ora era giocoso, quasi infantile. Lucio vide cosa c’era attorno a quel volto: un cielo di un azzurro dall’intensità quasi solida, decorato da strisce di nuvole bianchissime, illuminato da un sole di una lucentezza radiosa ma non accecante, che anzi permetteva di vedere qualunque dettaglio con nitidezza. Il suono di uno sciabordio dal ritmo lento e preciso lo spinse a volgere gli occhi in basso, verso il mare infinito che si stendeva davanti a loro. Un mare in calma piatta, la cui acqua aveva un colore blu acceso, cobalto, simile a quello del cielo, ma abbastanza diverso da stagliarsi in un confine inconfondibile.

Avvertì ai suoi piedi una sensazione strana, ma gradevole, guardò la sabbia. Era di un bruno ramato, era soffice, ma compatta: Lucio non ne aveva mai vista una cosa così… né sentita sotto i piedi. La spiaggia si stendeva a perdita d’occhio sia a nord che a sud. Lucio rinunciò a cercarne la fine e tornò a guardare l’incanto più grande: il volto della ragazza.

I suoi occhi scuri brillavano di una gioia purissima, complice e contagiosa, che pervase Lucio di un’emozione inedita ed entusiasmante. Il suo sorriso aveva un’intensità magnetica, che non aveva nulla di enigmatico o ambiguo.

Ancora la sua ragazza gli girò la schiena e iniziò a strattonarlo. Il volto fu l’ultima cosa di lei a voltarsi, dopo avergli lanciato uno sguardo imperioso ma carico di promesse. I due entrarono in una vegetazione rada ma intensa, con cespugli e alberelli dalle foglie di un verde vivo. Lo spiazzo si trovava a pochi metri dalla spiaggia, ma solo in quel momento Lucio lo notò.

Quel boschetto si fece sempre più fitto man mano i due avanzavano: era una vera e propria corsa stavolta, e ben presto si trovarono dentro una foresta… una foresta che ospitava alberi dal tronco maestoso e brunito, da ciascuno dei quali partivano rami solidi che ospitavano nidi popolati da uccellini dagli squittii melodiosi e armonizzati con quelli delle loro madri dai becchi ricolmi; su e giù per quei tronchi correvano animaletti svelti e dai manti folti e striati di vari colori, dalle code lunghe  e vaporose, e gli alberi erano coronati da fogliami i cui colori erano di una vivezza, uno splendore e una varietà che Lucio non aveva mai né visto né immaginato. Una foresta che turbinava di vita, di piante, odori, suoni, colori e visioni alle quali Lucio non trovava riferimenti nella sua memoria. Lucio non sapeva dove si trovava, né come, né perché, ma sapeva con chi. E la guardò di nuovo. Il sorriso della ragazza si era fatto ancor più vivace e scherzoso. Lei si scostò dal giovane e fece una specie di giravolta su se stessa, allargando leggermente le braccia. I suoi capelli si sollevarono e rotearono insieme a lei, i ricci traballarono una specie di danza coordinata con l’ampio svolazzo e con i colori della tunica, cha baluginarono in una specie di breve arcobaleno. Finito il giro la ragazza si fermò, ora distaccata da lui di non più di mezzo metro.

Lucio sentì dei rumori venire da dietro la ragazza, come di ramoscelli calpestati. Altri rumori simile arrivarono dai due lati della ragazza. E così Lucio vide due grandi felini avvicinarsi a lei, più grossi di qualunque leone o tigre Lucio avesse mai visto.

Alla destra di lei si muoveva un animale simile in effetti a un leone… dimensioni a parte. La sua criniera era però meno folta di quella dei leoni comuni, era una specie di cuffia scura e pelosa che partiva da un punto in mezzo ai suoi occhi e si allungava fino all’inizio della schiena, e si allargava in mezzo fino a coprirgli tutto il collo; sul suo mento spuntava una specie di pizzetto chiaro, e tutto il suo manto era di uno strano colore giallastro, più chiaro della criniera, quasi arancione. L’appoggio delle sue zampe era largo, dall’aspetto morbido, e calcava il suolo con grazia ed eleganza. Le sue zampe erano affusolate, sembravano quasi piegarsi su se stesse, prima di stendersi lentamente nella loro lunghezza: Lucio si chiese che razza di quali fenomenali salti erano capaci. La schiena si innalzava una ventina di centimetri in più dei grandi felini noti a Lucio e il suo corpo si allungava una decina di centimetri in più.

L’altro felino aveva le stesse dimensioni del leone, ma a Lucio parve ancor più singolare. Non aveva criniera, e il suo manto era di un blu intenso, quasi elettrico, costellato di ampie chiazze nere, quasi assente sulle zampe, frequenti sui fianchi e sulla schiena, ma che si facevano sempre più fitte e piccole man mano si avvicinavano al volto, che era infatti ricoperto da queste macchie, che gli facevano quasi da maschera.

Entrambe le fiere rivolgevano a Lucio uno sguardo intenso e inquisitorio ma non minaccioso, come se lo esaminassero mantenendo però una specie di fiducia preventiva. I loro movimenti, man mano si avvicinavano alla ragazza, sembravano persino sincronizzati, tanto erano regolari e sinuosi. Arrivati esattamente ai lati della ragazza, i due animali si fermarono e si accovacciarono, senza staccare gli occhi da Lucio.

I suoni che venivano dalla fonte invisibile dietro la ragazza si trasformarono in un potente ruggito e, come un fulmine, un terzo felino compì un balzo ergendo il proprio corpo quasi in rettilineo, che nel giro di pochi secondi si appoggiò con grazia sopra un enorme ramo del gigantesco albero che si stagliava davanti a Lucio. Lo studente rimase sbigottito. Se la sua enorme stazza non costituiva più una sorpresa, il resto del suo aspetto era il più fantastico dei tre.

Il manto era di un azzurro vivo, terso, ed era cosparso di dischi colorati: macchie rosse, verdi, gialle, viola, arancione, racchiuse in cerchi perfetti sparsi lungo i fianchi e la schiena. Le zampe e il volto però ne erano privi. Il campo visivo di Lucio era occupato ora dal corpo della ragazza e da quello della pantera azzurra. E Lucio vide che il colore del manto era uguale a quello della tunica gli occhi del felino avevano lo stesso nero intenso della ragazza. I suoi ruggiti si sovrapposero alle risate luminose della ragazza, fino a confondersi. Poi gli uni e le altre si quietarono e la ragazza assunse un sorriso tenero, unito a uno sguardo complice. La mano di lei si allungò di nuovo per afferrare la destra di Lucio, che sorpreso abbassò ancora lo sguardo su quella presa.

Quando lo rialzò il sorriso di lei era rimasto lo stesso, ma alle sue spalle c’era la piazzetta di Milano.

– Piacere, mi chiamo Sofia – disse la sua voce argentina e sopranile.

Prima ancora di rispondere, Lucio sapeva che per la prima volta in vita sua si era innamorato.

 

 

Mario Luca Moretti

Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano

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