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I PRIMI CINQUANTANNI DELLA FANTASCIENZA IN ITALIA (PRIMA PARTE)

I PRIMI CINQUANTANNI DELLA FANTASCIENZA IN ITALIA (PRIMA PARTE)

Prima puntata

La fantascienza fu conosciuta in Italia attraverso opere che rientravano nel filone definito space opera, cioè avventure mirabolanti su pianeti dove l’eroe era occupato dalla prima all’ultima pagina a combattere esseri più o meno mostruosi e, ovviamente, a difendere l’eroina di turno, quella che appariva sulle copertine con abiti sempre strategicamente stracciati ma con maquillage impassibili a ogni affronto. A detta di molti, e non a torto, questo nuovo eroe si poteva identificare in un cow boy in tuta spaziale. Il teatro delle sue avventure è un Far West trasformato in nuova frontiera galattica. Buona parte degli alieni, infine, poteva benissimo trovare il loro corrispettivo terrestre al di là della cortina di ferro, almeno fino a quando durò la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

Come novità questi stereotipi potevano anche andar bene, alla pari con jeans e Coca Cola. Ma presto fece capolino una delle nostre caratteristiche nazionali, quell’atteggiamento un po’ scafato che mette tutto o quasi in discussione, prende sul serio solo calcio e politica, e tante situazioni le risolve con uno sberleffo.

Già il termine fantascienza fu usato in tutte le salse e spesso con significati diametralmente opposti. Alcuni ricorderanno lo slogan: “Qui facciamo scienza, non fantascienza“. In altre parole, quello che vendiamo è un prodotto serio, non un bidone. Contemporaneamente, ecco un intervento chirurgico “che ha del miracoloso, addirittura fantascientifico“.

Ciò che ha contribuito a dare alla fantascienza un aspetto non obiettivo è stato anche il suo incasellamento nella categoria dei generi e dei sottogeneri, relegandola su uno scaffale che con la letteratura mainstream non aveva nulla da spartire. Tutti parliamo di fantascienza come genere, però, a ben vedere, essa non è un genere ma si serve dei generi. Un genere rappresenta caratteri essenziali e distintivi secondo i canoni della sua particolare tradizione, quindi un romanzo giallo non potrà non tener conto di delitti e investigazioni, e una storia western non potrà svolgersi a Cinisello Balsamo. La fantascienza, al contrario, può infiltrarsi trasversalmente in ogni genere senza preoccuparsi di limiti spaziali e temporali essendo un vastissimo contenitore dove coabitano le più diverse espressioni narrative. Se vogliamo essere pignoli, la fantascienza potrà essere definita filone, branca, corrente, movimento, ma il volerla incasellare come genere è una contraddizione in termini.

Anche per questo, sin dalla sua comparsa in Italia, alcuni si accorsero che la fantascienza possedeva in nuce la possibilità di penetrare nell’universo letterario con la forza di un ariete, abbattendo schemi e idee sclerotizzati. Insomma, essa appariva come un regalo confezionato con carta colorata destinata prima o poi a essere buttata via per mettere in luce un contenuto che nemmeno i padri fondatori d’oltre oceano avevano individuato, ancorati a una filosofia fideistica e limitata della tecnologia.

La validità intravista consisteva sì nella certezza che scienza e tecnologia stavano acquistando una forza d’inerzia inarrestabile, e quindi la fantascienza, anziché afflosciarsi come fenomeno passeggero, sarebbe durata nel tempo, ma soprattutto che essa si sarebbe trasformata a mano a mano che le previsioni si fossero trasformate in realtà mostrando anche l’altra faccia della medaglia. In altre parole, la fantascienza si sarebbe alimentata non soltanto di gadget tecnologici, destinati inevitabilmente a diventare obsoleti, ma anche di ciò che quei gadget, nel loro sviluppo esasperato, avrebbero provocato sul personaggio, unico elemento senza spessore, prigioniero dello stereotipo. Bisognava mettere in primo piano il personaggio, immergerlo in habitat stranianti, analizzarlo in scenari che, allora frutto di speculazione, oggi ci circondano materialmente. Pensiamo alla virtualità elettronica, alla genetica, alla globalizzazione, alle megalopoli, a un medioevo di fanatismo religioso, di intimidazione e di terrorismo tecnologico…

Vorrei ricordare un passaggio di un grande scrittore: “I luoghi dello Wyoming, del Montana e dell’Idaho che ho amato e per i quali saremmo partiti alla fine di giugno, sono stati tutti rovinati e nessuno che li abbia conosciuti ai vecchi tempi potrebbe viverci adesso. Le cose che sono necessarie allo sviluppo di un paese lo deturpano per tutti coloro che lo conoscevano prima che venisse alterato“. Queste parole le ha dette Ernest Hemingway nell’articolo A Situation Report, apparso sulla rivista Look il 4 settembre 1956. La fantascienza italiana era apparsa da appena quattro anni e già alcuni di noi erano certi che solo essa avrebbe potuto descrivere in modo adeguato cosa i futuri cambiamenti ambientali avrebbero provocato sull’uomo.

Intendiamoci, nessuno voleva soffocare la freschezza della fantascienza. Essa sarebbe rimasta fedele alle sue caratteristiche basilari di rottura ma, attraverso sinergie tra autori e strutture adatte per una sua divulgazione capillare, avremmo potuto avere anche in Italia, come in altri paesi europei, una corrente con caratteristiche più affini al nostro modo di vedere da affiancare al prodotto di importazione.

Invece, troppi si limitarono a usarla esclusivamente nel suo aspetto ludico, escapista, a seguire una moda e a imitare schemi e idee ai quali siamo estranei.

C’era però un’editoria minore ma attenta. Credo sia interessante ricordare il numero 113 di Galassia, una delle testate che, assieme a Oltre il Cielo, Futuro, Nova SF, Interplanet e poche altre, promossero tra grandi difficoltà una produzione italiana impegnata. Quel numero di Galassia portava il titolo Destinazione Uomo. Tendenze della SF italiana. L’introduzione dei curatori Vittorio Curtoni, Gianfranco de Turris e Gianni Montanari diceva tra l’altro: “In questa antologia assolutamente predominante risulta l’impegno introspettivo, cosa che abbiamo inteso sottolineare col titolo dato alla raccolta, che fa assumere sovente più importanza ai personaggi che non alla trama. Già questo fatto è indice di un preciso desiderio, che è quello di nobilitare il modulo fantascientifico per una ricerca spiccatamente psicologica. Ricerca che, ad essere sinceri, raramente si ritrova in molta parte della SF americana.

Destinazione Uomo apparve quando Urania era nelle edicole già da diciotto anni. In quel frattempo parecchie testate erano nate e scomparse senza lasciare traccia né nostalgie. Altre avevano stabilito dei punti fermi.

Nel 1971 Galassia pubblica Amore a quattro dimensioni, la seconda antologia di autori italiani. Il sesso in genere era argomento che in America, per una legge non scritta ma che discendeva dal puritanesimo di base di quella società, non veniva trattato in fantascienza, e quando non era possibile farne a meno, gli autori se la sbrigavano con quattro righe e molte perifrasi. Gross Conklin scriveva nel 1964 che “è quasi impossibile mescolare il sesso con la fantascienza.”

Ecco quindi che la produzione semicarbonara italiana tentava di abbattere un altro tabù, non certo per morbosità ma perché non riusciva a capire perché mai certe situazioni che appartengono all’essere umano non dovessero trovare il loro giusto spazio in fantascienza.

Solo molti anni più tardi la produzione americana si rifece del tempo perduto, e sia sesso sia umanesimo rimbalzarono anche in Italia. Ovviamente furono accolti con squilli di tromba anche da chi li aveva sempre condannati. Purtroppo, malgrado quanto abbiamo dimostrato di saper fare nei più svariati campi, il complesso esterofilo rimane vivo e, se si fa rispettosamente notare certi meriti nostrani, c’è sempre qualcuno che accusa di nazionalismo.

Già nel 1962 era apparso Pulsatilla sexuata di Carlo della Corte, una raccolta di racconti nei quali l’autore aveva osato parlare anche di sesso. Il libro era stato pubblicato da un noto editore del mainstream forse perché si trattava di scrittore normale. Non nel senso che Carlo della Corte non era pazzo, ma perché le sue opere di narrativa, saggistica e poesia gli avevano già procurato un posto ben definito nella letteratura alta.

Le parole di presentazione possono considerarsi emblematiche dello spirito che animava chi considerava la fantascienza un modo nuovo di fare letteratura. Per Pulsatilla sexuata, presentato esplicitamente come antologia di racconti di fantascienza, si disse: “Lo stile e il gusto di una prosa calibrata si fondono con il conturbante scatto dell’immaginazione, con la trovata che graffia, con un vivido senso d’angoscioso umorismo nei confronti delle meraviglie e degli orrori del nostro imprevedibile futuro.”

Di solito, opere di fantascienza scritte da nomi noti venivano presentate senza specificarne esplicitamente la natura, a volte arrivando a raffinati equilibrismi. Ad esempio, Italo Calvino per le sue Cosmicomiche e Ti con zero, verrà definito “esploratore dell’immaginario scientifico“, verrà detto che “la sua immaginazione è sempre stata attratta dall’inverosimile scientifico, dalle speculazioni e fantasticherie che ne poteva trarre.”

Alberto Moravia, invece, non usò equilibrismi. Difficile dimenticare come stigmatizzò Luce d’Eramo in occasione del premio letterario Città di Montepulciano nel 1986, rea di aver scritto Partiranno, e come lo stesso Moravia abbandonò il tavolo della giuria allorché si passò alla sezione inediti nell’ambito della XII Convention di fantascienza e del fantastico, evitando così ogni possibile contaminazione.

Continua…

Copertina tratta da Wired

Renato Pestriniero
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Renato Pestriniero, veneziano, sposato, una figlia. Fino al 1988 capo reparto presso la filiale veneziana di multinazionale svizzera. Dal suo racconto “Una notte di 21 ore” il regista Mario Bava ha tratto il film “Terrore nello spazio.” Esperienze televisive, radiofoniche, fotografiche e figurative.

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