In viaggio con Sofia
“SOFIA puoi cortesemente aprire il diario di bordo e annotare quanto segue?” Fu la perentoria richiesta trasmessa da Mattia al sistema di controllo della navicella spaziale di cui era al comando.
“Diario di bordo attivo.” Una suadente voce femminile ne diede veloce riscontro. Era SOFIA, il SOFtware a Intelligenza Artificiale con funzione di copilota, ufficiale scientifico onnisciente e supporto tecnico onnipresente. Il suo compito era fronteggiare anomalie e riparare guasti che si fossero presentati durante la difficile missione, o almeno queste erano le aspettative.
“Davanti a noi è visibile l’anello di accrescimento del buco nero… non ho parole per definirne bellezza e mostruosità al contempo! Mi sia testimone questo video.” una veloce scorsa al monitor olografico prima di riprendere la dettatura “I sensori stanno già rilevando una netta accelerazione in quella direzione, direi che siamo stati agganciati… da questo momento non sarà più possibile tornare indietro!” Mattia armeggiò a più riprese con il pannello preposto alla guida della navicella “Tra settantacinque secondi a partire da ora, attivazione della super-bolla gravitazionale. SOFIA, chiedo conferma.”
“Confermo! Canalizzazione del flusso energetico alla massima efficienza. Programma attivazione della super-bolla gravitazionale operativo.” L’intelligenza artificiale a governo dell’astronave sarebbe stata la sola compagnia da quel momento.
Mattia Accorsi era una giovane speranza dell’astrofisica italiana, alcuni lo giudicavano già in profumo di Premio Nobel per l’originalità delle idee difese con tenacia e abnegazione.
Sua era la formulazione di una nuova teoria cosmologica che dava una diversa interpretazione ai cunicoli spazio-temporale meglio noti come Ponte di Einstein-Rosen.
Mattia sosteneva che queste singolarità gravitazionali non avevano necessariamente due estremità collegate da un’unica galleria per cui la materia poteva viaggiare nell’universo passandovi attraverso, ma tutto ciò che un buco nero inghiottiva andava ad alimentare quello che lui aveva definito ‘mare gravitazionale’. Una sorte di bacino in cui lo spazio-tempo raccolto diveniva pura energia gravitazionale.
Unica possibilità per potervi entrare indenni, usando un buco nero come portale d’accesso, era di erigere una protezione attorno all’oggetto da trasferire per garantirne l’annullamento dimensionale ed evitare la completa disintegrazione nell’attraversamento, processo conosciuto come spaghetizzazione della materia.
Per questa ragione Mattia aveva ideato la super-bolla gravitazionale. E questo era ciò che sperava sarebbe successo allo scadere del settantacinquesimo secondo quando avrebbe attraversato il limitare del buco nero precipitandovi inesorabilmente dentro.
Nella sala controllo missione tutti gli amici di Mattia erano raccolti per assistere a quell’evento epocale. Mai essere umano aveva osato tanto. La tensione era palpabile.
“Ragazzi ci siamo…”
Furono le ultime parole di Mattia che echeggiarono nella stanza e poi un fastidioso silenzio si sovrappose al confuso vociare degli astanti. Alcuni furono presi da un groppo alla gola udendo quello che poteva essere il suo ultimo messaggio e a fatica riuscirono a trattenere un pianto liberatorio.
Le comunicazioni sarebbero riprese una volta che fosse riuscito a superare incolume l’attraversamento del buco nero e l’ammaraggio nel pelago gravitazionale si fosse risolto positivamente… ma queste erano mere congetture suffragate da pura teoria matematica.
I secondi iniziarono a sovrapporsi ai minuti, i minuti a interminabili ore e le ore a giorni di sconcerto e scoramento. La ricezione fu attivata su più canali nel tentativo di cogliere anche il più debole segnale che desse la speranza che tutto fosse andato per il meglio, ma la realtà dei fatti era di tutt’altra opinione, decisamente meno incoraggiante.
Fu allo scoccare della ventiquattresima ora del settimo giorno che, secondo protocollo, il responsabile della sala controllo si disse impossibilitato a mantenere attivo il monitoraggio intrapreso sino a quel momento e che la missione era da considerarsi fallita.
Questo non voleva significare che Mattia venisse abbandonato al suo ineluttabile destino, la sala missione poteva essere ancora utilizzata, ma senza il supporto del personale specializzato solitamente impiegato per seguire missioni di quel tipo.
“Certo ragazzi, se volete continuare voi con la scansione dei canali di comunicazione, non c’è problema. La strumentazione è a vostra completa disposizione. Sapete come usarla. Potete venire qui in sala quando volete. In bocca al lupo!” Fu la fredda disponibilità accordata dal responsabile della sala controllo alla richiesta degli amici di Mattia di poter continuare nell’attività di supporto missione.
E così fecero.
Roberto, l’anziano del gruppo, si assunse l’onere e onore di gestire l’avvicendarsi degli amici di Mattia alla postazione di scansione.
In molti si resero disponibili a regalare parte del loro tempo libero nella speranza di poter dare un diverso epilogo alla surreale avventura intrapresa dal loro caro amico.
Il professor Roberto Pancaldi, docente di Cosmologia Quantistica e Singolarità Spazio-Tempo alla locale Università, conosceva Mattia da sempre. Con lui aveva passato notti insonni nell’osservazione del cosmo fantasticando su teorie matematiche di una purezza assoluta e con lui aveva lentamente dato vita a quella missione che avrebbe riscritto la teoria della fisica quantistica per decenni a venire; sicuramente sarebbe stata fonte di ispirazione per la narrativa fantascientifica di fine secolo, commentavano nei momenti in cui non gli andava di prendersi troppo sul serio e trovavano stimolante un bicchiere di buon vino rosso e quattro risate in compagnia.
La navicella spaziale raggiunse velocità prossime a quelle della luce sospinta da campi gravitazionali di una potenza inconcepibile. La singolarità venne attraversata e quello che Mattia incontrò oltre aveva dell’incredibile.
“SOFIA, ci siamo riusciti! Ci siamo riusciti! La super-bolla gravitazionale ci ha protetti! Abbiamo attraversato la singolarità del buco nero e tutto questo candore è… è…” Il palmo delle mani appoggiato all’ampio oblò sferico; la mimica del viso lasciava trasparire stupore, meraviglia, gioia, frenesia, curiosità, angoscia, pace, in un crescendo di stati d’animo che gli impedivano di pronunciare il nome di ciò che stava osservando, forse nel timore che il solo pronunciarlo, avrebbe potuto annichilire la realtà del sogno o il sogno della realtà in cui era approdato.
“E’ il mare gravitazionale” fu la laconica conclusione di SOFIA.
Mattia a fatica riusciva a staccare lo sguardo da ciò che stava osservando. Un’intensa luce bianca lo circondava in ogni dove. Non esisteva un sopra o un sotto, un avanti o un indietro, un prima o un dopo, ma solo un inevitabile per sempre qua. Tempo e spazio erano completamente avulsi da ciò che Mattia stava vivendo in quel momento; ne aveva coscienza, ma sentiva inspiegabilmente di non esserne più parte e, paradossalmente, ne era contento.
Nonostante il rapimento emozionale nel quale piacevolmente versava, gli fu sprone lo spirito di uomo di scienza quale era; lentamente scivolò fuori dallo stato catatonico in cui era inconsciamente precipitato. Mattia si staccò dall’oblò per ritornare a sedere alla postazione di comando della piccola navicella spaziale.
“Dobbiamo inviare subito il video del passaggio attraverso l’orizzonte degli eventi… e poi dell’ammaraggio…” non seppe trattenere una risatina isterica “HIHIHI! Ammaraggio tra le increspature del mare gravitazionali?!? Quando lo racconterò in giro nessuno mi crederà!”
“Purtroppo devo darti una brutta notizia, o se preferisci… ‘Huston, abbiamo un problema!’” Fu l’enigmatica intromissione di SOFIA.
“Cosa intendi dire? Non sono segnalate anomalie a parte…” una piccola lucetta rossa sul visore laterale che stava fastidiosamente lampeggiando “Nooooo! Abbiamo il sistema di comunicazione fuori uso!”
“Esattamente questo, non abbiamo la possibilità di inviare informazioni alla sala controllo missione, possiamo solo ricevere segnali quantistici sub-gravitazionali.”
“E quindi?”
“E quindi non ci resta che attendere, sperando che dall’altra parte dell’universo a qualcuno non venga voglia di staccare la spina. Reputo inutile sciorinare trattati di cosmologia delle singolarità spazio-tempo, dovresti essere più che avvezzo a contesti simili, o sbaglio?”
“Ahimè, no! Purtroppo, il nostro non-tempo e non-spazio ci impedisce qualunque azione!” Era l’ovvia conclusione a cui SOFIA faceva menzione.
Fu proprio in quel momento di grande sconforto che avvenne l’imponderabile. La navicella subì una lieve, quanto impercettibile, vibrazione che fece trasalire Mattia. Si sollevò di scatto dal posto di comando piroettando più volte su sé stesso nel tentativo di individuare l’origine del tremolio, ma null’altro che luce cangiante lo avvolgeva, così scelse la più facile soluzione del vaticinio della fedele compagna di viaggio.
“Cos’è stato SOFIA? L’hai rilevata pure tu l’oscillazione? Non ho le traveggole! Caspita, non avevo previsto i maremoti gravitazionali nella mia teoria!”
“Confermo, c’è stata una vibrazione. Per l’esattezza si tratta della melodia ‘Aria sulla quarta corda’ di Bach.” Una breve pausa scenica “…potrebbe essere che dalla sala controllo stiano cercando di entrare in contatto con noi. Non ho altre spiegazioni, a meno che il signor Bach non sia nei paraggi, cosa questa alquanto improbabile.”
Mattia era tra il basito e l’attonito, quando una seconda oscillazione colpì il guscio abitativo e prima che potesse proferire favella, SOFIA se ne uscì con un secondo responso.
“Era una luminosa e fredda giornata d’aprile, e gli orologi battevano tredici colpi…questo è l’inizio di…”, ma prima che SOFIA potesse concludere la frase facendo sfoggio del suo incommensurabile sapere, Mattia aggiunse “1984 di George Orwell, uno dei miei romanzi preferiti!” La nota di compiacimento da parte di SOFIA non tardò ad arrivare “Bravo Mattia, ottima memoria!”
Fu allora che arrivò la terza scossa.
“Lettera ‘z’ uguale ad ‘H0’ moltiplicato ‘D’ e tutto diviso per ‘c’… Mattia, questa la riconosci?”
“Certamente SOFIA, si tratta della Legge di Hubble, una delle leggi caposaldo nella costruzione dei modelli cosmologici. ‘H0’ è la costante di Hubble e mi pare equivalga a circa 71,9 se non erro.”
“I miei complimenti professore, ma questa era facile!” Ne seguì una sonora risata.
Le scosse continuarono ad arrivare costanti nel non-tempo.
Come tante piccole onde a cui un ignoto vento aveva sussurrato i segreti di un lontano non-dove, terminavano il loro viaggio andando a infrangersi contro la navicella che, come scoglio, rilasciava il prezioso messaggio gelosamente custodito. Musica, racconti, teorie cosmologiche, formulazioni matematiche e ancora racconti, tanti, tantissimi racconti.
A Mattia piaceva quello stato, si sentiva appagato nella sua curiosità di scienziato e di profondo amante della letteratura di ogni tempo. Fu SOFIA a infrangerne la bolla ipnotica.
“Mattia, è ora di andare! Sono riuscita a calcolare la rotta verso casa.”
La notizia ebbe su Mattia lo stesso effetto di una doccia fredda. Era talmente obnubilato da ciò che gli stava accadendo, che sempre più il desiderio di lasciare quel luogo di profonda pace lo stava abbandonando anche se, in cuor suo, una fievole fiammella di rincontrare gli amici di un tempo ancora ardeva.
“E come hai fatto?”
“Ti farò un resoconto dettagliato durante il viaggio di rientro. Ora rilassati, allacciati la cintura di sicurezza, si parte! Avanti tutta!” La piccola navicella iniziò a solcare le onde del mare gravitazionale verso un non-dove. SOFIA reggeva il timone con la maestria di un vecchio marinaio di lungo corso. A Mattia pareva quasi di vederla solcare i sette mari con il vento tra i lunghi capelli scuri intrisi di salsedine e gli spruzzi delle onde che veloci salivano da prua per accarezzarle dolcemente le rosee guance. Con quell’immagine negli occhi, Mattia si addormentò.
Il viaggio durò il tempo di un battito d’ala o forse l’afflato vitale di un intero universo. Questo non fu dato saperlo, unica certezza che SOFIA ricondusse Mattia a casa sano e salvo alla fine.
“Mattia? Mattia? Svegliati, sono Sofia! Sei tornato tra di noi! Ragazzi, Mattia si è svegliato!”
E Mattia aprì gli occhi.
Era in un letto di ospedale, mille tubi penzolavano qua e là tra lui e strane apparecchiature con fastidiosissime lucette rosse lampeggianti. Su un piccolo ripiano in fondo al letto, buttati un po’ alla rinfusa, una pila di libri. Non riusciva a leggerne i titoli, aveva la vista ancora annebbiata, ma gli parve di scorgere uno dei suoi classici preferiti ‘1984’ di George Orwell. In sottofondo ‘Aria sulla quarta corda’ di Bach.
E tutt’attorno gli amici più cari.
Roberto, Francesca, Carla, Massimo, Riccardo, Luigi, Isabella, si erano turnati giorno e notte per svariate settimane per stargli al capezzale a leggere i suoi racconti preferiti, fargli ascoltare musica e farcirlo di noiosissime formulazioni matematiche sull’origine dell’universo.
Sofia, bellissima ragazza dai capelli scuri, gli stava delicatamente accarezzando una mano. Lentamente gli si avvicinò per baciarlo sulla fronte, in quel momento una lacrima l’abbandonò per cadere sulle labbra di Mattia. Aveva il sapore del mare.
“Grazie ragazzi, missione compiuta!”
Racconta Davide Formenti: “Ho scritto In viaggio con Sofia per il concorso di narrativa dedicato a Piero Breveglieri indetto in collaborazione con il Comune di Bondeno (FE). In questo caso il tema era l’amicizia. Ovviamente mi sono proposto con un racconto SF. Questa volta mi è andata molto bene, classificandomi al primo posto per il settore adulti relativamente alla pertinenza del Comune.”
Davide Formenti
nasce a Bondeno (FE) l’8 giugno 1966. Già in giovane età ha dimostrato uno spiccato interesse per il mondo della scienza lanciando, tra l'altro, il suo primo razzo autocostruito. Nel 1992 ha conseguito la Laurea Magistrale in Ingegneria Elettronica presso l’Università di Bologna. Nel 1999 collabora con un’azienda come Responsabile della Ricerca e Sviluppo. Da sempre amante della montagna, dal 2019 pratica arrampicata sportiva sotto il vigile occhio della moglie Rosalia.