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Soul

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Come promesso Disney+ ci ha portato la sua strenna di Natale presentando il film Soul, creato e diretto da Pete Docte, un veterano della Pixar che ha alle spalle molte pietre miliari sia come sceneggiatore che come regista.

Niente sale cinematografiche, potenzialmente pandemiche, per questo lavoro e non è un bene perché alcuni passaggi del film avrebbero meritato il grande schermo e tutta la potenza che esso sa esprimere.

Tuttavia, qualcosa in questo film non funziona del tutto.

Per spiegarmi meglio… Il precedente di questo autore, Inside out, era stato molto più efficace. Ma forse una spiegazione c’è.

In quello ci si muoveva nell’ambito della psicologia, un terreno un po’ scivoloso ma in cui ci sono molte persone che sono convinte di sapere tutto ciò che c’è da sapere. Un campo generalmente riconosciuto, nel quale le diatribe si lasciano agli addetti ai lavori.

In Soul, anche se nelle dichiarazioni dell’autore non era quello il tema centrale del film, ci muoviamo nel terreno della spiritualità; un campo in cui i più saggi in genere dicono di non sapere quasi nulla di ciò che si dovrebbe sapere.

Una materia in cui tutti hanno qualcosa da ridire, che crea polemiche se non guerre sante. Di sicuro un terreno minato in cui si rischia per una disattenzione di perdere per strada larghe fette di pubblico potenziale.

Negli ultimi decenni, il cinema americano ha realizzato decine di film che mostrano un pochino della vita dopo la morte.

Il primo che mi viene in mente, forse il capostipite, è: L’inafferrabile signor Jordan di Alexander Hall, del 1941 e trasposizione di un testo teatrale.

È forse per la prima volta in questo film che si presenta l’Al di là un po’ come una sorta di ufficio ministeriale, in cui un impiegato può anche commettere un errore.

Il protagonista è un pugile che viene estratto dal corpo un po’ troppo presto e quindi, per fare ammenda dell’errore, viene rispedito nel corpo di un collega appena spirato.

Si ricorderanno di questo film moti anni dopo realizzando un famoso remake: Il paradiso può attendere, con Warren Betty.

E da lì vedremo molte variazioni sul tema, per arrivare, per esempio, all’odierno serial The good place, in cui un diavolo dell’Inferno decide di sperimentare un nuovo e raffinato modo per torturare le anime a lui affidate, con risultati decisamente inaspettati.

E il problema di Soul, diviene proprio questo, troppi sono i dejà vu e i luoghi comuni cinematografici che qui entrano in campo.

Si tentano, a onor del vero, alcuni nuove strade, ma senza osare troppo e per tornare subito nel campo del già visto; dalla scala verso il fulgore bianco, al bizzarro spirito dei funzionari divini.

Per non parlare dello scambio dei corpi, che ormai abbiamo visto fino alla nausea.

Più riusciti e intensi sono invece i passaggi in cui il protagonista si ritrova a fare i conti con le piccole grandi commozioni e meraviglie della vita, forse perché questi momenti sono molto più inerenti alla vera tematica che l’autore voleva trattare, e cioè la pura meraviglia di vivere.

E in quanto alla meraviglia, tutti gli spettatori che sono anche musicisti non avranno potuto fare a meno di ammirare che in questo film si suona davvero.

Soul: la band

Il protagonista suona realmente il proprio pianoforte, senza sbagliare una nota, e così succede anche per gli altri musicisti presenti, fino ad arrivare a un intero concerto di jazz, in una sequenza che solo per questo avrebbe diritto di entrare tra i capolavori dell’animazione.

Ma c’è un altro motivo per cui volevo parlare di questo film, come un po’ dei suoi predecessori.

Mano a mano che la cultura occidentale si svincola dagli influssi del cristianesimo, in tutte le sue forme, in questi film sembra apparire, pian piano una sorta di nuova spiritualità laica, certamente soggetta a vari influssi antichi e più recenti, ma nella quale ognuno sembrerebbe aver il diritto di avere la propria opinione senza che nessun’altro la possa contestare.

Forse sta nascendo un nuovo mondo in cui le persone non credono più a nulla in modo cieco, ma neanche in un mondo vuoto e senza scopo.

 

© Giorgio Sangiorgi 2020

Giorgio Sangiorgi
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Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.

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