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LE REGOLE DEL GIOCO DI VITTORIO CURTONI

LE REGOLE DEL GIOCO DI VITTORIO CURTONI

 

 

(Perry Rhodan n. 6, ottobre 1976)

Un sibilo verde gli sfrecciò davanti al vetro del casco, e i suoi occhi si contrassero spasmodicamente, come accecati da quel movimento inatteso. Accese l’intercom.

– Morrison, – gridò forte, eccitato, – qui c’è qualcosa. Coordinate: 1,23 del terzo diagramma. Si spicci.
La voce dell’altro lo raggiunse debole.
– Ricevuto. Arrivo.

Il sole, niente più che un debole riflesso giallo nel cielo, stava calando con una lentezza incredibile. Aller si chinò dietro un cespuglio morente, cercando di nascondersi nel miglior modo possibile, e restò in attesa.

Isolato termicamente ed acusticamente dal mondo esterno, gli sembrava un rumore terribile il suo stesso respiro, e avrebbe potuto persino temere che quell’andito regolare lo potesse scoprire, se quell’idea non fosse stata troppo stupida per essere solo degna di essere presa in considerazione. Decine d’anni di allenamento psicologico a situazioni del genere costituivano in fin dei conti la sua migliore difesa, ed egli ne era ben conscio. Stava cominciando a registrare il diario della giornata quando Morrison, il suo compagno, si materializzò a pochi metri da lui. Gli bastò una semplice occhiata per localizzarlo, e subito si diresse verso di lui, dietro il cespuglio.

– Salve, – fece Morrison, – Cos’ha trovato?
– Vita. Tanto basta, no?
L’altro spalancò la bocca in un gesto di stupore.
– Finalmente! Cielo, Aller, siamo i primi! Ci pensa che gloria?

Scrollò le spalle. In verità l’idea di diventare famoso non gli era del tutto antipatica, ma veniva in second’ordine per lui, dopo i doveri di partito e tutto il resto.

– La verità prima di tutto, Morrison, – gli rammentò. – Potremo anche ottenere qualche riconoscimento, non lo nego, ma il nostro compito è principalmente quello di appurare i fatti, non lo dimentichi.
L’altro sbuffò.

– D’accordo, d’accordo. Lo so benissimo. Mi concederà però di essere un po’ eccitato al pensiero di quando faremo rapporto alla base. Legittimo orgoglio, no?

Si accucciò dietro il cespuglio, dato che fino a quel momento era rimasto in piedi, ed estrasse un foglio da una tasca della tuta.

– Che cos’ha visto, Aller?

– Non ne sono sicuro, ma credo che fosse un uccello. Oppure poteva essere un insetto, ma era troppo grosso. M’è volato di fronte, senza apparentemente notarmi, e ha proseguito in direzione nord. È scomparso dietro quelle montagne là in fondo. Ad occhio e croce direi che dovesse volare ad almeno 60 chilometri orari. Era totalmente verde, a quanto ho potuto vedere.

Morrison gettò gli occhi sulla carta che teneva in mano, una riproduzione fedele al cento per cento dei luoghi in cui si trovavano, tracciata anni addietro dalle prime squadre d’esplorazione.

– Siamo in Africa, Morrison. Quei monti là dietro devono essere emersi dall’oceano abbastanza di recente. Probabilmente di là c’è ancora acqua. – Consultò di nuovo la carta.
– Certo, ecco qui. C’è una specie di grande lago lievemente salato, stando a quanto dice la carta. Un resto dell’oceano, evidentemente.
Morrison annuì.
– È perfettamente logico. La vita si conserva dove c’è acqua. Credo che per domani ci convenga spostarci là, e forse potremo trovare qualcosa di veramente interessante.
– D’accordo. Vuol dire che domani faremo un giro d’esplorazione in riva al lago, senza allontanarci troppo l’uno dall’altro. Questi sono gli ordini, e poi non si sa mai cosa potrebbe succedere, a dire il vero.

Davanti a loro il terreno si stendeva arido, d’un colore giallastro. I pochi cespugli che spuntavano a tratti erano anch’essi della stessa tonalità, e finivano per dare al tutto l’aria malinconica d’un immenso giardino abbandonato. Per un attimo Aller si lasciò trasportare da un’onda di malinconia per quella terra così immiserita dal passare impietoso dei secoli.

– Un bello schifo, eh? – La voce di Aller troncò d’improvviso il corso dei suoi pensieri. – A volte nemmeno io riesco a rendermi conto di dove siamo. Pensare che qui fioriva un tempo una civiltà, che degli uomini sono passati su queste terre, è un pensiero troppo duro per un uomo solo. Fortuna che siamo in due.
– Crede forse che il Governo lasci qualcosa al caso? Se siamo in due è evidente che ci sono necessità psicologiche impellenti che lo richiedono.

Morrison sorrise, e dietro il vetro del casco la sua parve solo una smorfia.

– Lei ha perfettamente ragione. E poi, pensi un po’ se un esploratore come noi giungesse qui da solo, ed alterasse i dati. Lei sa meglio di me quello che succederebbe, no?

Il tono ironico della voce colpì Aller ancor più sgradevolmente delle parole, ma se ne rimase in silenzio, cercando di evitare una lite che sarebbe stata solo inutile.

Morrison, invece, proseguiva il suo irritante monologo.

– È un po’ come una corsa, in fin dei conti. Sia io che lei sappiamo benissimo i risultati che si possono ottenere, ed anche noi personalmente non giochiamo nulla, è vero però che il risultato di queste esplorazioni deciderà del futuro assestamento del governo, e per conseguenza del nostro modo di vedere le cose. È tutto vero, no? E immagini allora che uno di noi due uccida l’altro, quando avrà saputo d’aver perso, e poi dica che s’è trattato solo di un banale incidente. Una belva magari. O un lago. O tante altre cose, visto che siamo in luoghi lontani migliaia di anni dalla civiltà. Come crede che andrebbero le cose? Gli crederebbero? E soprattutto, i suoi risultati varrebbero per il Congresso? Io credo di sì. In fondo non sono molti quelli che hanno il coraggio di venire qui, e chi si presterebbe a cuor leggero a un’esplorazione di un luogo dove si sa che un altro è già morto? No, ne sono sicuro, filerebbe tutto liscio.

Aller si volse di colpo verso di lui, squadrandolo febbrilmente.

– Non so quali siano le sue intenzioni, ma se crede che io sia qui per ucciderla, si sbaglia. Qualunque sia il risultato che otterremo l’accetterò volentieri, senza tentare di deviare gli eventi a mio favore. Perciò si tenga per lei queste elucubrazioni, se non le dispiace. In caso contrario mi vedrò costretto a fare un rapporto sfavorevole sul suo conto.

– Oh, – rise Morrison, – mi spiace di averla tanto irritata. Davvero non volevo. Le mie erano solo considerazioni accademiche, niente di più. Mi crede? – La risposta di Aller fu solo un indistinto mugolio, che l’altro interpretò come un mugolio d’assenso.

* * *

Alle 21, ora standard terrestre, i due si materializzarono nel loro campo, mentre il sole ancora inondava del suo fioco chiarore il paesaggio. Il campo era stato eretto due giorni prima, al loro arrivo, nella zona di maggior vegetazione nel raggio di parecchi chilometri. S’erano sistemati lì per sentirsi meno estranei in quella vecchia terra di migliaia di secoli; il deserto sarebbe sembrato loro insopportabile da vedere giorno e notte.

Tutto l’alloggio consisteva di una tenda impenetrabile a pressione, grande a sufficienza per contenere oltre ai due esploratori anche tutto il loro bagaglio di materiale di ricerca, dove l’atmosfera della loro terra era riprodotta da impianti autonomi. Così i due potevano finalmente sentirsi liberi dalle impaccianti tute e sentirsi umani come tutti gli altri, se non altro nell’abbigliamento.

La loro cena, come il giorno precedente e tutti i giorni che sarebbero seguiti, consistette semplicemente in un insieme di paste di tutti i colori e sapori, veri condensati di vitamine e proteine. I due pasti quotidiani servivano semplicemente a tenerli in vita, e non certo a soddisfare i loro palati, ma si consolavano pensando che in fondo tutto sarebbe durato solo 20 giorni, e poi sarebbero tornati alla normalità.

Dopo cena Morrison si concesse una sigaretta, mentre Aller, che non aveva mai fumato in vita sua, sorbiva lentamente un bicchiere di cognac, unico lusso permesso agli esploratori temporali.

Più tardi entrambi registrarono il loro rapporto quotidiano, tralasciando la piccola discussione che avevano avuta, del resto ormai quasi dimenticata. Quando ebbero finito restarono a chiacchierare per un po’, tanto per conservare un’abitudine contratta praticamente dalla nascita e per abbreviare il tempo d’attesa del sonno.

– So ancora poco di lei, Morrison – esordì Aller. – Mi parli un po’ di quello che ha fatto.

– Che vuole che le dica? Non c’è niente di particolarmente notevole nella mia vita. Se vuole sapere perché sono un progressista, le dirò che anche mio padre lo era, ma questa non è una ragione valida. Potrei darle tanti motivi, ma sarebbe un’elencazione inutile, dopo tutto. Il fatto è che io credo nelle macchine, nella loro importanza, e questo mi basta per votarmi a un partito che mi promette un futuro tecnologico. Sono venuto qui per questo, se no me ne sarei rimasto comodamente a casa mia a vedere gli altri affaticarsi per darmi la risposta che cerco. Io credo nella nostra vittoria, Aller. Non soffro di tormenti ed incubi, la notte. Il Governo sarà progressista, vedrà.

– Può darsi. Ci sono solo due possibilità, non lo dimentichi: o progressista o indietrista. Cioè il 50 per 100 a testa. Così come stanno le cose, sarebbe del tutto impossibile giungere a un compromesso. E anche io sono sicuro della mia vittoria, se non è che questo.

Morrison sorrise.

– Le credo, anche se può sembrare un controsenso. Il guaio è proprio questo, che siamo tutti e due sicuri. Chi avrà realmente ragione, poi, lo sa il cielo. Obbiettivamente, Aller, lei come crede che sarà andata a finire?

– Com’è finita? Oh, ci sono tante possibilità. Potrebbe essere stata la bomba, e questo è molto probabile. Oppure un gigantesco errore, che abbia distrutto tutto. Sarebbe anche possibile che i robot abbiano preso il sopravvento e ci abbiano fatti sparire dalla faccia del pianeta, ma fino ad oggi nessuno ne ha visto tracce, e quindi non ci credo. In ogni modo, ci sono mille possibilità a suo sfavore.

– E per lei no, forse? I suoi bravi teorici che predicano il ritorno alla natura non pensano all’inaridimento mentale di una civiltà chiusa in se stessa, condannata a restare sul suolo d’origine dalla mancanza di tecnologia? Nel giro di poche generazioni la noia sommergerebbe tutto. Una fine lenta e indolore, se vuole senza rischi, ma molto meno eccitante e coraggiosa di una catastrofe meccanica.

Aller scosse vigorosamente il capo, mentre una ruga gli tagliava in due la fronte.

– In questo lei sbaglia, Morrison. Il pericolo di un inaridimento mentale viene tutto semmai da una società tecnologica, che tralascia facilmente la personalità del singolo individuo per arrivare alla psicologia della massa. Del resto tutti i secoli di grande sviluppo tecnico hanno segnato il passo nel campo artistico, proprio perché l’arte è fatto individuale, non collettivo. Noi siamo degli introversi, questo è il punto, convinti che l’uomo possa trovare in se stesso la sua spiegazione. Lei invece guarda fuori, vuole le stelle, l’universo, e l’uomo le serve solo come strumento per raggiungere tutto questo. Non è vero?

– Se lei mette le cose sotto questo punto di vista, può anche avere ragione, ma io vedo tutto in maniera differente. Per me l’universo è il punto di arrivo delle ambizioni umane, la nostra ultima meta, e solo con la tecnologia ci sarà possibile conquistarlo. Questione di punti di vista, in fin dei conti.

– Mi domando solo, – fece Aller lentamente, – come sarà la vita nel futuro per quelli come me, se vincerete voi. Pensi un po’ a un amante della musica costretto ad ascoltare solo sinfonie di numeri. Sarà orribile, per loro.

– Li forgeremo, Aller. Saranno tutti grandi tecnici, scienziati , conquistatori. Porteremo la scienza invece della letteratura. Il gioco è stato accettato, e chi perderà dovrà adattarsi. Se no non ci sarebbe scopo a fare questo.

Restarono un attimo in silenzio. Aller fissava intensamente il volto dell’altro, senza riuscire a comprendere i pensieri che lo agitavano.

– E poi, quando avrete conquistato l’universo? Che ve ne farete della vostra tecnologia?

– Troveremo qualcos’altro, senza dubbio.

* * *

IL lago era parecchio grande, considerato che si trattava di quel poco che restava dell’evaporazione dell’Oceano Atlantico. A poco a poco, tuttavia, anch’esso avrebbe finito coll’evaporare, distruggendo definitivamente ogni possibilità di vita in quei territori.

La vegetazione era abbastanza fitta, anche se mancava una vera e propria distesa di verde. Sembrava piuttosto che la natura si fosse adattata a sopravvivere con quello che le veniva offerto, tentando di non spegnere la scintilla dell’esistenza. Le poche piante nane, probabilmente discendenti degenerate delle palme, avevano il tronco rossiccio e ruvido. I rami erano scarsi, senza frutti di sorta, e nulla agitava quel silenzio immoto, desolato.

Aller alzò la testa verso una delle piante, scuotendo di nuovo il capo. – Devo aver preso un abbaglio, Morrison. Dopo tanto tempo di ricerche è probabile che abbia creduto di vedere qualcosa che non c’era. Mi pare proprio che qui ci sia solo della vegetazione.

Avevano trascorso tutta la mattinata a cercare invano tracce dell’uccello verde sulla riva del lago, e non avevano trovato niente, nemmeno un’indicazione che li potesse mettere sulla buona strada. Sembrava che lì ci fosse solo morte, come dappertutto in quell’Africa futura.

– No, – ribatté Morrison, – impossibile che lei si sia sbagliato. Non siamo certo noi i tipi che soffrono di allucinazioni, lo sa. Piuttosto può darsi che l’uccello sia volato oltre, e in questo caso torniamo al punto di partenza, perché non vedo proprio con quali criteri potremo rintracciarlo.

Aller si chinò a raccogliere un ciuffo d’erba giallastra, per catalogarlo e studiarlo la sera.

– Che facciamo, allora? Continuiamo qui o cambiamo zona?

Morrison alzò le spalle.

– Qui o altrove, non credo che faccia poi una gran differenza. Ormai che ci siamo, restiamoci. In fin dei conti questo posto offre maggiori possibilità di qualsiasi altro, per via dell’acqua. Non è d’accordo?

– Va bene. Se non troviamo niente, però, propongo senz’altro di cambiare zona, domani, per non sprecare tempo in ricerche inutili.

Morrison non gli rispose. Stava osservando la superficie dell’acqua, completamente liscia, senza neppure un’onda. Stranamente quel lago non faceva aumentare l’impressione di desolazione che emanava dal tutto, proprio perché mostrava chiaramente di essere totalmente disabitato. Guardandolo, egli sentì un nodo di paura prenderlo alla gola, una paura atavica, invincibile ed irrazionale. Distolse gli occhi da quello spettacolo e cercò di distrarsi fischiettando. Aller lo guardò stupito.

– Che fa, fischia?

Morrison sorrise, incerto se spiegare o meno le sue sensazioni.

– M’è capitato qualcosa di strano, adesso. Stavo guardando l’acqua, e automaticamente m’è venuta in testa l’idea del bagno, e allora ho pensato che non mi butterei in questo lago per tutto l’oro al mondo. Non so perché, Aller, ma ho pensato a tutte le cose che potrebbero nascondersi dietro a questa facciata d’apparente tranquillità, e ho avuto paura. È difficile da spiegare, ma penso mi possa capire lo stesso.

Aller si sedette, facendo segno di sì con la testa.

– È lo stesso anche per me. Solo che io ho paura non di quello che l’acqua può contenere, ma di quello che può non contenere. Immagini un po’ d’essere solo a nuotare qui dentro. Solo fino alla nausea. Nell’acqua neppure un pesce, un mollusco, niente di niente. Sarebbe la cosa più sola di tutto l’universo, Morrison, coi suoi pensieri e le sue paure. Io credo che la morte potrebbe ghermirla a suo piacimento, in un simile stato di cose.

– Due paure diverse ma uguali. È sempre l’ignoto che temiamo, Aller, e lei se ne rende benissimo conto. Io ho paura di un ignoto affollato, e lei di un ignoto deserto. Quest’acqua è la barriera che ci separa dai nostri timori più ancestrali, e credo proprio che affrontarla ci sarebbe fatale. Ho paura davvero, Aller.

L’altro si strinse forte le gambe tra le braccia, irrigidendosi in una posizione scomoda ma rassicurante.

– Siamo troppo distanti, Morrison. Questo è il fatto. Davanti a noi abbiamo solo tempo, tempo e ancora tempo, una cosa spaventosa. Tutto quello che noi conosciamo è scomparso, anche se sappiamo benissimo che fra 18 giorni ritroveremo tutto immutato. È la parte irrazionale di noi che si ribella. Positivamente non abbiamo nulla da temere, ma in effetti…

Si raggomitolò ancora di più, rabbrividendo. Non poteva vedere dove finisse quella massa d’acqua, ma poteva anche terminare all’inferno, per quello che lo riguardava.

* * *

Stava dormendo un sonno agitato. Immagini imprecise s’agitavano al limite della sua coscienza, dandogli una sgradevole impressione d’incubo. Un ricordo impreciso volteggiava turbinosamente sui visi di persone note e sconosciute, e c’era qualcosa di molto importante da afferrare, ma la sua mente si rifiutava di farlo.

Stava ballando con una ragazza. Una splendida ragazza. L’orchestra eseguiva un ballo antico, languidissimo, sensuale. Le sue mani si chinavano a carezzare i capelli neri della donna, senza che le sue labbra trovassero il coraggio di posarsi dove avrebbe voluto, e poi di colpo successe qualcosa che lo fece sobbalzare.

L’orchestra stonò. Il delicato minuetto si trasformò in una cacofonia di impressioni metalliche, irritanti. Lasciò la ragazza con tristezza e si trovò ritto sul letto, con le orecchie tese.

Qualcosa aveva disturbato il suo sonno. Morrison invece dormiva placidamente, con le lebbra serrate, i pugni aperti, una lieve ombra di riso dipinta sugli occhi. Decise di non svegliarlo. Probabilmente non era nulla di grave, e non valeva la pena di rovinargli la notte per una sciocchezza. Sarebbe eventualmente tornato a chiamarlo, se avesse veramente scoperto qualcosa.

Indossò in fretta la tuta, senza nemmeno lavarsi, afferrò la torcia elettrica e uscì. Cercò di ricostruire mentalmente il rumore che lo aveva destato, e l’unica definizione che riuscì a trovargli fu quella di “metallico”, il che lo allarmò non poco. Cosa diavolo poteva produrre un rumore del genere in un mondo morto alla civiltà?

La notte era rischiarata fortemente dal chiarore latteo di milioni di stelle, perfettamente visibili nel cielo sgombro di nubi. La luna invece era molto simile a uno spettro trasparente, debolmente illuminata come era da un sole ormai sulla via del declino.

Traversò in fretta la zona di vegetazione, lasciandosi in breve la tenda alle spalle. La torcia illuminava il terreno di fronte a lui, mostrandoglielo assolutamente sgombro, com’era abituato a vederlo di giorno. Non c’era assolutamente niente che potesse giustificare quella sua uscita notturna.

Fu per caso che lo vide. Alzò gli occhi al cielo, ed una piccola ombra in movimento gli sembrò oscurare il chiarore delle stelle. La torcia gli rivelò che si trattava della stessa creatura del giorno prima, l’uccello che avevano cercato invano tutto il giorno.

Senza staccare gli occhi dall’essere, accese l’intercom.

– Morrison, si svegli. L’ho visto ancora. Possiamo prenderlo. Morrison, mi sente?

Non ottenne nessuna risposta. Neppure l’ansito dell’uomo addormentato giungeva alle sue orecchie. Disperato, non sapendo cosa fare, si materializzò velocemente nella tenda, perdendo così di vista l’uccello. Morrison non c’era. La sua brandina era sfatta, come se anche lui si fosse alzato d’improvviso. Inoltre mancavano tuta e torcia, il che indicava inequivocabilmente che l’altro l’aveva seguito.

Di nuovo si materializzò dov’era prima, appena in tempo per scorgere il volo dell’uccello dirigersi verso il lago. Dopo un attimo d’esitazione decise di materializzarsi là, anche a costo di perderlo. D’altronde seguendolo troppo a lungo rischiava di spaventarlo e farlo fuggire.

Di notte il lago gli sembrò anche più terribile di quanto non lo fosse di giorno, d’un orrore spettrale e demoniaco. Non lo guardò troppo a lungo, spaventato dalle sue stesse reazioni di fronte a una cosa sostanzialmente innocua come una massa d’acqua.

Nell’eccitazione del momento s’era persino dimenticato di Morrison. Se ne ricordò improvvisamente e provò a chiamarlo senza risultato. Doveva essersi materializzato molto lontano da lì, fuori del raggio d’azione degli intercom. Chissà cosa stava facendo. Che avesse visto un uccello di quella specie anche lui?

Qualche minuto dopo il suo esemplare si posò su un ramo della pianta vicino a lui, mettendosi a lisciarsi indifferente le penne, come se la sua presenza gli fosse usuale. Restò qualche secondo a meditare sul modo migliore per catturarlo, poi si mosse per avvicinarsi all’albero.

La voce di Morrison esplose nell’intercom.

– Fermo lì, Aller, non un passo di più.

L’uccello smise di lisciarsi le penne, e volse gli occhi verso di lui, fissandolo con curiosità interessata.

– Morrison, – gridò Aller. – Dio sia lodato! È qui! Credevo d’averla persa. Ha visto cos’ho trovato? Io…

La voce gli morì in gola. Morrison stava dietro di lui, e teneva in pugno uno storditore elettronico, puntato esattamente verso la sua faccia.

– Cosa crede di fare, Morrison? – La voce di Aller era insicura, nervosa.
– Ammazzarla, semplicemente. Glie l’avevo promesso, in un certo senso. Non mi dica che non se l’aspettava.
– Ma perché?

Aller cercava d’indietreggiare, per sottrarsi al fascio di luce della torcia dell’altro. Il buio sarebbe stato una difesa sufficiente fino al mattino. Ormai capiva che Morrison faceva sul serio.

– Tanto vale che lo sappia. Quell’uccello non è un uccello, Aller, ma un robot. Ci ha tenuto d’occhio da quando siamo arrivati. Lei certo non se n’è accorto, stupido com’è, ma io vedo tutto, e capisco.

Inconsciamente, Aller guardò in alto. L’uccello aveva ripreso a lisciarsi coscienziosamente, senza più curarsi di loro. Possibile che fosse davvero un robot? O non era forse l’altro completamente pazzo?
In ogni caso doveva stare al suo gioco.

– Morrison, ragioni. Se quello è un robot, chissà quanti altri ce ne saranno sulla faccia del pianeta. Vuol dire che ci hanno fregati, Morrison! Non si rende conto dell’assurdità del suo progetto? Se nessuno andrà a raccontare al Congresso che dei robot ci hanno tenuti d’occhio, forse gli indietristi saranno sconfitti, ed allora noi faremo questa fine. Morrison, ragioni!

L’altro gli si avvicinò sempre più, con un’espressione di odio fanatico dipinta sul viso.

– Taci, sporco indietrista. Se qui ci sono dei robot vuol dire che abbiamo vinto noi, e tu non puoi cambiare il futuro. Io ti ucciderò e nessuno saprà nulla. Il Governo sarà progressista, idiota. Non l’hai ancora capito?

Guardò ancora, spasmodicamente, l’uccello. Un robot? No, cielo, Morrison era pazzo. Non poteva essere che…

Il calcio dello storditore gli fracassò improvvisamente il vetro del casco, ed egli cadde a terra, stordito dall’improvvisa mancanza d’ossigeno.

* * *

Si rese conto del freddo poco per volta, mentre riemergeva dalle nebbie dell’incoscienza. La sua bocca si apriva troppo velocemente, tentando di aprire la maggior quantità possibile d’ossigeno in un’atmosfera che non era certo ricca.

Poi cominciò a capire. Faceva troppo freddo. E i suoi piedi affondavano in qualcosa di molle, d’inconsistente. Non c’era assolutamente nulla di simile vicino al loro accampamento, se non…

Cominciò a piangere, agitando inutilmente le mani nell’acqua. La paura che lo paralizzava gli impediva di avere una qualsiasi altra reazione.

La luce della torcia di Morrison lo accecò quasi, tanto fu improvvisa. L’uomo era sulla riva del lago, e lo guardava ghignando da dietro il vetro del casco. Ogni tanto si voltava ad osservare l’uccello, che continuava a restare immobile sull’albero.

Teneva lo storditore puntato contro di lui, ed era chiaro che l’avrebbe immediatamente ucciso se solo avesse tentato di uscire dal lago. Voleva vederlo morire di paura, e certo gli sarebbe dispiaciuto dover sparare, perché si sarebbe privato di uno spettacolo interessantissimo. Oltre che pazzo doveva essere anche sadico.

Aller cominciò a gridare, senza rendersi conto che l’altro non lo poteva udire, isolato com’era da tutti i rumori esterni.

– Sei un vigliacco! Un miserabile vigliacco! Avevi detto tu stesso che bisognava rispettare le regole, e invece mi fai fuori come un cane. Mi fai schifo, Morrison! Schifo!

Si asciugò con rabbia le lacrime, mentre la paura spariva e lo prendeva una fredda determinazione. Guardò a lungo il lago, che intuiva farsi sempre più profondo avanti a lui, guardò Morrison. Avrebbe almeno voluto sapere se moriva per qualcosa di vero, se l’uccello era davvero un robot, ma non c’era tempo per le spiegazioni.

Morrison continuava a ridere. Lui avanzò un poco nell’acqua, fino ad averla al ginocchio, e si spogliò. Morrison smise di ridere, e prese a fissarlo senza capire.

Non si voltò indietro. La luce della torcia poco a poco lasciò il posto all’oscurità più totale, mentre le sue bracciate lo portavano verso il largo, là dove il nulla era in attesa per lui.

Una vertigine rabbiosa di piacere l’invase. Si sentì parte di quell’antichissimo mondo futuro, una piccola goccia d’acqua come tutti i miliardi di gocce che formavano quel lago salato, e nuotò con disperazione, con felicità, fino a che le braccia lo abbandonarono e si sentì trascinare giù, sempre più in basso, fino in fondo.

 

Vittorio Curtoni, © 1976

Vittorio Curtoni
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Entrò nel mondo della fantascienza italiana giovanissimo, collaborando ad alcune delle prime fanzine italiane assieme a Luigi Naviglio, inizialmente suo mentore. Come scrittore si concentrò soprattutto su racconti, esordendo su una pubblicazione professionale nel 1966, con il racconto "Danzate, morituri!" sulla rivista romana Oltre il Cielo. Nei suoi ultimi anni diresse la nuova versione di "Robot," che aveva ripreso le pubblicazioni nel 2003, per la quale Curtoni ricevette il premio europeo del "Grand Prix de l'Imaginaire 2006." Nel 2011, l'anno della sua scomparsa, pubblicò la sua ultima antologia, "Bianco su nero e altre storie" (ed. Delos)

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