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SE NON TI AVESSI CONOSCIUTO…

SE NON TI AVESSI CONOSCIUTO…

…ma forse è solo una questione di tempo

Il mio primo istinto sarebbe stato liquidare Se non ti avessi conosciuto (Si no t’hagués conegut), la serie TV catalana ideata da Sergi Belbel e diretta da Kiko Ruiz Claverol, come un prodotto di fantascienza di serie B, una sorta di telenovela con tinteggiature fantastiche. Ma siccome dopo averla vista non potevo smettere di ripensarci, forse qualcosa deve pur esserci sulla quale vale la pena di riflettere.

Eduard è un tipo come molti, sulle prime neanche tanto simpatico. Preso dal lavoro trascura la famiglia e quando una terribile tragedia lo priva di essa, lui si sente colpevole. Salvato in extremis dal suicidio da una strana donna, questa gli chiede di fargli da cavia per sperimentare una sua invenzione. Si tratta di un portale per spostarsi tra gli universi paralleli e qui abbiamo l’elemento fantascientifico più critico, perché al malcapitato basta, prima di effettuare il salto, concentrarsi sulle condizioni dell’universo parallelo che vorrebbe visitare per arrivarci, o giù di lì. Risibile.

La prima scoperta che facciamo, però, è che se dai a un uomo la possibilità di esplorare l’universo, lui continuerà a girare nell’orto di casa. Infatti Eduard, invece di andare in un universo dove atterrano finalmente gli alieni o dove sono stati risolti tutti i problemi dell’umanità, magari per riportarsi a casa qualche buona idea, si limita a perlustrare quelli più simili al suo, ove, in un complesso gioco di sliding doors, esplora tutte le possibilità di cambiare la propria vita variandone una delle costanti. Come sarebbe stato se io invece di fare questo avessi fatto quello?

La cosa ha un che di folle – ma gli spagnoli non lo sono un pochino tutti? – perché viaggiare negli universi paralleli non è come viaggiare nel tempo. Non è che se cambi una cosa del passato poi il tuo futuro si ristruttura. Se lo fai in un universo parallelo vai solo a incasinare la vita di un sacco di gente che non c’entra per nulla a iniziare dal tuo alter ego di quell’universo.

Sono infatti i poveri Eduard dei vari universi visitati a farne più di tutti le spese, anche perché il protagonista non apprezza più se stesso e non si fa scrupoli di maltrattarli se non, addirittura, di prenderli a pugni.

Tuttavia, pian piano, comprende alcune realtà della vita che fino a quel momento gli erano totalmente sfuggite, fino a cominciare ad avvicinarsi a scoprire che gli infiniti universi non si limitano a riprodurre con piccole variazioni la sua vita così come lui l’ha conosciuta, ma possono anche prevedere mutamenti assolutamente radicali che richiedono un cambiamento di prospettiva. Come, ad esempio, quello di uscire da un concetto di famiglia vecchio stampo per abbracciarne uno in cui il ruolo dell’uomo può essere completamente diverso.

Alla fin fine – benché anche se vorresti spesso prendere a pugni Eduard (soprattutto quando prova a spiegare a qualcuno ciò che gli sta succedendo, tanto confusamente da candidarsi al manicomio) – Si no t’hagués conegut è un’opera commovente, spesso emozionante, ben recitata; con una sceneggiatura ricca e complessa che non si limita ai viaggi nel tempo parallelo, per esplorare la vita dei protagonisti, ma li miscela sapientemente con flashback rivelatori.

Perciò, se vi dovessi dire di non guardarla, non vi farei un favore, anche perché è la dimostrazione che non ci vogliono budget stratosferici per fare un buon film di fantascienza. La cosa è molto importante per la cinematografia europea e in particolare per l’Italia che a tutt’oggi si spinge nel mondo del fantastico ancora timidamente, in modo un po’ impacciato e sempre con un grosso senso di colpa verso il neorealismo.

Ora restano due domande a cui rispondere. La prima è: ci sarà una seconda stagione della serie? E se sì, riuscirà il micidiale Eduard a destabilizzare l’intero equilibrio delle strutture universali? Probabilmente sì.

Sempre su quest’onda – ma anche seguendo l’esempio di Giovanni Mongini nel ricercare film minori che chissà Chi li ha visti – vorrei ripescare una gradevole operina inglese del 2003: Questione di tempo (About time),  di Richard Curtis.

Fu ovviamente Zemeckis a iniziare l’operazione nostalgia temporale con Ritorno al Futuro; i viaggi nel tempo, cioè, usati come spunto per meditazioni sul proprio passato, sulla possibilità di ripercorrere la propria vita riflettendo sui nostri errori e cercando in qualche modo di emendarli, magari anche soltanto imparando a leggere il passato in modo diverso.

A ruota venne quel piccolo capolavoro di Francis Ford Coppola che, comprendendo questo potenziale, realizzò Peggy Sue si è sposata (Peggy Sue Got Married), film spesso struggente anche se a volte appesantito da una certa irruenza recitativa di quegli anni.

Questione di tempo afferra il testimone di queste due opere e lo porta avanti egregiamente. Non solo è quasi privo di incongruenze temporali – cosa che ci si poteva aspettare da una cinematografia cresciuta a pane e Dottor Who – ma riflette sulla lezione che ci è offerta dai viaggi nel tempo in un modo che quasi ne decreta l’epigrafe tombale.

Questa volta siamo di fronte a una vera stirpe di viaggiatori nel tempo che, tuttavia, usano questo potere in modo molto dimesso e garbato. Con la maggiore età, Tim viene informato dal padre che tutti i figli maschi della famiglia possono ritornare in un qualsiasi punto della propria precedente esperienza e modificare le cose. Inizialmente il ragazzo usa questo potere per risolvere il problema di tutti i suoi coetanei, cioè trovare una ragazza, ma mano a mano che la sua vita procede, questo serve soprattutto a rimediare a piccoli e grandi disastri quotidiani. Alla fine, tuttavia, giunge alla conclusione a cui in modi diversi erano giunti tutti i suoi avi: non ne vale la pena. E smette di viaggiare nel tempo.

Forse non casualmente, nello stesso anno compare nelle librerie il romanzo La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo di Audrey Niffenegger, che poi darà origine a un film che non tutti hanno apprezzato.

Ora pare anche che Steven Moffat, rimasto orfano del Dottor Who, voglia rimpiazzarlo con un serial ispirato a questa storia. Ma, con la lezione appresa da Tim, ci verrebbe voglia di dirgli: “Steven, non farlo. Ormai dovresti saperlo che tornare indietro nel tempo è… tempo sprecato.”

se non ti avessi conosciuto

Giorgio Sangiorgi
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Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.

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