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OLTRE IL CIELO VA OLTRE IL TEMPO

OLTRE IL CIELO VA OLTRE IL TEMPO
Maggio 2006

Tutti abbiamo qualche chiodo fisso. È probabile però che i chiodi fissi aumentino per chi ha a che fare con la fantascienza perché, ai normali campi di attività nel cui ambito ognuno di noi coltiva manie, fissazioni, pallini o come vogliamo definirli, si aggiungono campi d’azione di vastità paurosa, e di conseguenza aumentano anche i chiodi fissi, tipo la ricerca dell’unica inequivocabile definizione di fantascienza. Uno dei miei chiodi fissi è toglierle l’aspetto di blob privo di dati somatici e darle habitus. Dopotutto, questo movimento letterario ha finito da lunga pezza di succhiare il latte materno e non solo non cammina più gatton gattoni ma ha pure i capelli bianchi. Eppure, malgrado quanto avvenuto in più di mezzo secolo, chi dal di fuori volesse farsene un quadro esaustivo, otterrebbe solo un’immagine magmatica priva di sfaccettature fisionomiche definita semplicemente fantascienza italiana.

Quando la science fiction arrivò in Italia noi abbiamo potuto usufruire di un prodotto d’importazione già consolidato e basato su una tecnologia di frontiera in piena fase di sviluppo, due elementi preziosi in grado di offrirci una notevole opportunità, ovvero, per rimanere in tema, una base di partenza già collocata “oltre il cielo” piuttosto che in una rampa di lancio sulla Terra. Però era necessario che qualcuno desse spazio a un modo meno stereotipato e più spontaneo di interpretare il divenire.

Ed ecco che, nel 1957, entra in campo Cesare Falessi con la sua rivista Oltre il Cielo e lascia uno dei segni più profondi nella storia della nostra fantascienza grazie all’originalità della formula e all’apertura ad autori italiani debitamente corredati, se lo vogliono, di nome e cognome. Ergo, se dovesse realizzarsi il mio chiodo fisso di sciogliere il blob fantascientifico nazionale per metterne in evidenza visioni e fisionomie creative, Cesare Falessi si troverebbe tra quei cinque o sei personaggi presentatisi nella veste composita di editor, editori e autori che fanno pendant con i loro omologhi anglosassoni.

Adesso Cesare non c’è più, ci ha lasciati fisicamente, ma come avviene per chi crea qualcosa che si sviluppa nel tempo, il suo Oltre il Cielo è un punto di riferimento nella storia del movimento fantascientifico italiano, e lui rimane nel ricordo non solo come amico e per quanto ha costruito ma anche per l’idea.

In Le frontiere dell’ignoto, una delle poche opere di saggistica che, allora, si siano occupate del movimento fantascientifico italiano (ma siamo nel 1977 e il libro veniva presentato con il sottotitolo Vent’anni di fantascienza italiana, quindi specchio ancora appannato di un movimento che oggi di anni ne ha sulla gobba parecchi di più), Vittorio Curtoni diceva:

Il 1957 è importante soprattutto perché nascono I romanzi del Cosmo e Oltre il Cielo (…) Sono proprio I romanzi del Cosmo e Oltre il Cielo a segnare una svolta decisiva per la nostra science fiction (…) Ma mentre “i romanzi scritti per la rivista di Ponzoni erano opere avventurose senza preoccupazioni formali, sovente ingenue, destinate a un pubblico che nella science fiction cercava soltanto l’evasione (…) con Oltre il Cielo ci troviamo subito in un altro ambito (…) Il fatto importante è che Oltre il Cielo ospita fin dal primo numero racconti italiani senza pseudonimo (al massimo, in pochi casi, lo pseudonimo è voluto dall’autore) e li affianca ai lavori dei più celebrati autori anglo-americani (…) È con questa rivista che la science fiction nazionale, pur quasi sempre costretta alla misura del racconto, riesce finalmente ad esprimersi senza impacci, alla luce del sole.

Cesare Falessi chiudeva l’editoriale del primo numero di Oltre il Cielo con queste parole: “Oltre il Cielo è un periodico di carattere interamente astronautico che si sforzerà di aggiornare gli Italiani su quanto si fa nel mondo, in tutti i campi che nell’astronautica convergono, in preparazione della grande conquista, pur concedendo – oasi di libera fantasia fra tanto moltiplicarsi di fantastiche realizzazioni – non piccola parte della sbrigliata invenzione.

Eccola qui l’idea: oltre a realizzare una testata diversa abbinando divulgazione scientifica con narrativa di fantascienza, dando così maggiore respiro alla scienza e maggiore spessore alla fantasia, sin dal primo numero apre le sue pagine ad autori italiani privi di mascherature esotiche (salvo chi lo volesse, ma stava all’autore decidere). Veniva così offerta una rampa di lancio a chi voleva cimentarsi con quella nuova narrativa ma soprattutto a chi già vedeva nella science fiction molto più di quanto essa mostrasse allora: bastava saper catturare le sue grandi possibilità e valorizzarla, con ottica più elastica, sia come intrattenimento sia come analisi profonda e speculazione consapevole.

Non sta a me analizzare i racconti di Falessi, sarà eventualmente un critico a farlo, però, tanto per fare un esempio, ne La macchina si parla di viaggi nel tempo. Già allora, siamo nel 1960, i due elementi classici, rappresentati dal meccanismo del trasferimento temporale e dall’eroe di turno, vengono ribaltati rispetto ai canoni; ed ecco che lo spostamento temporale non avviene fisicamente ma con la “psiche”, e l’eroe non è lo scienziato pazzo o il fustone capace di salvare il mondo da solo: al loro posto troviamo un signore in completo grigio con panciotto, camicia bianca rigata e cravatta a tinta unita mandato allo sbaraglio da uno scienziato più furbo che pazzo, insomma una sorta di presa per i fondelli, di dissacrazione dei punti di riferimento classici che ci arrivavano da fuori, un po’ quello che fecero Carlo della Corte e Sandro Sandrelli per citare due nomi tra i più noti (chissà adesso cosa staranno combinando tutti e tre insieme!).

Ovviamente, questo modo di affrontare la fantascienza era solo uno tra gli altri che l’avrebbero caratterizzata: come già detto, essa era anche il medium per dire cose molto ma molto serie. Però da quell’idea si sviluppò la prima ossatura di una fantascienza italiana che avrebbe dovuto combattere molte battaglie contro avversari esterni e interni, alcuni in buona fede, altri no.

La rivista era di grande formato e subito si presentò con un particolare che la differenziava anche a livello puramente visivo: la “E” di Cielo aveva quattro gambette anziché le normali tre. Volendo indagare su questo mistero mi fu detto che la quarta gambetta avrebbe rappresentato un passo in più per arrivare “oltre il cielo”, un gradino più alto per curiosare meglio, per vedere orizzonti più vasti al di là della collina. Non ricordo chi mi diede questa spiegazione, e può anche darsi che la cosa non rispondesse a verità e fosse un escamotage per vestire di creatività sfiziosa una svista tipografica, ma non credo. Comunque, fosse vero o no, quel particolare contribuì a imporre un marchio di fabbrica. Ma a parte il ghiribizzo grafico, è intuibile cosa abbia significato nel 1957 l’entrata in scena di una tale iniziativa: molti si avvicinarono alla rivista e ne furono catturati come lo furono due protagonisti del racconto di Falessi La trappola dal cielo apparso a pagina cinque del primo numero (diabolico Cesare!).

Prima di scrivere questo pezzullo ho tirato fuori la raccolta completa dal canto segreto della mia libreria dove dimorano le cose più preziose, e ancora una volta ho sfogliato pagine conosciutissime ma sempre pregne di immutato fascino (a proposito, che opera storico-divulgativa verrebbe fuori dall’apparato iconografico di Oltre il Cielo!). Nel ripetere questo rito è facile cadere nella retorica, lo so: c’è il ricordo di emozioni irripetibili, riprovi l’ansia di vedere il tuo primo lavoro pubblicato, rivivi la soddisfazione di aver sbattuto sotto gli occhi dei poveri di spirito ciò che essi consideravano con sufficienza sogni sempliciotti di gioventù… e adesso c’è anche il rimpianto di rileggere le parole di un amico scomparso… Va bene, potevo fare a meno di scrivere queste ultime quattro righe ma ho voluto farlo ugualmente, e se a qualcuno può apparire un dettaglio a effetto l’aver sfogliato quelle pagine, lo pensi pure, il suo parere non mi tocca, punto.

Tra me e Cesare si era intrecciato subito uno scambio epistolare che rappresenta uno dei carteggi del mio archivio ai quali mi sento maggiormente legato, sia perché era il primo contatto con un editore di fantascienza, sia perché quei miei primi racconti furono subito in sintonia con lo spirito della rivista, e quindi la collaborazione si consolidò in tempi brevissimi. Ultimo ma non ultimo elemento a rendere quell’accadimento elettivo era il tono delle lettere che Cesare inviava ai suoi collaboratori: gentili, rispettose e professionali, tanto che, col passare degli anni e delle mode, quel comportamento l’ho visto con nostalgia sempre maggiore, un “come dovremmo essere” da applicare quale regola base di fair play nel rapporto editore/autore.

Nel ritrovare a distanza di tanti anni il mondo di Cesare Falessi è naturale che i ricordi si affollino… e così eccomi a Roma assieme a Sandro Sandrelli (era il 1980 o il 1981) e Cesare ci invita a casa sua. È la prima volta che mi trovo dinanzi al direttore di Oltre il Cielo in carne e ossa dopo oltre vent’anni che ci scambiavamo lettere, tempo più che sufficiente per passare dall’egregio signore al tu.

Il viaggio con Sandrelli si era svolto con tutta tranquillità ma, almeno per me, fu interiormente defatigante. Mi spiego: per chi abbia conosciuto Sandrelli solo attraverso i suoi racconti potrebbe pensare che un’intera giornata assieme a lui fosse una catena continua di sensazioni che manco una manciata di ecstasy, tutta movimento e colori. Ma Sandro non era così nella vita di tutti i giorni; le sue parole erano pregne di serietà e di una sicurezza che difficilmente lasciava spazio ad altre interpretazioni, quindi mettere insieme un personaggio come Sandro e un introverso che ha necessità di compagnia spumeggiante per lasciarsi andare, non poteva portare a risultati goliardici.

Per questa ragione, quando telefonammo a Falessi e lui ci disse che saremmo stati suoi ospiti, il mio orizzonte passò dal grigio al rosa (caro Sandro, ovunque tu sia, non volermene, lo sai quanto ti ho stimato e quanto mi sia sentito onorato nell’avere come vicino di casa un padre fondatore della fantascienza italiana, e se i nostri incontri non erano sulla stessa linea delle assise con sfumature goderecce che attualmente si tengono in quel di Bologna, ciò dipendeva esclusivamente da fattori caratteriali.)

Ricordo l’emozione (sì, ancora un’emozione) che provai nel trovarmi a casa del mio primo editore, colpito dalla sua squisita ospitalità naturale, non di forma né ostentata. «Andremo a pranzo da…» (non ricordo il nome del ristorante), disse Cesare, «In quanto a cucina siamo al sicuro, lì ci vanno i politici che contano. Ci va pure Andreotti, e non è detto che non ce lo troviamo vicino di tavolo. Il problema è trovare un tavolo libero.» Sandro e io eravamo seduti su un divano e davanti a noi Cesare era seduto su una poltrona con accanto un tavolino basso e quadrato. Sul tavolino c’era un oggetto. Cesare vi picchiettò col dito. Seguì un ronzio intermittente. «È occupato,» disse, e allora scoprii che si trattava di un telefono.

Anche se in quell’occasione non ebbi l’opportunità di vedere Andreotti, vidi per la prima volta un cordless e udii per la prima volta un viva voce. Non dissi nulla, ovviamente, dimostrando con nonchalance che per uno scrittore di fantascienza un cordless nel 1980 (o il 1981) costituiva una assoluta normalità, anzi, per dimostrare al mio editore che il futuro me lo facevo ballare sulla punta delle dita, mi venne quasi di dire che in casa ne avevo uno anch’io… ma mi astenni.

Nello sfogliare i numeri di Oltre il Cielo si trova il Falessi trasformista e poliedrico che passa dalla saggistica alla narrativa vestendo i panni dei vari Falce, Clift Brady, Steve Buchner, François Charrier eccetera (praticamente era lui solo che, con l’appoggio scientifico di Armando Silvestri, componeva ogni quindici giorni un numero della rivista e lo faceva uscire da un inesauribile cappello a cilindro.)

Ma questa iniziativa la trovo anche sottilmente emblematica perché unisce due autori/editor/editori con idee lungimiranti, i quali, malgrado tante difficoltà, hanno incarnato il meglio del movimento fantascientifico italiano: Falessi dimostrò coraggio e professionalità nel voler dare fiducia a una neonata fantascienza nazionale che voleva presentarsi con nome e cognome, (Sören Kierkegaard disse: “La grandezza non consiste nell’essere questo e quello ma nell’essere se stessi; e questo ciascuno lo può, se lo vuole”).

Sono questi gli ingredienti che hanno permesso di ricordare l’inventore di Oltre il Cielo nell’ambito di una politica che rinfresca la memoria a chi avesse dimenticato e fa conoscere, a chi ancora non ne fosse a conoscenza, i momenti che hanno costruito pietra su pietra l’edificio della fantascienza italiana.

Renato Pestriniero
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Renato Pestriniero, veneziano, sposato, una figlia. Fino al 1988 capo reparto presso la filiale veneziana di multinazionale svizzera. Dal suo racconto “Una notte di 21 ore” il regista Mario Bava ha tratto il film “Terrore nello spazio.” Esperienze televisive, radiofoniche, fotografiche e figurative.

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