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L’AMORE UNIVERSALE, DI GIOVANNA REPETTO

L’AMORE UNIVERSALE, DI GIOVANNA REPETTO

La copertina è World © di Roberta Guardascione
disegnata appositamente per Cose da Altri mondi.

Scelti dal Direttore

“Ma quello che non scorderò mai” disse il vecchio “è ciò che accadde al povero Chuck.”
Scosse il capo, prima di aspirare lentamente un’altra boccata di fumo dalla sua pipa. L’aria ne era ormai tutta impregnata, ma gli altri soci del circolo, sparsi ai tavolini, non sembravano farci caso. Nemmeno le cose che raccontava li distoglievano dai giochi o dalle chiacchiere oziose. Solo io, giovane cadetto ancora in attesa del primo battesimo dello spazio, bevevo con le orecchie e con gli occhi le parole di quel vecchio lupo delle stelle.
“Tutto cominciò quella sera, quasi per scherzo. Forse all’inizio scherzava davvero. O forse gli aveva già dato di volta il cervello. Io lo conoscevo bene, ma…”
“Dove?” chiesi. “Quando?”
“Oh, stavamo da mesi su quel pianeta, un maledetto posto che adesso è fuori da tutte le rotte. Aveva anche un nome, ma noi lo chiamavamo Fogna Numero Quattro, perché era la quarta volta che io capitavo in un cesso simile, e l’avevo battezzato così. Non c’era niente di buono da ricavarne, ma dovevamo accertarcene bene prima di lasciarlo perdere del tutto. Chuck era un bravo ragazzo, un vero marinaio. Quel tipo d’uomo che deve fare il marinaio per tutta la vita, sia che navighi sull’acqua, nell’aria o nello spazio. Uno che prendeva la vita come veniva, ed era sempre di buon umore. Un bravo ragazzo…”
“E allora?” incalzai. Bisognava dargli una pungolatina, ogni tanto, perché il vecchio tendeva a divagare.
“C’erano degli alieni in quel posto. Creature brutte ma innocue, che non ci degnavano della minima attenzione.” Scoppiò a ridere.
“Ho detto alieni, ma lì gli alieni eravamo noi, ovviamente. E nemmeno noi avevamo interesse per loro. Dopo aver verificato che non fossero ostili, e che i germi che portavano addosso non fossero pericolosi, li lasciammo perdere e ci dedicammo alle nostre osservazioni sui minerali.”
“E Chuck?”
“Ah, per Chuck era diverso. Lui aveva un chiodo fisso. Veramente la colpa era della situazione in cui ci avevano messi. Cinque uomini, sbattuti lassù e con poche cose da fare. Eravamo stati scelti in base a certe competenze specifiche, capisci, senza nessun’altra considerazione di carattere personale. E così, per puro caso, eravamo tutti maschi. Chuck era rimasto abbastanza tranquillo, all’inizio. Poi una sera se ne uscì con quella frase, la stessa frase che gli avevo sentito dire tante volte, ma in altri posti. Io lo conoscevo da tempo, avevamo viaggiato insieme sulla Terra e fuori dalla Terra, molte volte. Disse: ‘Io vado a dare un’occhiata alla fauna locale’ e strizzò l’occhio. Riconobbi quella frase e quella strizzatina d’occhio, ma stavolta mi vennero i brividi. Quando Chuck faceva così voleva dire una cosa sola. Io lo conoscevo bene. Ogni volta che si era espresso così aveva impiegato poche ore, o perfino pochi minuti, per procurarsi compagnia femminile. Ma tu puoi ben capire, ragazzo, le altre volte… che avessero la pelle bianca, nera o gialla, avevano tutte le cose al loro posto. E che fior di ragazze! Potevano essere astronaute o ballerine, ma per come sceglieva c’era solo da invidiarlo. Così quella sera pensai che forse scherzava, o che aveva avuto le allucinazioni e credeva di essere in un altro posto.”
“E invece?”
“Quando glielo dissi scoppiò a ridere. Aveva bei denti e una risata aperta che suscitava simpatia. Te l’ho detto, un tipo che piaceva alle donne…”
Rimase un poco assorto, aspirando il fumo della pipa. Questa volta non osai disturbarlo, avevo quasi paura di quello che stava per dire. Continuò:
“Ci volle poco a capire che faceva sul serio. Andò verso la porta per uscire, poi si fermò e tornò indietro solo per afferrare una manciata di cianfrusaglie, tipo specchietti e pettinini, che portò con sé. Uscire su quel pianeta non creava grossi problemi. L’atmosfera non era buona da respirare, ma per lo meno non era di quelle che corrodono la faccia. Bastava portarsi un semplice respiratore a bombole, e Chuck se lo infilò mentre varcava la soglia. Restai a bocca aperta. ‘Dove sta andando?’ domandò Bingo, che non aveva capito niente. Io mi vergognavo troppo per ripetere quello che aveva detto Chuck. E per la prima volta avevo paura per lui.”
“E non è più tornato?”
“Come dici? Certo che è tornato, era andato solo a tastare il terreno. Gli altri intanto avevano capito di che si trattava. La mia faccia, qualche mezza parola…  Bingo era un maledetto curioso, e pettegolo, e si dava un gran da fare per montare tutta la faccenda. Bisogna capirli, non avevano altre distrazioni. Così quando Chuck tornò, quella sera stessa, avevamo tutti gli occhi addosso a lui. Entrò con un’aria sorniona, assorta, fischiettando, e ci accorgemmo subito che gli mancava dal collo la catenina d’oro. Bingo lo abbordò senza complimenti: ‘Che ne hai fatto?’ E lui: ‘Oh, le ragazze sono esigenti, da queste parti.’ Si levò un coro di voci simile a un’esplosione. Ognuno reagiva a suo modo, con curiosità, disgusto o sarcasmo. Ma Chuck non perdeva la calma. Non l’avevo mai visto offendersi per qualche cosa. Sembrava avere la consapevolezza che al di là di tutto la ragione e la fortuna erano dalla sua parte. A volte sembrava un filosofo. Aveva poche massime, ma le recitava con aria ispirata. La sua preferita era: l’amore è amore ovunque, in cielo come in terra. Diceva che l’amore aveva un linguaggio universale, che rispondeva a delle leggi universali al di là di ogni differenza. Davvero qualcuno lo scambiava per un filosofo. Ma io sapevo che cominciava a fare quei discorsi quando sentiva i pantaloni tirargli in un certo modo”.
Il vecchio astronauta ridacchiò e mordicchiò la pipa scuotendo il capo.
“Ma” balbettai, “ma di che ragazze parlava?”
“Non l’hai ancora capito? Che ragazze ci potevano essere là fuori?”
“Forse” azzardai, “forse le aveva solo immaginate. “
Il vecchio rise.
“Ragazzo mio, tu vuoi sperare fino all’ultimo di aver capito male. E invece è successo proprio quello che pensi, e se qualcuno di noi, quella sera, aveva ancora dei dubbi, Chuck ce li fece perdere tutti in poco tempo.
‘È bella?’ gli domandò Bingo.
‘Oh sì, sento di poter dire che è bella!’
‘Ma non avrà qualche zampa di troppo?’ incalzava Nero, che era chiamato così proprio per il suo macabro senso dell’umorismo.
‘Non avete elasticità mentale’ ripeteva Chuck ‘e nemmeno fantasia. Ogni femmina deve essere fatta in modo da apparire bella ai maschi della sua specie. Ma se piace a loro… basta solo un po’ di immedesimazione. Guardate una gatta. Come è calda e morbida. Vi piace accarezzarla, no? Come fa le fusa dolcemente e che baffi sensibili… Bene, io posso immaginare di essere un gatto e capisco proprio come mi sentirei e come la troverei attraente’.
Gli uomini scuotevano il capo e cominciavano a scambiarsi occhiate dietro le sue spalle. Io ero preoccupato, perché Chuck non era mai arrivato così lontano con i suoi discorsi. Full, che era il più taciturno, pure non poteva fare a meno di esternare la sua disapprovazione. Lui era un ex giocatore di poker, ma non parlava mai del passato. Ora guardava Chuck con una smorfia e diceva ‘Non avrei mai creduto che tu fossi uno di quei disgraziati che si divertono a montare le bestie.’
Chuck rideva. ‘Non l’ho mai fatto, a me piacciono le donne. Ma qui non ce ne sono. E quelle femmine là fuori appartengono a una razza intelligente. Anche l’amore può essere un mezzo di comunicazione. Dobbiamo scuoterci di dosso il nostro provincialismo.’
‘Vuoi vedere che gli danno il premio Nobel’ borbottava Full.
E Nero: ‘Sì, il Nobel del cazzo!’ Ridevano sgangheratamente. Il loro linguaggio, le loro battute da caserma, non facevano parte del nostro lessico abituale. Ormai ne avevamo viste tante, capisci. Non eravamo più pivelli in vena di spavalderie. Ma mi accorsi che il nostro modo di comportarci era regredito, stavamo assomigliando sempre più a dei bambini incoscienti e stupidi. Io credo che fosse effetto della paura. Dopo tanti viaggi, non avevo ancora mai provato quel genere di paura.”
Il vecchio si fermò di nuovo, accigliato e con lo sguardo fisso nel vuoto.
“E poi?”
Non rispose subito. Notai che alcuni si erano avvicinati dagli altri tavoli: vecchi piloti in pensione come lui, eppure ora sembravano affascinati da quella storia. Il narratore diede un’occhiata distratta al suo nuovo pubblico, non senza un’ombra di compiacimento.
“La cosa andò avanti per qualche giorno” continuò. “Chuck usciva alla chetichella e quando tornava sopportava con pazienza le punzecchiate degli altri. Capivamo che ancora non era successo niente di definitivo, ma che lui era deciso ad arrivarci. Poi ci fu una sera… per qualche strana ragione capimmo tutti quanti che quella era la sera della vigilia. Era appena stato fuori e cominciò a fare strani preparativi. Metteva in ordine le sue cose, come se avesse dovuto partire. Soprattutto era molto silenzioso. Bingo non poté trattenere la curiosità.
‘Che ti è successo, Chuck? ’
‘Niente, perché?’
‘Hai un’aria strana. Sembra che tu stia meditando qualche cosa.’
Chuck sorrise. ‘Lo sai già, quello che sto meditando. E mi sembra di essere a buon punto.’
Nero ridacchiò crudelmente. ‘Ti sposi?’
Full si arrabbiò. ‘Smettila Nero, mi fai vomitare.’
Bingo non stava nella pelle per la voglia di sapere. ‘Allora? Ci sta? che ne dici, ci sta?’
Il sorriso di Chuck divenne più misterioso.  ‘Forse domani.’
‘Te l’ha detto?’ chiese Full seccamente.
‘No, ma l’amore… l’amore ha un suo…’
‘…linguaggio universale’ terminarono in coro Bingo e Nero.
‘Dimmi’ chiese Bingo ‘sei proprio sicuro che sia femmina?’
Nero rincarò la dose:
‘E sei sicuro di trovare il pertugio giusto?’
E Bingo: ‘Metterà le frecce e i cartelli per farcelo arrivare!’
Continuarono a scherzare fra loro, come se stessero fuori di cervello, e i loro scherzi stupidi li presero a tal punto che andavano avanti da soli, senza accorgersi che Chuck intanto si era messo in disparte e se ne stava in santa pace, assorto nei suoi pensieri. Ogni tanto si annusava le braccia, socchiudendo gli occhi con un lieve sorriso. Arguii che stava assaporando l’odore della femmina che gli era rimasto addosso. Certo fuori, con la maschera sulla faccia, non aveva potuto… apprezzarlo, se così si può dire. Mi avvicinai con l’intenzione di parlargli. Lui mi strizzò l’occhio:
‘Senti come se la stanno spassando?’
‘Chuck non fare lo sciocco. Sai bene che sono spaventati quanto me. Ma se torni in te stesso e ti fermi in tempo, penseranno che si è trattato di un formidabile scherzo da parte tua, e apprezzeranno il tuo senso dell’umorismo.’
Mi rispose quietamente:
‘Davvero pensi che tornerei indietro? Eppure mi conosci, sai che non lo faccio per scommessa. Lo faccio perché mi piace, perché è una cosa nuova e attraente. Ed è conforme al mio modo di pensare. Perché avete tanta paura?’
‘Io credo che quello che stai facendo sia pericoloso.’
‘Pericoloso? È l’ignoto che ti fa paura. Ma quello che sta accadendo è una cosa ben conosciuta, anche se sono nuove le circostanze. Io sento che si sta solo ripetendo un avvenimento che si è già ripetuto miliardi di volte in tutto l’universo e che in fondo è sempre la stessa cosa, una cosa che conosco e che mi piace più di tutte le altre.’ Sorrideva come un bambino e io mi sentivo agghiacciato dalla punta dei capelli alla punta dei piedi.”
A quel punto del racconto non potei fare a meno di chiedere: “Perché, se pensavate che corresse un pericolo, non lo avete fermato? In fondo eravate quattro contro uno. “
“Già, perché? Questa è una buona domanda. E non credere che non l’abbia già rivolta a me stesso. Per la verità sono trent’anni che me lo domando. E una risposta convincente non l’ho mai trovata. Posso solo dire che a nessuno di noi venne in mente, che c’era come qualcosa di ineluttabile in quello che stava succedendo. Ma non vorrei avere l’aria di cercare delle scuse. In realtà il perché non lo so.”
Rimase un po’ con lo sguardo perso nel vuoto, stringendo fra i denti la pipa che intanto si era spenta, poi proseguì:
“Il giorno dopo prese il respiratore e uscì, tranquillo come sempre. Ma noi sapevamo che quello era un giorno speciale. L’aria era carica di tensione. Cominciammo a guardarci di sottecchi, come in cerca di un pretesto per attaccar briga. Succede spesso così, quando l’aria è intollerabile. Full sbottò per primo:
‘Volete spiegarmi perché stiamo qui come perfetti imbecilli, mentre quel pazzo è la fuori? ‘
Nero alzò un sopracciglio: ‘Che cos’è, invidia?’
Full prese la posizione di chi si prepara a saltare alla gola.
‘Calmi, calmi’ intervenne Bingo, ‘certo a nessuno piace l’idea che quel mostro là fuori si pappi il pistolino di Chuck.’
‘Perché’ ghignò Nero, ‘ci avevi fatto un pensierino tu?’
Anche le sue provocazioni erano frutto della paura. Intervenni mentre stavano già cominciando ad azzuffarsi, ma forse era un bene che si fossero sfogati un po’. Poi inaspettatamente Bingo afferrò un respiratore e se lo piazzò sulle spalle. Può darsi che volesse andare a proteggere l’amico, ma io penso che su tutto avesse prevalso la curiosità.
‘Andrò a dare un’occhiata’ disse, ‘a debita distanza.’ Prese i binocoli e uscì prima che potessimo replicare. Da quel momento rimanemmo zitti. Stavamo in attesa.”
L’uditorio ora pendeva dalle labbra del vecchio. Stavamo in attesa anche noi. Il vecchio cominciò a pulire la pipa, poi lentamente disse:
“Quando tornò era irriconoscibile. “
“Chuck?” domandai.
Per un momento mi guardò come se non avesse capito. Poi scosse il capo.
“No… no… fu Bingo a tornare. Ma faticava perfino a parlare. Ci volle un po’ di tempo prima che arrivasse a balbettare qualcosa di comprensibile.”
“Che cosa era successo?”
“Chuck c’era riuscito. Eccome c’era riuscito.”
Il vecchio ora parlava lentamente e a voce molto bassa. Gli sguardi dei presenti si fissavano, come ipnotizzati, sul suo nettapipe che scavava con movimento ritmico dentro il fornello della pipa e credo che a tutti quel movimento evocasse la stessa cosa.
“La creatura aveva una specie di proboscide, e Chuck, con il tubo del respiratore, appariva stranamente simile a lei. I loro corpi… in qualche modo sembravano armonizzarsi. Per qualche minuto Bingo era rimasto come affascinato da quello spettacolo. Affascinato e commosso. Cominciava a pensare che le teorie di Chuck sull’amore universale fossero profondamente vere.”
Il vecchio astronauta si interruppe ancora, mentre noi trattenevamo il respiro. Qualcosa di umido brillò nei suoi occhi. Poi proseguì.
“Alla fine Bingo vide Chuck abbandonarsi completamente rilassato, forse felice. E fu allora che…” il vecchio si passò una mano sulla fronte e sugli occhi “la creatura cominciò ad emettere qualcosa dalla proboscide. Una schiuma bianca… o forse era verdastra. Bingo si contraddisse più volte su questo punto. Quella schiuma avvolse completamente Chuck, senza che lui facesse niente per impedirlo. Alla fine la creatura cominciò a risucchiarla con la stessa proboscide. Bingo guardava con i binocoli e si aspettava di veder spuntare di nuovo il corpo di Chuck sotto la schiuma. Ma lei la bevve fino all’ultima goccia, e sul terreno non rimase nulla, tranne… tranne il respiratore.”
Il vecchio emise un sospiro che assomigliava a un singhiozzo. Quando i presenti compresero che il suo racconto era terminato cominciarono a squagliarsela alla chetichella, senza domande o commenti. Solo io rimasi davanti a lui, aspettando.
Passarono alcuni minuti prima che alzasse lo sguardo su di me. Disse: “Sai qual è la cosa più strana?”
Scossi il capo.
“La cosa buffa è che Chuck aveva davvero ragione. La sua filosofia dell’amore universale era giusta, e lui l’aveva dimostrato. L’amore è amore ovunque, in cielo come in terra. Solo che sulla Terra non esistono soltanto gli esseri umani. Esistono anche i ragni. E le mantidi.”

 

Questo racconto è World © di Giovanna Repetto. All rights reserved

Giovanna Repetto
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Nata a Genova, vive e lavora a Roma. La fantascienza è sempre stata la sua passione. Finalista al Premio Urania, la prima con "Il Nastro di Sanchez." I suoi racconti sono presenti in pubblicazioni italiane e straniere. "La Legge della penombra" ha vinto il premio Short Kipple; nel 2018. Il suo romanzo è "Icarus."

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