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Violet Evergarden e l’animazione giapponese

Violet Evergarden e l’animazione giapponese

È passato un bel po’ di tempo da quando la cinematografia fantastica giapponese ci pareva ingenua. Un tizio indossava un improbabile vestito da mostro e si scatenava sull’“Italia in miniatura”, oppure ci si presentavano eroi dall’animo infuocato pronti a scagliarsi contro i mostri di Vega con lo spirito di un antico samurai. Film che abbiamo amato perché ci facevano sorridere e un po’ sognare insieme.

Tuttavia oggi le cose sono ben diverse e straordinari i valori artistici che i giapponesi ci hanno portato, in particolare con la loro produzione di Anime.

Credo che uno dei motivi, e dei valori, di questa maturazione sia che, sempre di più e progressivamente, i giapponesi hanno recuperato l’eredità dei loro primi lavori d’animazione. Opere che pochi ricordano e che si rifacevano principalmente alla loro stupefacente tradizione pittorica e allo loro poesia Haiku. Il risultato è che se un regista occidentale propone l’inquadratura di una pozzanghera trafitta da rade gocce di pioggia, rischia la fuga degli spettatori dal cinema, se lo fa un animatore nipponico rimarremo senza fiato e scopriremo che i dettagli in quel film ne sono dei veri e propri protagonisti, di cui non vorremmo fare a meno.

La bellezza di un petalo di ciliegio che cade lento…

Un altro dei loro pregi è una totale libertà dai cliché e dai tabù narrativi che ci sono propri. Se guardiamo un film di 007 sappiamo già esattamente ciò che possiamo aspettarci, con un opera giapponese non è così scontato – tanto che alle volte ciò che avviene a noi pare un po’ folle. Una lezione che pian piano è arrivata anche da noi, tanto che l’imprevedibilità sembra divenuta una caratteristica anche delle nostre più moderne produzioni.

Questo fa si’ che i giapponesi siano, a mio parere, dei veri maestri nell’arte di creare mondi alternativi. Molte delle loro produzioni all’inizio ci paiono ambientate nella realtà che conosciamo, finché non avviene qualcosa che ci spiazza e che ci fa chiedere: ma dove siamo capitati? In molti casi non riusciremo a capire neanche se siamo sulla Terra o su un altro pineta, se siamo in nostro lontano futuro o in un antico passato dimenticato. In rari casi vedremo spuntare due lune, cosa che ci farà venire un concreto sospetto, ma più spesso il mistero non sarà mai risolto, procurandoci un misto di curiosità e fascinazione.

Proprio questa è la caratteristica di Violet Evergarden, uscito su Netflix proprio quest’anno e diretto da Taichi Ishidate; opera che prende spunto da una serie di romanzi scritti da Kana Akatsuki e illustrati da Akiko Takase.

Nelle prime battute del serial, infatti, ci viene data l’impressione che ci troviamo in Europa subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Le ambientazioni e le divise dei militari in congedo che tornano a casa non ci lasciano dubbi. Presto però quest’illusione si sgretola.

Tanto per cominciare la guerra appena terminata è avvenuta tra due stati a noi ignoti; il Leidenschaftlich, situato nel Sud del continente di Telesis, e l’Impero Gardarik, che sta a nord.

Inoltre, quando incontriamo la protagonista, scopriamo che essa ha perso in guerra l’uso delle braccia e che queste sono state sostituite con sofisticati arti meccanici che non sembrano aver alcun rapporto con la tecnologia complessiva di quel mondo – mistero che non verrà mai svelato.

Violet è una strana creatura anche per altri motivi.

Durante lo sforzo bellico, i militari l’hanno trovata piccolissima e orfana e, invece di consegnarla ad amorevoli tutori, l’hanno trasformata in una macchina da guerra, letale e priva di sentimenti. Un soldato in grado di sgominare da solo interi battaglioni.

Finita la guerra Violet non sa che fare di se stessa, come ogni reduce in tempo di pace si trova di fronte all’inutilità della sue competenze più spiccate. Tuttavia deve risolvere un mistero. Il suo capitano e mentore, prima di morire, le ha detto una frase di cui lei non comprende il significato: “Violet, io ti amo.”

Dunque, per comprendere questo arcano e riscoprire i sentimenti che forse in lei sono sopiti, decide di fare l’ultima cosa che una come lei sembrerebbe in grado di fare e cerca impiego nel Corpo delle bambole di scrittura automatica.

 Ecco un uovo elemento che non ha eguali nel nostro mondo. Questo nome così poco femminista, nasconde un nobile mestiere, quello di saper scrivere lettere toccanti e profonde per conto di clienti che non sono in grado di farlo. Un’attività perduta che avrà incontrato anche chi ha visto il recente film di fantascienza Her (un’opera interessante sulla quale varrebbe la pena soffermarsi).

Le bambole dello staff sono tutte carucce, ovviamente, e una in particolare, la più anziana è un mix di forme procaci e vestiti inspiegabilmente succinti da risultare veramente devastante per un adolescente in piena tempesta ormonale – si prevedono notti insonni.

Mentre seguiamo la crescita emotiva e professionale di Violet, scopriamo che essa non è poi così negata per questo mestiere. Anzi, il suo modo schietto e particolare di vedere le cose diviene risolutore delle complicate vicende in cui sono coinvolti i suoi clienti. Una sua lettera può davvero cambiare le cose.

Così ci muoviamo nel singolare mondo di Violet, attraversando storie toccanti e commuoventi al punto che difficilmente i nostri occhi saranno asciutti durante i titoli di coda – anche per colpa della bellissima colonna sonora. E già mi pare di sentire la voce del cinico di turno che dice: Ehi, ma non sarà una roba melensa e piagnucolosa? Perché mai dovrei guardarla?

E qui sta l’errore. È proprio per questo che dovreste guardarla.

Noi, amici miei, viviamo in un mondo che ci travolge in continuazione di orribili notizie. Sediamo davanti alla TV e vediamo scorrere, guerre, assassini, catastrofi e soprusi di ogni genere… senza battere ciglio. Perché, per difenderci, abbiamo dovuto indossare una corazza spessa due dita. Tanto alta che alle volte rimaniamo inerti anche quando il male e il dolore lo incontriamo nella vita reale. E questo, alla lunga ci fa male.

Allora, ogni tanto, vale la pena di guardare storie così, se esse ci permettono di riscoprire l’empatia e la commozione. È sano e liberatorio, e ci rende più umani.

Quindi guardate queste storie e alla fine, strizzando il fazzoletto, potrete dire con trasporto: Grazie Violet.

Giorgio Sangiorgi
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Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.

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