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LA LUNA DI BABELE

LA LUNA DI BABELE

 

 

Come un inverno freddo di travi marce, rimane solo la maledetta sabbia.
Pestare e pestare ancora, cercando di battere il freddo, fa parte di un mio paesaggio interiore per il grande giorno. Questo giorno.
Lo vedi anche tu? Lo capisci?
Rinunciare alla sabbia ed invece pestare la pietra con i piedi, pietra e carne. Pestare Richard, pestare la carne e gli occhi cavati. Maledetti buchi degli occhi.
I sogni morenti, quelli per la feccia, ci lasciano della dolcezza e gli occhi vaporosi si attardano sul ragazzo che ha sprecato le vite di tutti portandoci fino a questo luogo.
Una vita da architetto la sua, che ha un sapore di ferro, che sanguina una dolcezza mentale del tutto sprecata.
Li vedi i sogni ora?
Rinunciare alla sabbia del tempo e guardare più su, più su, in alto, verso la luna di Babele; questo solo conta.

Il suo roteare visto tramite i filtri mi uncina gli occhi, ma io, che ho coraggio, continuo a guardarla.
Oh!
Sembra una qualsiasi mezzanotte ed io salto, assieme al mio personale demone aggiornato da Babele.
Un demone appeso che sa di tessuto stinto, che è appeso alla mia spalla.
Ora mi affretto verso là, verso lo scafo dell’astronave perché la sfida è troppo alta e la pelle comincia a tagliarsi, a spezzarsi come rami secchi.
Non ho nove vite come i gatti, non ora e non subito.
Mi infilerò nel condotto miserabile della nave e cadrò addormentato per ore.
La brama insopportabile di Babele, incombente nel cielo, non favorirà il mio sonno. Il dolore mi starà attorno, in attesa, e poi uscirò nuovamente senza coprirmi, espirando ed inspirando le fiamme fredde dell’atmosfera rarefatta e non mi nasconderò, poiché sono le fiamme azzurre di una nuova vita non più miserabile, e la sabbia e la pietra sembrerà neve.
Così, così!
Sarò un principe solitario di fiamma, con gli occhi brucianti, e non un morto come Richard.
Dentro sono già strano, la tuta mi pungola a toglierla e le scarpe si fanno piccole.
L’innocenza nella mia carne si fa notturna ed appassita. La pistola a bordo luccica, quasi bianca come un padre che richiama il figlio.
Io brucio sotto l’inferno astrale di Babele mentre le sue rotte orbitali mi appaiono come fiori neri che gocciolano sulla sabbia.
Mi auguro buona fortuna e tocco la pistola.

Il danno accade ora, all’esterno.
Questa musica dei pianeti accade sull’orizzonte degli eventi e sembra già la musica del domani.
Voglio andare fuori, devo andare fuori, perché sta accadendo ora, non domani, adesso, non ieri.
È già un abisso del cuore che sporca i cieli della luna di Babele, la mia fantastica e cerulea luna sabbiosa di fuoco freddo.
Lo scafo si sfalda smarrendo atomi e la strada per la mia trasformazione è già lurida e lontana. Sono in ritardo.
Miranda, amichevole e già mutata, si affaccia tra le crepe e mi chiama fuori, perché sta accadendo fuori. È una sporca lezione del cuore la sua.
Lei canta già la musica dell’esterno, è azzurra e traslucida, e vola e trema come una fiamma dai piedi sporchi di sabbia. Salta sul corpo di Richard.
Mi aggrappo agli indumenti che si strappano e il motel della mia mente è vuoto. È quasi vuoto.
La pistola luccica tra le mie unghie.
Non diventerò sabbia spumeggiante al vento della luna di Babele.
Non sarò libero, non sarò liberato, non saprò cosa mi ha colpito.
Povera anima.
Povero diavolo, povero diavolo.

racconto ed illustrazione di Luca Oleastri

Luna di Babele

Luca Oleastri
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Nato a Bologna, ha lavorato negli effetti speciali per il cinema, giornalista ed editore ha curando Fangoria e Gorezone. Oggi svolge l'attività di illustratore e copertinista. La sua clientela è quasi esclusivamente statunitense e le sue opere sono utilizzate e pubblicate nella letteratura fantascientifica e coi giochi da tavolo.

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