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“LA SIRENA” DI TARLETON COLLIER

“LA SIRENA” DI TARLETON COLLIER

Mondi Passati – Vintage

 

Edward Tarleton Collier nacque in Alabama nel 1888, dove si laureò giurisprudenza. Si trasferì poi a Chicago, dove lavorò come giornalista, per poi stabilirsi in Georgia. Fra il 1914 e il 1938 scrisse molti racconti su riviste di narrativa, sia pulp sia mainstream, solo due di carattere fantastico ed entrambi su Weird Tales. Scrisse alcuni testi giuridici e il romanzo mainstream Fire in the Sky (1941). Morì nel 1970.

(The Siren, Weird Tales, giugno 1923)

CON uno scatto secco, Joe Wilson, sdraiato sulla branda in una tenda, si sollevò su un gomito, teso ad ascoltare attentamente. Non c’era alcun suono, eccetto il fruscio di una sonnolenta brezza attraverso i pini, l’ancor più sonnolento contralto di un uccello mimo e il ronzante sfondo dell’acqua increspata.

“È lei!” sussurrò. Con uno sforzo si mise eretto, e ripeté: “È lei!”

Subito dopo venne il crepitio delle voci all’esterno, il suono sordo di piedi in marcia. Joe si sdraiò di nuovo sulla branda e chiuse gli occhi con furiosa energia, quando l’apertura della tenda fu spostata e l’ingegnere e il dottore sbirciarono dentro.

“Sta dormendo,” disse l’ingegnere a bassa voce.

“Hm!” disse il dottore. Era un ometto raggrinzito con gli occhiali. Poi lasciò andare l’apertura, e la sua voce arrivò brusca a Joe attraverso i teli. “Bene, torneremo. Gli voglio parlare. Probabilmente non sta tanto male. Ma, perdio amico, devi tenere i tuoi uomini lontano dall’acqua nei dintorni o non finirai mai la tua ferrovia!”

Si incamminarono mentre lui parlava, e Joe sentì la voce indebolirsi.

“Ti dico… inquinata… febbre…”

Poi sparirono, i loro suoni ingoiati dal crepitio del torrente al di là delle rocce. Con uno scatto, Joe fu in piedi, gli occhi furtivi, guardandosi attorno nella piccola stanza a teli. In punta di piedi raggiunse l’apertura, e la scostò per non più di un pollice, sbirciando verso le figure in lontananza dei due uomini che passavano dietro una quercia.

Con la stessa cautela scivolò alla parte opposta della tenda e scivolò fuori dall’altra apertura. Per un momento rimase fermo, incerto, gli occhi chiusi, come intorpiditi.

“State lontani dall’acqua, stupidi!” sussurrò.

Ora nel bosco non c’era altro segno di vita; la brezza si era spenta e il mimo era in silenzio. Solo il balbettio di un vicino ruscello dal letto pietroso…

Con un barcollante, nervosa andatura, quasi una corsa, Joe Wilson andò verso il suono dell’acqua e alla fine s’infilò in un piccolo ciuffo di salici e si fermò, mezzo accucciato, sulla cima di un banco di umido muschio verde, che discendeva ripido verso un ruscelletto che aveva delle piccole pozze nere, stagnanti e silenziose. Solo le superfici argentee vicino alle pozze s’increspavano di vita.

Ai piedi del banco c’era una piattaforma in pietra, con macchie di muschio verde, che arrivava al ruscello appena un pollice sopra l’acqua. Lo sguardo di Joe si fermò lì sopra, come trattenuto da uno strano potere a lui estraneo. Arretrò verso i salici, serrando gli occhi incavati sul suo volto pallido; poi, con uno salto improvviso, scavalcò il banco e atterrò sulla roccia.

Una specie di sorriso illuminò il suo volto, come se con quel salto avesse risolto una questione spinosa. Sedette nel modo più facile e comodo che gli riuscì, a gambe incrociate, le mani attorno alle ginocchia, e fissò intento la pozza nera ai suoi piedi.

E poi, in un vero e proprio batter d’occhio, una donna era là dove lui l’aveva cercata.

Non ci fu nessuno senso di sorpresa al suo apparire; solo, quando lui chiuse gli occhi in un attimo di torpore, c’era l’acqua e nient’altro; quando li riaprì, un istante dopo, lei era in piedi in mezzo alla pozza, quasi a portata di mano. E fu come se lei fosse stata lì tutto il tempo.

L’acqua le arrivava poco sopra le caviglie, le sue gambe erano nude fino alle ginocchia, vestite al di sopra, e anche il suo corpo, in un leggero abito attillato bianco, che sembrava parte di lei stessa; la bianca gola e le braccia erano nude. Sul suo volto brillava un gradevole sorriso; anche i suoi occhi, verdi e grigi insieme, erano vivi e piacevoli.

“Sei in ritardo,” disse lei. C’era qualcosa del vivace mormorio del ruscello nella sua voce.

Joe Wilson poté rispondere solo con un sorriso. Poi il sorriso svanì e il suo volto si fece sdegnoso e un po’ rigido.

“Sì,” disse, “e quasi non sarei venuto. Avevo giurato di non farlo.”

“Ma sei venuto,” disse lei, sempre sorridendo.

“Solo per dirti che è l’ultima volta.”

Il sorriso di lei, ancor più allegro, fu accompagnato da un suono che avrebbe potuto essere il gorgoglio di un piccolo vortice nelle rapide, o forse il tono basso di una risata.

“Allora non dicevi sul serio, quando dicevi di amarmi,” lei lo rimproverò, avvicinandosi. Non si mosse con un passo, o con qualche percettibile sforzo. Lo spazio fra loro di colpo diminuì, tutto lì.

Joe aveva perso il suo atteggiamento noncurante. Era in ginocchio, una furia nelle parole.

“Non dicevo sul serio? Non puoi dire questo. Non sono più un uomo, da tanto ti amo. Mi porti qui ogni giorno per fare di me quello che vuoi, e morirei se non venissi. Per te ho violato la mia parola con i miei amici al campo. E non so chi o cosa sei.”

Di nuovo quel gentile suono che poteva essere un mulinello d’acqua o la sua risata. Poi si fece ancor più vicina, e i suoi begli occhi guardavano quelli di lui, deridendoli.

“Tu non sai chi sono?” chiese lei dolcemente. “Allora sono tua.”

I duri tratti sul volto di Joe svanirono. Un improvviso flusso di sangue gli bloccò in gola le parole che voleva dire, e allungò le sue braccia.

“Tua,” ripeté lei, e che stavolta ridesse, non ci furono dubbi.

Gli occhi di Joe erano famelici. Joe spinse le sue braccia irrigidite ancor più in avanti, e la fissò come un cane bastonato.

“Non so chi sei,” sussurrò. “Non so chi sei.”

“Sono chiunque tu voglia che io sia,” disse lei.

“Ti chiamerò Sadie,” disse lui.

“Sadie?” Le labbra di lei si piegarono, velando i suoi occhi, ma il loro acuto scintillio restava vivido.

“Sì, c’è una ragazza…”

Prima che finisse di parlare, lei fu stretta a lui al limite della roccia.

“Sono tua,” disse lei in un tono fiero e basso. “Che t’importa di un’altra ragazza? Sono tutta donna, e tu mi hai. Che t’importa del mondo? Tu hai me.”

Lui sentì il suo respiro sulla faccia, con il suo calore e la sua fragranza. La sua candida bellezza era più grande di quella dei fiori di corniolo che si spargono nell’oscurità sotto una brezza improvvisa; e fu colto da vertigini, tanto che gli alberi ondeggiarono davanti ai suoi occhi.

“Io ho te,” ripeté con trasporto, alzandosi in piedi.

“E la ragazza… Sadie?” chiese lei.

“Tu sei Sadie. Solo tu. Ho dimenticato…” Lui stese le braccia, ma lei era di nuovo fuori dalla sua portata, gli occhi misteriosi.

Con le braccia spalancate, la supplicò di tornare.

“Ti amo,” disse lui.

Con un ampio sospiro lei lo guardò gravemente. “Lo vedremo,” disse lei, immergendo le braccia nel ruscello. Quando si alzò, le sue mani erano a coppa, colme d’acqua. Si mosse verso di lui, sorridendo.

“Bevi,” lei lo tentò.

Lui mormorò: “No,” e il rifiuto sembrò dargli forza, perché quando lei ripeté “Bevi,” lui gridò: “No!”

Lei aprì le mani e l’acqua si sparse nel ruscello; e, sempre sorridendo, gli si avvicinò fino a che fu al suo fianco sulla roccia, i suoi piedi bagnati scintillavano come argento sulla sua superficie verde scura. Gli occhi di lei erano fissi sul suo ampio, spaventato sguardo.

“Perché?” lei gli chiese, quando gli fu così vicina da fargli sentire il calore e la fragranza della sua presenza.

Lui le rispose con fermezza: “Non lo farò, ecco perché. Non devo. Ti ho detto che non devo, ogni giorno che sono venuto qui, eppure ho sempre bevuto quest’acqua.  E ha fatto di me un altro uomo. Mi ha fatto violare la mia parola e le mie stesse regole.”

Ancora una volta gli occhi di lei si fecero gravi. “Non devi?” chiese lei. La sua voce avrebbe potuto essere il sibilo delle secche. Lui non poteva fuggire dal suo sguardo, davanti al quale i suoi occhi ondeggiavano e vacillavano.

“Non berrai?”, continuò quella voce sibilante. “Non lo farai per me, e dici che mi ami? Ti chiedo così poco.”

C’era dolore nella voce di lui quando gridò: “No… Sadie! Ho promesso… la regola…”

Adesso fu il corpo di lei ad afflosciarsi, e il viso di lei a incupirsi. “Ma tu hai già violato le regole prima, per me,” mormorò.

“Oggi sono venuto per dirti che non lo farò più.”

“Ma ti chiedo così poco. E io – sono tua.”

Lui supplicò: “No!”

Con improvviso abbandono, lei si gettò su di lui, e per la prima volta le braccia di lui si strinsero attorno a lei. Lei cedette al suo ardente abbraccio, la sua testa contro il petto di lui.

“Tu non mi ami,” lei sussurrò.

“Sadie…!” Le braccia di lui si strinsero insieme al grido, e una rossa foschia lo accecò mentre lui sentiva il caldo, vitale corpo di lei sempre più stretto al proprio.

Lei alzò il viso e lo guardò.

“Lo farai?” chiese, sorridendo.

“No,” disse lui,quasi con un lamento.

Lei lo baciò. “Bere, solo bere,” disse dolcemente. “È così poco. Io ti ho dato me stessa… non conta?”

Con un braccio si aggrappò a lui tanto stretto quanto lui la teneva; l’altro braccio era libero, e con la mano gli accarezzò il viso. I baci di lei erano caldi sulle sue labbra. Gli occhi di lui erano chiusi, e lui vacillò in preda a una vertigine più forte che mai.

“Solo bere,” disse lei. “Non t’importa di me, che ti ho dato me stessa? Cosa sono per te quegli uomini al campo, loro e le loro regole? Tu non berrai… allora ti do… questo…”

Le sue labbra incontrarono quelle di lui in un’eternità di dare e prendere.

“No!” disse lui di nuovo, ma la sua voce tremava e si spezzò, come un chiaro messaggio di resa.

Con un piccolo grido, lei s’inginocchiò sull’orlo della pozza, le braccia ancora attorno a lui, così che fu costretto a inginocchiarsi insieme a lei. Lei immerse le mani nell’acqua, e le riportò a lui con il suo carico argenteo.

Con un avido, lamentoso suono, lui bevve l’acqua fredda; e mentre lo faceva, la foschia rossa davanti ai suoi occhi s’ispessì, e le sue orecchie rimbombarono del tuono di sangue al loro interno. Bere divenne la sua passione, e mise le proprie mani a coppa, le riempì d’acqua e bevve.

Per un attimo, la foschia si diradò, e il rombo cessò, e lui vide di essere solo sulla roccia.

“Sadie!” chiamò.

Le uniche risposte possibili furono il borbottio del ruscello, o forse la bassa risata.

Lo colse il pensiero che forse lei era corsa verso il banco, e con uno sforzo prodigioso aveva scalato il minuscolo pendio. Lei non c’era. Lui scostò l’ondeggiante sipario dei salici, e sebbene le fronde fossero così lievi che un uccello avrebbe potuto volarci attraverso, lui annaspò da tanto gli costò quello sforzo.

Barcollando sotto il sole oltre la frangia degli alberi, scoprì che lei non era nemmeno lì. Cercò di correre, ma inciampò, sollevandosi a fatica per continuare a barcollare. Poi la foschia del suo delirio si chiuse su di lui, e il sangue gli martellò i timpani, e un tumulto sortì da cielo e terra per sovrastarlo.

***

IL dottore e l’ingegnere, usciti a pescare, inciamparono sulla sua figura rattrappita un’ora dopo. Il primo, un ometto raggrinzito con gli occhiali, si piegò su di lui e lo studiò con occhi che sembrarono capire tutto. Esaminò il polso del giovane, gli slacciò la camicia, fissò le pupille dei suoi occhi. Alla fine si voltò verso l’altro, aggrottato, e disse:

“Febbre, e forse tifoidea, quella maledetta. È il caso peggiore che abbia mai visto.”
Poi la sua voce si alzò in uno scatto di rabbia.

“Di’, ma non riesci a tenere gli uomini lontano da quest’acqua?” chiese. “C’è la morte dentro.”

In copertina Valentina Bellé che interpreta una sirena nella fiction RAI Sirene

Mario Luca Moretti
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Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano

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