“SOLARIS” DI ANDREJ TARKOVSKIJ (1972)
[Snaut/Jüri Järvet]
Lo psicologo Kris Kelvin è incaricato di raggiungere una stazione spaziale in orbita attorno Solaris, un pianeta interamente ricoperto da un oceano di magma che si sospetta essere senziente. Deve far luce su una serie di strani fenomeni verificatisi sulla stazione, forse generati dallo stesso pianeta. Giunto a destinazione, la trova in stato di abbandono.
Il capo dell’equipe della base e amico personale di Kelvin, il Dottor Gibarian, si è suicidato e gli unici altri due scienziati si comportano in modo strano. Il Dottor Snaut, visibilmente scosso, parla per enigmi mentre il Dottor Sartorius passa le giornate barricato nei propri alloggi da dove giungono strani rumori. Ben presto Kelvin scopre che l’oceano, sottoposto a indagine con delle radiazioni, ha reagito materializzando i ricordi e i desideri dell’inconscio di ognuno degli occupanti. Anche l’ultimo arrivato riceve una visita, quella della defunta moglie Hari, del cui suicidio Kelvin si sente responsabile. Lo psicologo si libera della presenza, scaraventandola nello spazio a bordo di un razzo, ma la donna ricompare il giorno dopo.
Gli ospiti, come spiega Snaut a un incredulo Kelvin, compaiono di notte durante il sonno, non sono composti da atomi ma da neutrini e sono, in pratica, immortali. Il motivo della loro comparsa è probabilmente il tentativo di comunicare da parte di una coscienza completamente aliena all’uomo.
Col passar del tempo, Hari assume caratteristiche sempre più umane e tra lei e Kelvin sembra rinascere del sentimento. L’atmosfera sulla stazione diventa però opprimente; Hari si sente da impedimento a Kelvin, che per stare con lei non vuole più tornare sulla Terra in quanto, probabilmente, gli ospiti non possono allontanarsi dal pianeta che gli ha creati. La donna, durante un periodo in cui Kelvin soffre di febbre delirante, decide così di sottoporsi all’annichilatore costruito da Sartorius come soluzione finale e definitiva alle manifestazioni, macchina che gli scienziati avevano deciso di non usare perché avrebbe completamente distrutto il magma solariano.
Al risveglio, consapevole che la Hari della stazione non è la vera moglie ma l’incarnazione del ricordo che lui ha di essa, Kelvin accetta di sottoporsi a un esperimento approntato dagli altri scienziati per far cessare il fenomeno in maniera meno cruenta. I tre inviano verso Solaris un fascio di pensieri registrati tramite encefalogramma durante la veglia, giacché l’oceano legge le menti degli uomini solo durante il sonno.
Caduto in uno stato d’incoscienza, Kelvin si risveglia scoprendo che Snaut e Sartorius sono spariti e che sul pianeta sono comparse delle strisce di terra. Sceso su una di esse, Kelvin si ritrova nella sua rimpianta dacia paterna che aveva lasciato all’inizio del film, prima di partire per Solaris.
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Solaris è un fulgido esempio di fantascienza filosofica con una forte componente metafisica ma anche un capolavoro tout court che travalica il genere piazzandosi come uno dei migliori film della storia della settima arte.
Tratto dal romanzo omonimo dello scrittore polacco Stanislaw Lem, il film fu lanciato in Italia con lo strillo di “risposta sovietica al capolavoro di Kubrick 2001: odissea nello spazio”. Accostamento fuorviante anche se non privo di qualche fondamento, almeno a livello superficiale.
Intanto, si tratta di due capolavori, e questo è fuor di dubbio. Come 2001, anche Solaris presenta l’incontro con un’intelligenza aliena, questa volta rappresentata dal pianeta-oceano senziente, e l’impossibilità dell’uomo di capirne gli scopi. Nel finale, la striscia di terra galleggiante, con tanto di dacia approntata per il protagonista, ricorda per funzione l’analoga stanza in stile reggenza del film di Kubrick: cioè un ambiente famigliare ove accogliere un essere umano. Più delle similitudini, tra i due film risaltano, però, le divergenze; da un certo punto di vista Solaris e 2001 si pongono in antitesi. Kubrick dedica molto tempo per mostrare le astronavi e gli spostamenti a bordo di esse dei protagonisti, Andrej Tarkovskij colloca invece quasi tutta l’intera vicenda su una stazione orbitate attorno un pianeta alieno (quasi una conferma del diverso approccio allo spazio delle due superpotenze dopo lo sbarco sulla Luna, con shuttle spaziali gli americani, con stazioni orbitali i russi). Il viaggio di Kelvin dalla Terra alla stazione spaziale è invece semplicemente accennato con la telecamera fissa sul volto del protagonista o la soggettiva dello stesso all’avvicinarsi della destinazione. Gli astronauti di 2001 sono professionali e freddi, impiegano il tempo ad allenarsi e a svolgere le loro funzioni, quasi non parlano fra loro e sembrano non sentire il distacco dalla Terra e dai famigliari. La recitazione degli attori che gli interpretano è neutra, indifferente, straniante. Quelli di Solaris sono invece estremamente emotivi e attaccati alla madre Terra. Portano in tasca manciate di terra del loro paese, hanno sulla stazione un museo della cultura umana (famosa la scena col quadro di Pieter Bruegel Cacciatori nella neve). A distanza siderale dalla propria casa, ritrovano letteralmente e materialmente, grazie all’intelligenza aliena che sonda le loro menti, i ricordi del loro passato.
In 2001 l’elemento fantascientifico era prorompente e messo in bella mostra, in Solaris è quasi pretestuoso e la pellicola è quasi completamente priva di effetti speciali. Nel libro Scolpire il tempo-Riflessioni sul cinema (1988) dello stesso regista, Andrej Tarkovskij scrive a proposito:
“(…) ciò che mi interessava meno di tutto era l’elemento fantascientifico. Purtroppo, in Solaris c’erano ancora troppi accessori fantascientifici che distraevano dal tema principale. I razzi, le stazioni spaziali: le richiedeva il romanzo di Lem, è stato interessante fare tutto ciò, ma adesso mi pare che l’idea del film si sarebbe cristallizzata in maniera più precisa ed evidente se si fosse riusciti ad evitare tutto questo. Ritengo che la realtà a cui l’artista ricorre per esprimere la propria visione del mondo debba essere, scusate la tautologia, reale, ossia comprensibile e nota all’uomo fin dall’infanzia. E quanto di più reale in questo senso sarà il film, tanto più convincente risulterà l’autore”
L’appartenenza a un genere ben riconoscibile come la fantascienza, secondo Tarkovskij, inquina quindi il messaggio autoriale. Una lezione che il regista metterà in pratica nella sua successiva incursione nella fantascienza, quando qualche anno più tardi dirigerà Stalker, film del tutto privo di qualsiasi gadget fanta-tecnologico, dal ritmo lento e ipnotico, fuori da logiche narrative convenzionali, inframmezzato da lunghi discorsi filosofici tra i protagonisti nello scenario di un paesaggio desolato.
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Il film di Tarkovskij è elegiaco, mesto, venato di tristezza e nostalgia, con una narrazione lentissima. Una riflessione oltre che sui ricordi e sui rimpianti, sul grande dilemma della responsabilità morale e sociale della scienza nei confronti dell’umanità e sui limiti della conoscenza, così come esplicitato dalla frase citata sotto il titolo pronunciata dall’ex-astronauta Berton nel prologo nella dacia, alla quale Kelvin risponde sprezzante: “È l’uomo a rendere immorale la scienza, ricordi Hiroshima?”.
I tre protagonisti rappresentano diverse tipologie di scienziati e, soprattutto, di uomini: Sartorius è il razionalista che, non potendolo comprendere e controllare, vorrebbe distruggere l’oceano di Solaris; Snaut è la rappresentazione del buon senso che accetta la realtà dei fatti:
“La scienza? Sciocchezze. In questa situazione la mediocrità e il genio sono ugualmente inutili! Noi non vogliamo affatto conquistare il cosmo. Noi vogliamo allargare la terra alle sue dimensioni. Non abbiamo bisogno di altri mondi: abbiamo bisogno di uno specchio. Ci affanniamo per ottenere un contatto e non lo troveranno mai. Ci troviamo nella sciocca posizione di chi anela una meta di cui ha paura e di cui non ha bisogno. L’uomo ha bisogno solo dell’uomo!”
Così dice a un certo punto; Kelvin, con i suoi dubbi, è infine quello più votato all’introspezione e con una concezione antimeccanicistica dell’universo:
“Ma perché andiamo a frugare nell’universo quando non sappiamo niente di noi stessi?”
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Solaris arrivò nei cinema italiani in una versione massacrata da tagli e riscritture e con doppiaggio indegno. Fu inoltre privato dei quaranta minuti iniziali ambientati sulla Terra nella dacia del padre del protagonista, il tutto a discapito della comprensione dei veri significati dell’opera. Il copione fu riscritto da Dacia Maraini e il doppiaggio fece uso di voci dal forte accento dialettale. Pier Paolo Pasolini prestò la voce al padre di Kelvin con accento friulano, mentre quest’ultimo parlava in sardo. Lo stesso regista, visionando il film alla 33ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 1972, rimase profondamente indignato dallo scempio, tanto da indurlo a lasciare il festival e l’Italia.
Solo dal 2002 è disponibile in Italia, in DVD (e in seguito anche in Blu-ray), l’edizione integrale restaurata con l’audio in russo sottotitolato.
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Il romanzo omonimo da cui il film è tratto, pubblicato nel 1961 ma in Italia arrivato solo nel 1973, dopo l’uscita del film, è forse uno dei massimi esempi di letteratura fantascientifica. Lo scrittore polacco Stanislaw Lem, autore del romanzo, è uno degli autori europei di fantascienza più importanti, prolifici e letti al mondo. Pur nel rispetto della trama, il film rivela il diverso approccio dei due artisti agli argomenti trattati. Il russo Tarkovskij, rispetto Lem, è meno pessimista e concede al protagonista una speranza di contatto con Solaris (ma non della moglie, perduta per sempre) nel finale sul pianeta che ricostruisce per lui un simulacro del suo rimpianto più autentico: la fattoria paterna.
In precedenza, il romanzo era già stato ridotto per il piccolo schermo in una produzione della televisione russa rimasta inedita in Italia. Soljaris andò in onda in due puntate nel 1968, stesso anno di 2001: odissea nello spazio, per la regia di Boris Nirenburg.
Girato completamente in interni, con la fotografia in bianco e nero, è una versione molto fedele al romanzo di Lem. Nonostante la narrazione proceda molto lentamente e sia fitta di dialoghi tra i protagonisti, la durata complessiva non supera quella dell’opera di Tarkovskij (143’ contro i 167’ di quest’ultimo), priva com’è di tutti gli inserti lirici e filosofici tipici del regista.
Del 2003 è invece il remake americano del regista Steven Soderbergh (nonostante il regista abbia definito il film come un nuovo adattamento del romanzo, senza intenzione di realizzare un remake del film sovietico), film che lo stesso Lem criticò perché si allontanava non poco dalle sue intenzioni originali, concentrandosi quasi esclusivamente sulla relazione tra due personaggi principali, e lasciando sullo sfondo l’oceano senziente e il tema del contatto con un’intelligenza aliena.
Solaris (Soljaris, URSS 1972, 167’, C)
Regia di Andrej Arsen’evič Tarkovskij
Sceneggiatura di Andrej Arsen’evič Tarkovskij e Fridrich Gorenštejn dal romanzo di Stanisław Lem Solaris (1961).
Con Donatas Banionis (Kris Kelvin), Natal’ja Bondarčuk (Hari), Jüri Järvet (Dottor Snaut), Anatolij Solonicyn (Dottor Sartorius), Sos Sarkisjan (Dottor Gibarian), Vladislav Dvoržeckij (Henri Berton), Nikolaj Grin’ko (Padre di Kris), Ol’ga Barnet (Madre di Kris).
Roberto Azzara
(Caltagirone, 1970). Grande appassionato di cinema fantastico, all'età di sette anni vide in un semivuoto cinema di paese il capolavoro di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”. Seme che è da poco germogliato con la pubblicazione del saggio “La fantascienza cinematografia-La seconda età dell’oro”, suo esordio editoriale. Vive e lavora a Pavia dove, tra le altre cose, gestisce il gruppo Facebook “La biblioteca del cinefilo”, dedicato alle pubblicazioni, cartacee e digitali, che parlano di cinema.
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