15 – Giovanni Virgilio Schiaparelli
Giovanni Virgilio Schiaparelli
Nota dell’autore: questo capitolo è parzialmente apparso in un mio libro precedente intitolato: “Misteri dallo spazio e dal Tempo” ma è stato ora aggiornato e completato.
Un Pianeta per l’Uomo di Domani
“…Queste linee sono i così detti canali di Marte, così denominati per pura convenzione analoga a quella per cui alle grandi macchie si è dato il nome di mari e continenti. Ma della loro natura finora poco o niente si è potuto accertare. Il nome di canali però e la regolarità loro apparente ha però indotto molti uomini di calda fantasia a ravvisare in essi opere artificiali gigantesche di esseri intelligenti: ipotesi questa che per ora non è ancora stato possibile dimostrare che sia vera o falsa. Gli spiriti scettici hanno poi facilmente troncato la questione, negando a queste conformazioni ogni esistenza obbiettiva, e dichiarandole come fantasmi creati dall’immaginazione sulla base di visione confusa ed imperfetta.”
(Giovanni Schiaparelli- Astronomo)
Se c’è un uomo di scienza, in questo caso un astronomo, le cui osservazioni e deduzioni sono state fraintese non solo dalla grande massa del pubblico ma anche dai suoi dotti colleghi, questi è senza dubbio il piemontese Giovanni Schiaparelli.
La sua storia comincia per noi quando ottenne, grazie all’appoggio di Quintino Sella, il permesso di costruire sui tetti dell’Università di Brera un telescopio che sarà lo strumento da lui usato principalmente per lo studio del pianeta Marte.
É interessante osservare che lo strumento in questione era un rifrattore di Merz con un obiettivo di soli 218 mm con il quale però fu in grado di compiere molte interessanti osservazioni e che gli permise di scoprire molteplici stelle doppie.
Gli studi di Schiaparelli si volsero verso il pianeta Marte nel 1877 e la ragione di questa, che diverrà la sua principale fonte di ricerca e lo renderà famoso in tutto il mondo, sarà da lui stesso spiegata negli Atti della Reale Accademia dei Lincei, Memorie della Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali pubblicata nel 1878:
“…Non era da principio mio intendimento consacrare ad esso (Il pianeta Marte) una serie continuata e regolare di osservazioni. Io desiderava soltanto esperimentare, se il nostro Refrattore di Merz, il quale aveva dato così buon saggio di sé sopra le stelle doppie, possedesse anche le qualità ottiche opportune ad aiutare lo studio della superficie dei pianeti…”
Per la prima volta, quindi, apparve nel diario che egli teneva per le sue osservazioni il nome di Marte: era il 23 Agosto del 1877 e dal 1878 al 1910 pubblicò sette memorie su questo argomento presso l’Accademia dei Lincei e a mano a mano che procedeva con le sue osservazioni si rendeva conto di quanto fosse necessario redigere una serie di nuove carte sul pianeta usando nuove e opportune nomenclature.
Dovete tenere conto che la fotografia non era ancora di ausilio all’astronomia. Essa interverrà solo ai primi anni del Novecento per cui tutte le immagini che gli astronomi osservavano dagli oculari dei telescopi venivano tradotte da loro stessi in disegni.
Giovanni Virgilio Schiaparelli, questo il suo nome completo, iniziò il suo lavoro usando in massima parte una nuova nomenclatura per definire ciò che egli scorgeva all’oculare: adoperando casualmente la terminologia utilizzata anche dall’astronomo Secchi, egli usò il termine canale o canali per descrivere gli allineamenti che scorgeva sulla superficie marziana e solo pochi giorni prima delle sue prime annotazioni, il 18 Agosto 1877 per la precisione, l’astronomo inglese Asaph Hall scoprì le due lune marziane dando loro il nome di Phobos (paura) e Deimos (terrore) che nella mitologia romana sono i due cavalli aggiogati al carro di guerra del dio Marte. La scoperta di una terza luna marziana, annunciata il 30 agosto di quello stesso anno, risulterà falsa.
La nuova carta marziana che l’astronomo presentò all’Accademia dei Lincei presentava un’infinità di particolari in più rispetto ai rilevamenti precedenti che mostravano, al massimo, delle macchie color rosso ocra denominate continenti ed altre di un rosso più scuro chiamate oceani, oltre a due macchie bianche in corrispondenza delle calotte polari.
Le osservazioni di Schiaparelli fecero il giro del mondo e arrivarono quindi anche in Inghilterra dove si verificò il fatto che diede involontaria fama mondiale all’astronomo, cosa che non sempre è stata spiegata completamente ed esattamente nemmeno oggi.
Prima di tutto bisogna dire che l’astronomo, parlando dei canali che aveva scorto sulla superficie di Marte, non prese mai una posizione riguardo alla loro natura artificiale o meno. Anzi, almeno inizialmente spiegando questo fenomeno, lo descrisse in questi termini:
“Che, del resto, le linee dette canali siano veramente grandi solchi o depressioni della superficie del pianeta destinate al passaggio di masse liquide, e costituiscano su di esso un vero sistema idrografico, è dimostrato dai fenomeni che in quelli si osservano durante lo struggersi delle nevi boreali…”
Schiaparelli continuava evidenziando come i canali fossero più visibili quando le nevi si scioglievano sulle calotte polari e come tornassero normali a fenomeno concluso.
“L’interpretazione più naturale e più semplice è quella che abbiamo riferita, di una grande inondazione prodotta dallo squagliarsi delle nevi; essa è interamente logica, e sostenuta da evidenti analogie con fenomeni terrestri.”
Accadde invece che la traduzione dei suoi scritti e delle sue dichiarazioni fossero fuorviate dalla errata interpretazione che venne data alla parola “canali” da lui usata. Invece di tradurla in “channels” che indica il canale di origine naturale, essa fu arbitrariamente tradotta con “canals” che, al contrario, indica il canale di origine artificiale il che dette l’inizio a una serie di speculazioni, di osservazioni fantasiose che trascinarono, almeno in parte e per il grosso pubblico, Giovanni Schiaparelli ad essere definito come lo scopritore di una forma di vita intelligente sul pianeta Marte.
A tutto questo si aggiunse il fatto che il 5 marzo del 1882 egli annunciò alla solita Accademia dei Lincei, di aver visto queste linee sdoppiarsi; un fenomeno che egli definì con il termine di “germinazione” e fu il primo lui stesso a stupirsi di questo fatto, avendo sempre considerato l’origine dei canali come naturale e non artificiale.
Una spiegazione logica di questa serie di fenomeni fu ipotizzata dal fisico ed astronomo Vincenzo Cerulli che possedeva un osservatorio privato a Teramo. Egli diede una spiegazione “ottica” al fenomeno dei canali e alle loro presunte germinazioni: i canali non erano una realtà fisica ma piuttosto il risultato di un processo di elaborazione inconscia, una sorta di integrazione ottica, un fenomeno grazie al quale il nostro occhio tende a raggruppare come macchie o linee definite i dettagli posti al limite della visibilità.
In altre parole, il completamento di questi “accenni di linee” venivano ultimati dalla logica del cervello che trasmetteva all’occhio il fenomeno completo così che esso ci mostrava ciò che di fatto non esisteva.
La serietà degli studi condotti da Schiaparelli è ancora oggi dimostrata dal fatto che egli stesso aderì e approvò questa teoria.
Non fece altrettanto il pubblico visto che una ricca vedova francese, Clara Gouzet Guzman, mise in palio centomila franchi dell’epoca come premio per colui che riuscisse a comunicare con un altro pianeta. La donna escluse Marte perché sarebbe stata una cosa troppo facile…
E non fece altrettanto nemmeno Sir Percival Lowell, il vero responsabile delle fantasiose ipotesi sul pianeta Marte, diplomatico americano di stanza in Giappone che ritornato in America si dedicò interamente all’astronomia e che si fece costruire un osservatorio astronomico a Flagstaff, in Arizona.
Convinto assertore della pluralità dei mondi abitati, peraltro sostenuta anche dal famoso astronomo e divulgatore Camille Flammarion, egli, con l’aiuto di collaboratori quali William Pickering e Andrew Elliott Douglass, osservò parecchi canali, sdoppiati o meno, sul pianeta Marte e fu convinto assertore della vita intelligente che popolava il lontano pianeta rosso.
Secondo Lowell i marziani abitavano un pianeta morente e avevano costruito questi grandi canali come ultima risorsa per convogliare le residue acque del pianeta allo scopo di far crescere le piante e le messi.
Dal suo osservatorio denominato “Castello di Marte” egli diramò deliranti bollettini, organizzò conferenze e fece visita all’estero a Flammarion e allo stesso Schiaparelli, il quale lo ricevette con cortesia anche se non condivideva affatto le sue teorie.
La pubblicità data a Marte in quel periodo fece sì che il pianeta rosso diventasse il centro del famoso romanzo di Herbert George Wells “La Guerra dei Mondi”, pubblicato a puntate nel 1895. Ma non solo: fiorirono le proposte per mettersi in contatto con i marziani, come suggerì un francese: Charles Cros che propose di costruire uno specchio gigantesco per riflettere sui deserti marziani l’immagine del Sole in modo da formarvi delle lettere e dei messaggi e anche il pioniere dell’astronautica Kostantin Tsiolkowskj che propose la costruzione di specchi rotanti in modo da poter mandare ai marziani dei messaggi.
Nel 1904 venne osservato sul pianeta un enorme complesso nuvoloso che, almeno secondo la fantasia degli osservatori, formava una enorme W dal minaccioso significato di “guerra” (War) e solo molto più avanti si scoprirà che questo fenomeno, perfettamente naturale, era dovuto alla presenza di notevoli rilievi marziani.
Il 19 maggio del 1895 il New Herald uscì con un articolo tendente a dimostrare come le linee marziane del planisfero di Schiaparelli sembravano formare la parola Shadday, il nome di Dio in ebraico.
Intanto il delirio osservativo e speculativo di Lowell non accennava minimamente a fermarsi: egli avvistò, disegnò e descrisse non meno di 437 canali e dichiarò persino di aver individuato la capitale del pianeta nella macchia rotonda detta Ascraeus Lacus e queste sue osservazioni vennero sostenute proprio da Flammarion, convintissimo che tutti i mondi potessero contenere la vita.
Naturalmente le idee di Lowell furono avversate da molti astronomi del suo tempo.
Oltre allo stesso Schiaparelli ci fu il naturalista Alfred Russel Wallace che fece presente ai colleghi e al pubblico come la vita sul pianeta non potesse essere possibile a causa delle sue basse temperature. Ma sia la stampa che il pubblico preferirono pensare, come farebbero poi oggi e come hanno fatto quando fu scoperto ed esaminato il sasso marziano apparentemente contenente dei fossili, che esistano esseri di altri mondi e che siano vicini a noi: desiderio spesso inconscio, ma connaturato alla natura umana.
La vita di Giovanni Virgilio Schiaparelli stava ormai volgendo al termine.
La diatriba dell’esistenza o meno dei canali non sembrava ormai colpirlo più di tanto. Aveva speculato con la scienza ed aveva spiegato, usando la fantasia, quali forme di vita potessero esistere sul pianeta da lui tanto studiato. Lo aveva fatto specificando sempre che si trattava di teorie, a volte di sogni, a volte di voli pindarici.
Chiuse gli occhi per sempre nel 1910, mentre continuavano le polemiche sull’esistenza o meno dei canali marziani e, anche se la scienza li aveva esclusi, rimasero a totale servizio della fantasia fino al 1964, quando le prime immagini ravvicinate del pianeta rosso inviate della sonda americana Mariner 4, non tolsero ogni speranza. Regalando al mondo un pianeta arido, ricco di spaccature, vulcani e crateri.
Solo recentemente le sonde americane che da mesi stanno esplorando il pianeta hanno dato una nuova svolta alle possibilità di vita e di colonizzazione del pianeta. Ne riparleremo.
Ma tutto questo Schiaparelli non lo seppe mai per cui il suo sogno vivrà per sempre. Nella sua realtà così come appare attraverso i dati raccolti fino a questo momento.
Le prime osservazioni effettuate su questo pianeta sembravano quanto mai interessanti: le immagini al telescopio mostravano delle calotte polari che scomparivano e riapparivano in tempi ben determinati e di conseguenza si venne a conoscenza che Marte aveva delle stagioni.
Questo perché, come succede per la Terra, il suo asse è inclinato sul piano dell’eclittica e quindi la luce solare vi arriva con inclinazioni differenti, il che determina il caldo o il freddo sulla sua superficie: da qui le stagioni.
In più Marte ruota, come la Terra, attorno al proprio asse in un periodo di tempo estremamente simile al nostro, da qui il giorno e la notte. La sua distanza dal Sole è una volta e mezza quella della Terra, mentre il nostro pianeta occupa il terzo posto dal Sole, Marte è al quarto; quindi, riceve meno luce e meno calore.
Le sue dimensioni sono circa la metà di quelle terrestri e di conseguenza anche la gravità è inferiore. Un uomo che pesasse settanta chili sulla Terra su Marte si troverebbe a pesarne circa 27.
Anche l’atmosfera marziana fu oggetto di studio e gli spettrometri poterono determinarne la composizione.
Non è certamente aria respirabile per noi in quanto è composta, per oltre il 95% di anidride carbonica, al 2,7 per cento di azoto e con tracce di argo, circa l’1,6%, ed è purtroppo quasi totalmente priva di vapore acqueo le cui tracce raggiungono circa lo 0,03%. Insomma, Marte sembrava sì un pianeta vecchio e avviato verso la strada dell’estinzione, ma ancora vivo anche se i suoi abitanti avrebbero lottato quotidianamente e duramente con e per la vita.
Malgrado la componente atmosferica, non certo adatta alla vita animale e vegetale e benché la temperatura su Marte sia tra 120 gradi sottozero al Polo Sud d’inverno e i zero gradi all’equatore, la speranza di trovarvi delle forme di vite non scomparvero mai, si ridimensionarono solamente passando dalle forme marziane evolute e senzienti a quelle primitive e magari anerobiche, cioè non bisognose di ossigeno per sopravvivere.
Vanni Mongini
Tra i maggiori specialisti mondiali di cinema SF (Science Fiction) è nato a Quartesana (Fe) il 14 luglio 1944 e fino da ragazzino si è appassionato all'argomento non perdendosi una pellicola al cinema. Innumerevoli le sue pubblicazioni. La più recente è il saggio in tre volumi “Dietro le quinte del cinema di Fantascienza, per le Edizioni Della Vigna scritta con Mario Luca Moretti.”