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LA VISIONE INFINITA, DI CHARLES C. WINN

LA VISIONE INFINITA, DI CHARLES C. WINN

Mondi Passati – Vintage

 

(The Infinite Vision, Science and Invention, maggio 1924)

 

Nota del traduttore

Ho scelto questo racconto, la visione infinita, per il suo valore letterario e storico, oltre che per certi aspetti “profetici”. Si tratta infatti di un buon esempio di proto-fantascienza, pubblicato originariamente su una rivista dell’editore Hugo Gernsback, colui che nel 1926 avrebbe dato vita ad Amazing Stories, la rivista considerata la “madre” della moderna fantascienza. Sento però di dovermi distaccare dalla morale conclusiva del racconto, in parte perché non la condivido, in parte perché la trovo in contraddizione con lo spirito del resto del racconto e della rivista stessa che lo pubblicò, basata su articoli di divulgazione sulle più recenti scoperte scientifiche, alternate con alcuni racconti di anticipazione. Comunque, buona lettura.

– Vi dico, cari signori, che si tratta di un bell’intoppo. Qui tutti gli altri rami della scienza si aprono in pratica a uno sviluppo illimitato, mentre l’astronomia è quasi all’angolo per un semplice motivo: a quanto pare abbiamo raggiunto il limite dello sviluppo del telescopio, come evidenziato da queste lastre. Qualcosa bisogna farla. Nessuno di voi ha qualche suggerimento?

Era un convegno della Società Astronomica Internazionale, riunita per discutere i risultati della creazione del gigantesco telescopio riflettente al mercurio di 40 piedi, che era stato da poco completato al grande Osservatorio di Holton, situato in cima alle Ande sudamericane.

Era evidente che i risultati non erano stati soddisfacenti, come dimostrava la grave e pensosa espressione della compagnia. Il presidente Holton, che di solito non era di buon umore, stava velocemente progredendo a una vera e propria esplosione di rabbia.

– Forse il riflettore al mercurio potrebbe essere migliorato in maniera soddisfacente, – suggerì timidamente Flambeau, lo studioso francese, in risposta all’accalorata domanda di Holton.

L’individuo fece una smorfia di disgusto, e i suoi capelli dritti s’irrigidirono come setole, mentre lui sputava la sua secca risposta.

– Quella… quella dannata cosa! Il fatto è che quell’affare è perfezionato per quanto è nei poteri umani farlo. Ma guardate questa lastra: ingrandita a sufficienza, ma per quanto precisi siano i dettagli… a me sembra un pancake a strisce! Riprese senza vibrazioni! Macché…! Non si possono eliminare del tutto le vibrazioni in una macchina. E guardate che increspature microscopiche ha fatto in questo caso. Sì, vorrei vedere voi se riuscite a farci qualcosa con quest’assurdità. E se siete stupidi abbastanza da provarci, dopo aver speso un milione di dollari con questi risultati, io mi rifiuto assolutamente di averci a che fare. Ci rinuncio.

Un silenzio teso seguì lo sfogo. Fra i presenti, non ce n’era uno che non capisse che, nonostante le sue eccentricità, Henry F. Holton era la più grande autorità astronomica vivente. Di conseguenza, nessuno ebbe l’ardire di opporsi alle sue opinioni.

Durante tutta questa tempestosa sessione, un uomo alto e bruno sui 35 anni ascoltò il discorso pazientemente seduto. Era Glenn Faxworthy, con ogni probabilità il più grande genio scientifico presente a quella riunione quel giorno. Non solo era esperto in astronomia, ma ancor più in fisica e chimica. Aveva fatto scoperte importanti in gioventù, quest’uomo paziente e forte. Curiosamente però, aveva deciso di tenerle per se stesso, aspettando il giorno in cui la loro rivelazione sarebbe stata due volte più utile.

Alla fine, quando la tensione del silenzio ebbe raggiunto il suo apice, si alzò e si rivolse ai convenuti.

– Signori, – disse. – Mettete un milione di dollari a mia disposizione e vi costruirò un telescopio capace di rivelare le molecole delle rocce lunari.

La preparazione

Una fredda luna sorgeva sopra le cime innevate della Cordigliera delle Ande. Su uno dei picchi più alti poggiava il gigantesco Osservatorio Holton, situato nel luogo più favorevole al mondo per fare osservazioni.

Sui gradini dell’enorme edificio di cemento sedevano due uomini, intenti in una seria conversazione. Uno di loro era basso e dai capelli rossi, con brillanti occhi azzurri che spiccavano combattivi dietro spessi occhiali dai bordi di corno. Il suo interlocutore, alto e bruno, emanava la sensazione di quieta forza e dignità.

Da 10 anni i due uomini erano impegnati in un lavoro intenso, uno preparando l’enorme struttura per accogliere il delicato apparato e il suo compagno che si sforzava di perfezionarlo in un grande laboratorio posto negli Stati Uniti.

Sei mesi prima costui era arrivato lì con quell’apparato. Da allora, con l’aiuto di una piccola équipe, avevano lavorato assieme quasi notte e giorno per installarlo. Solo quel giorno avevano concluso gli aggiustamenti finali che lo rendevano capace delle potenti prestazioni che avrebbe dovuto raggiungere.

Per qualche momento i due restarono in silenzio a guardare la grande massa davanti a loro che conteneva tutte le loro speranze. Poi l’alto uomo bruno, alzando gli occhi, notò una grande stella rossa che splendeva minacciosa, orgogliosa al suo zenith. Parlò brevemente al suo compagno, e i due rientrarono insieme nella struttura.

Due ore dopo ne uscirono, i loro volti trasfigurati dalla luce di una grande rivelazione. Quello che avevano visto quella notte, solo 10 altri l’hanno vista, da allora a oggi.

***

24 ore dopo gli stessi uomini rientrano nell’edificio. Questa volta, però, erano accompagnati da altri 10, i più grandi scienziati di tre continenti. Erano con loro Harlton, il fisico inglese; Coron, il chimico americano; Flambeau, il francese, insieme ai direttori dei più grandi osservatori del mondo, e altri.

Al centro della sala in cui furono condotti c’era l’imponente riflettore al mercurio, il soggetto dell’accesa discussione di 10 anni prima. Ma ora c’era una curiosa differenza. Non poggiava più immobile su perni giganti, puntato fisso su un singolo punto della volta celeste. Adesso aderiva a una poderosa piattaforma equatoriale, delicatamente bilanciata come un cronometro di precisione. E la sua superficie splendente non aveva più bisogno di una rotazione rapida per mantenere la sua perfetta forma parabolica. Il metallo liquido ora era mantenuto rigido come l’acciaio. La mano esperta del fisico gli aveva dato solidità eterna.

Per un attimo, il gruppo ammirò in stupito silenzio quella colossale creazione delle mente umana, poi si girò e seguì le indicazioni verso una lunga rampa di scale, fino a una grande sala al centro dell’enorme cupola.

Era una stanza stupefacente, riempita dal complicato intrico che formava un ingegnoso apparato. Su un lato erano impilati fasci e fasci di tubi vuoti, montati su lunghi pannelli di luminosa bakelite. Un altro muro era del tutto coperto da un enorme pannello, costellato da uno schieramento, che sembrava infinito, di interruttori, manopole di controllo, reostati, leve.

Al centro del pavimento era montato uno splendente schermo argenteo di circa mezzo metro quadrato. Abbassando lo sguardo su di esso, gli uomini poterono vedere il riflesso di un misterioso pezzo dell’apparato che, appeso al soffitto, puntava dritto sullo schermo.

Ammutolito dallo stupore, il gruppo rimase a guardare per qualche momento quel che li circondava. A quel punto Faxworthy – che avrete indovinato essere l’uomo alto e bruno – si rivolse agli uomini nel suo tono pacato e regolare.

Il telescopio

– Signori, – disse, – qui davanti a voi vedete il risultato di 10 anni di intenso lavoro di mr. Holton e mio: il prodotto del milione di dollari che mi avete così generosamente fornito. Se l’investimento sia risultato proficuo, voi stessi lo giudicherete stasera. Comunque sono certo che non ne resterete delusi.

Poi andò verso il pannello e girò uno degli interruttori. In quell’istante giunse da sotto il basso ronzio di un motore elettrico.

– L’energia arriva da un grosso impianto idroelettrico posto sotto il lato opposto della montagna, – spiegò. – È stata un’idea di Holton. – E aggiunse, sorridendo amabilmente: – Holton è stato un fattore insostituibile nella costruzione della piattaforma per il riflettore e dell’altro indispensabile apparato ausiliario. Se stasera avremo successo, lui ne condividerà tutti gli onori.

Quindi, volgendosi di nuovo al pannello, azionò una leva che causò l’apertura dell’enorme cupola verso est. Un altro interruttore e, proprio sulla cima della cupola, prese vita, non visto dagli osservatori, uno speciale componente dell’apparato simile a un enorme tubo a raggi X, montato su una piccola torre d’acciaio. Il meccanismo, guidato da una mano esperta, roteò all’insù fino a puntare dritto sulla luna crescente.

Faxworthy parlò ancora: – Signori, ora ho rivolto il riflettore verso la luna. guardate lo schermo con attenzione.

Girò un altro interruttore. Scese dall’alto un basso ronzio, che subito raggiunse il picco di un gemito penetrante, per poi diventare impercettibile agli ascoltatori giù.

Ruotò una manopola di controllo e si illuminarono due dei tubi sottovuoto. Contemporaneamente, dall’apparato posto in alto partì uno strano raggio luminoso.

Abbassando gli occhi sullo schermo, gli uomini videro un oggetto che catturò subito la loro attenzione. Lì, come se fluttuasse attraverso le profondità argentee, c’era un’immagine della Luna nei suoi magnifici dettagli.

Il gruppo la ammirò rapito. Allora Faxworthy, con un’abile mossa del polso, infilò altri due tubi nel circuito. La prima immagine svanì, e fu sostituita da un’altra che riempì l’intero schermo. Poi, man mano i bulbi s’illuminavano uno dopo l’altro, lo schermo mostrò solo porzioni della superficie dorata, e l’immagine divenne sempre più dettagliata. Ora era visibile agli spettatori solo una grande montagna; ora solo una porzione di quella montagna; ora solo una manciata di rocce sulla sua superficie; infine, la superficie di una roccia.

A quel punto lo scienziato, facendo un cenno ai suoi compagni, girò un interruttore che in un momento portò la luce all’ultima fila di tubi.

La vista precedente svanì, e al suo posto apparve una massa roteante di sfere trasparenti, visibili solo grazie alla luce iridescente riflessa sulle loro superfici.

Le molecole della Luna

– Signori, – disse Faxworthy, la cui voce di solito tranquilla tremava lievemente per l’emozione, – queste sono le molecole di quarzo di una delle rocce sulla superficie del nostro satellite. Posso solo sperare che questa visione vi ripaghi per il denaro che mi avete elargito con tanta generosità.

Un sommesso mormorio di approvazione fu l’unica risposta che ricevette dall’incantato gruppo di scienziati, mentre rapiti contemplavano le svolazzanti forme a loro di fronte.

Rimasero immobili per alcuni minuti, paralizzati dalla meraviglia. A quel punto Faxworthy girò gli interruttori di colpo e le immagini sparirono dallo schermo.

– Forse vorrete una breve spiegazione dell’apparato, prima che iniziamo il test finale di questa sera, – suggerì, guardando nello stesso momento il suo orologio.

Ci fu un generale moto d’assenso delle teste e lui cominciò: – Come probabilmente sapete, ho cominciato il mio lavoro di ricerca in fisica e chimica all’età di 20 anni. In tutto questo tempo ho fatto diverse scoperte in tali discipline, alcune delle quali si sono rivelati utili nella presente impresa. A tutt’oggi ho rivelato la loro natura a nessun’altro che Horton, che ha goduto di tutta la mia fiducia. Se mi scusate, signori, sarò presto di ritorno. – E scomparve su una scala che portava a una sala più in alto al centro della cupola.

Ritornò quasi subito, tenendo qualcosa chiuso in mano. Aprì lamano e rivelò un piccolo tubo piatto, pieno di un viscido liquido rossastro, alle cui estremità erano sigillati diversi sottili fili di platino.

– Questo tubo, signori, – spiegò lo scienziato, – è il vero cuore dell’apparato intorno a voi. Senza di esso, tutto sarebbe completamente inutile. Contiene una quantità di un elemento un tempo sconosciuto, che io chiamo Lucium. Io e i miei assistenti di laboratorio abbiamo impiegato 20 anni per isolare la quantità di lucium che vedete in questo tubo.

“Il fatto essenziale è che questo elemento ha le stesse proprietà del selenio, solo è un milione di volte più sensibile per ogni grado. Nel buio assoluto è un non-conduttore di elettricità assoluto, ma una volta che il più piccolo raggio di luce lo colpisce, anche se quel raggio attraversasse l’universo, la sostanza diventa conduttiva in proporzione. All’interno della camera a prova di luce di sopra, i raggi provenienti dal riflettore al mercurio sono messi a fuoco su questo tubo. Non tenterò di spiegare il processo mediante il quale le impressioni elettriche vengono generate, amplificate, tradotte nuovamente in luce e infine proiettate sullo schermo: è troppo complicato e ci vorrebbero ore per spiegare tutto in modo soddisfacente. Vista la mancanza di tempo, neanche cercherò di riferire le circostanze della scoperta di questo elemento, se non per dirvi che ero curioso di sapere la causa di una brillante luce viola, che occasionalmente balenava nello spettro di un minerale raro che stavo analizzando.”

Osservando Marte

Poi, togliendo l’orologio dalla tasca, continuò con tono appassionato: – In venticinque minuti, il pianeta Marte avrà raggiunto il suo punto di massima vicinanza alla Terra. Allora apprenderemo il suo segreto. Se mi perdonerete un momento, rimetterò il lucium al suo posto.

Ritornò presto e, proprio in quel momento, nella limpida aria di montagna si fece udibile il suono di un distante tuono lamentoso . – Sta arrivando una delle tempeste estive comuni tra queste montagne, – spiegò tranquillo. – Regolerò il riflettore adesso, per evitare che ci dia problemi quando il fortunale arriverà.

– Ma, Monsieur, disturberà l’osservazione! Anche quando si ritirerà, le correnti d’aria zaranno atrosci!” gridò Flambeau nelle prime parole da lui pronunciate quella sera.

Faxworthy non rispose a parole, ma condusse i suoi compagni su un piccolo balcone sulla parete est della struttura. Puntò il dito verso la luna, che si stava lentamente oscurando. Seguendo il suo gesto, gli altri guardarono nella stessa direzione. Quello che videro fu un incredibile cilindro  dalla debole luminescenza che fuoriusciva dalla piccola torre sul tetto e si estendeva nello spazio a perdita d’occhio: – Il raggio di dispersione, – spiegò in breve. – Le onde d’etere della quarta ottava che hanno la proprietà di espellere tutta la materia dal loro percorso. La gamma di questo raggio nell’atmosfera è di circa seicento miglia e fintanto che il cannocchiale si allinea sul suo cammino, efficacemente elimina tutte le interferenze causate da condizioni atmosferiche o metereologiche.

Il silenzio stupefatto che seguì fu rotto solo dal soffocato – Mon Dieu! – di Flambeau. Che un uomo potesse aver prodotto così tante meraviglie sembrava quasi impossibile al gruppo di illustri scienziati.

Il silenzio non fu rotto neanche quando la loro guida li ricondusse alla sala di controllo. Portò rapidamente il colossale telescopio allo zenit, dove la grande stella rossa continuava a splendere senza sosta. In sincrono, l’incredibile raggio di luce sulla cupola si inclinò verso l’alto fino a quando non si bloccò in quella direzione. Di nuovo, i primi due tubi sottovuoto si accesero; di nuovo quello strano fascio luminescente schizzò dal soffitto, e sullo schermo si formò l’immagine di una grande stella rossa, ingrandita al diametro di una palla da baseball. Altri due tubi, e l’immagine raddoppiò di dimensione. Ora una complicata rete di  delicate linee era visibile sulla sua opaca superficie cremisi.

Due alla volta, i tubi sottovuoto si accesero nel circuito e l’immagine aumentò in termini di dimensioni e dettagli. In breve coprì l’intero schermo. Ora erano visibili solo sezioni della superficie, e lentamente le sezioni diminuirono in estensione, man mano che i dettagli si facevano sempre più precisi. Ora il punto di vista era della distanza apparente di un milione di miglia, ora migliaia, ora cinquecento. E lentamente le linee delicate si allargarono, fino a quando solo due di esse, ora bande ocra larghe mezzo metro, s’intersecarono al centro dello schermo, sotto forma di una grande macchia circolare. Il centro di questa macchia era fittamente disseminato di piccoli punti neri, che brillavano luminosi mentre riflettevano i raggi del sole.

Marte a 3000 metri

Allora, senza preavviso, Faxworthy spense tutti gli altri tubi sul pannello, tranne due. In un istante l’immagine sullo schermo svanì nel nulla, e al suo posto apparve una scena stupefacente. Lì, come vista da un uccello a 3000 metri d’altezza, si stendeva una grande città.

Videro grandi edifici alti 300 metri, sopra i quali sciami di enormi aeronavi sfrecciavano nell’aria con grazia. E i tetti erano tappezzati di minuscole figure!

Gli ultimi due bulbi presero vita e la visione apparve a una distanza apparente di 10 metri. Le minuscole figure erano uomini. Uomini perfetti dal fisico meraviglioso, con volti finemente scolpiti. Erano vestiti con una veste simile a quella che la legione di Cesare indossava secoli fa. C’erano anche donne, tutte di forma e aspetto gloriosi, vestite con abiti squisitamente brillanti, che scintillavano alla luce del sole con una miriade di tinte opalescenti.

Ancora una volta gli ultimi due tubi si spensero, e la visione tornò all’originale distanza di 3000 metri.

Con un movimento impercettibile della mano su una leva, portò il paesaggio sullo schermo a uno spettacolare panorama.

E mentre esaminavano la superficie del variopinto pianeta da un polo all’altro, la tempesta che stava sorgendo risalì le cime delle montagne e lì si fermò. Caddero fulmini e il tuono scosse il laboratorio, ma tutti erano così assorti nella meravigliosa scena di fronte a loro, del tutto isolati per via del silenzioso, irreale raggio, che nemmeno si accorsero dell’immane ciclone.

Ora un vasto, rosso, sabbioso deserto si stendeva sullo schermo, ora un corso d’acqua, ora un’altra città (sempre situata all’intersezione tra due canali), e così dalla distanza di 50 milioni di chilometri videro la superficie del pianeta dal nord ghiacciato al sud ghiacciato. Di colpo l’elevata sommità di una grande montagna con una grande macchia nera in cima ricoprì la loro visuale.

Con mano agile, Faxworthy riportò l’immagine al centro dello schermo. La macchia nera era un enorme edificio che copriva completamente il picco della montagna e si innalzava per centocinquanta metri, una replica quasi esatta dell’edificio in cui si trovavano. E dalla sua sommità usciva verso lo spazio un raggio non normale, di luminescenza ultraterrena. Ancora gli ultimi due bulbi presero vita, e si affacciarono nella coppa lucidata di un enorme specchio concavo di duecento piedi di diametro.

– Vedete, – disse lo scienziato con eloquenza, – occhi invisibili ci stanno guardando dallo spazio, e lo fanno da epoche immemorabili.

In quel momento la tempesta all’esterno esplose in tutta la sua furia. I fulmini dardeggiarono in rapide scie e i tuoni echeggiarono e riecheggiarono con enorme frastuono.

All’improvviso un lampo di luce accecante giunse dal cielo fino alla torre sopra la cupola. Il metallo parzialmente fuso cedette, e il grande raggio scese lentamente a terra in un ampio arco . Vi fu una serie di echi spaventosi mentre il raggio fendeva la montagna in due con tutta la sua forza. Nella stanza l’immagine non apparve più nitida e chiara sullo schermo, ma era completamente oscurata da una vorticosa massa verdastra. Poi, mentre terribili schianti laceravano l’aria, Faxworthy emise un grido terribile. – IL RAGGIO! – gridò e schizzò verso l’estremità del pannello! Ma troppo tardi!

Con un improvviso strappo, la cosa sul tetto era caduta in perpendicolare. Ci fu un secondo, tremendo frastuono mentre distruggeva tutto quanto incontrava nel suo percorso, tutti i pezzi che davano vita al delicato apparato! Poi scese il buio. E con cadenza selvaggia i tamburi della Natura srotolarono un peana di vittoria, sopra i resti lacerati dei temerari mortali che avrebbero voluto conoscere i suoi segreti più profondi.

 

Traduzione © Mario Luca Moretti, 2020

Mario Luca Moretti
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Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano

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