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Il pozzo

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L’aria era nera, sapeva di putrido e di morte.

La sonda continuava a battere con tonfi sordi. Carven distolse lo sguardo dalle strutture del malconcio macchinario che aggrediva da ore la terra, per farlo scorrere sul desolato panorama all’intorno. Colline di fango arso e spaccato dal sole si susseguivano a perdita d’occhio alternandosi a pianori sassosi, fino alla riva dell’Oceano. Si soffiò il naso e gettò via il fazzoletto di carta annerito, senza guardarlo. Respiriamo merda, si disse. Merda nei polmoni, quest’aria pestilenziale ci ucciderà prima che lo facciano la fame e la sete.

“Ci siamo quasi” disse Rufus, gridando per superare il fragore della macchina.

Avevano fatto miracoli, con quella vecchia macchina recuperata da un pozzo petrolifero in disuso. Ancora non avrebbe saputo dire come l’avevano rimessa in condizioni di funzionare. Anche le prospezioni geologiche su cui avevano lavorato erano sommarie, primitive. Non era possibile eseguirne di precise, con gli strumenti di fortuna di cui disponevano. Non stavano scavando proprio alla cieca, ma quasi. Sapevano solo, vagamente, che là sotto, a una certa profondità, c’era qualcosa.

Carven era stanco, come Rufus, come tutti gli altri là attorno. Ma non se ne sarebbe andato per nulla al mondo. Si passò una mano sul volto ispido di barba, ripensando a come era diversa la sua vita, la vita di tutti soltanto fino a un anno prima. Il rientro a casa sull’autostrada al tramonto, col sole che traeva lunghi barbagli dalle carrozzerie delle auto allineate sull’asfalto. Il drink prima di cena, la poltrona che cigolava sotto di lui, il notiziario in Tv, le notizie sportive. E ora… tutto sparito, auto, autostrade, sport, TV, tutto cancellato da poche ore di follia atomica, di furibondo ping-pong, di delirante scambio di missili da una sponda all’altra del Pacifico. Il mondo non sarebbe mai più stato come prima.

Sentì la mano di Rufus stringergli il polso. “Lo senti, Carven? È questione di secondi ormai. Stiamo per sfondare la copertura del giacimento!”

La sonda vibrava e sussultava. Anche gli altri tecnici si stavano affollando attorno.

Un rombo sordo percorse la terra. Il suolo tremò, e un altissimo getto nero proruppe alla base della torre, si lanciò in alto piegando di lato e si disperse in una pioggia untuosa.

“Maledizione!” gridò Rufus. Il suo sguardo fece paura a Carven, sembrava un bambino a cui avessero rubato l’unico giocattolo. ‘Petrolio! Ancora dannato, sporco, maledetto petrolio!”

“Accidenti” disse Carven “mi dispiace. Di quassù, sembrava proprio una bella falda profonda…” Rufus scosse le spalle. “Non è colpa tua. Ci sposteremo, continueremo a scavare. Prima o poi troveremo pure un po’ d’acqua!”

“Prima o poi” annuì Carven lanciando uno sguardo fino alle rive del mare, di quel pantano fangoso e riarso che, fino all’inizio del XXI secolo, era stato l’Oceano Pacifico.

Il pozzo è © di Pierfrancesco Prosperi: uscito sul Corriere di Arezzo del 26 novembre 1995

 

Pierfrancesco Prosperi
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Nato ad Arezzo nel 1945 è uno scrittore molto prolifico, che si è sempre diviso fra narrativa e fumetti. Esordisce su "Oltre il cielo" nel 1960, specializzandosi prevalentemente in sf e soprattutto nel genere ucronico. Trattò l'argomento dell'omicidio Kennedy in chiave ucronica e fantascientifica, nel romanzo "Seppelliamo re John" (1973), con racconti e con il saggio "La serie maledetta" (1980), dedicato a tutti i 4 presidenti americani assassinati.

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