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La Corsa allo Spazio di Michener

La Corsa allo Spazio di Michener

“More fece rilevare che, di tutti gli ingegneri da lui conosciuti,
in pratica nessuno aveva mai letto libri di fantascienza,
mentre quasi tutti gli scienziati li leggevano.
‘Come mai?’ domandò ai due visitatori.
‘Secondo me, voi ingegneri vi siete sempre preoccupati dell’aspetto
realizzativo’ suggerì Pope. ‘Gli scienziati, invece, si sono sempre
spinti molto più avanti, verso le mete successive.”

James Michener, in Space

 

Quando incontro qualche romanzo di James Albert Michener lo prendo a scatola chiusa perché so che, qualsiasi sia l’argomento di cui abbia deciso di scrivere, ne uscirò con un quadro completo, cioè avrò i punti cardinali per muovermi nello spazio e una iperbussola per orientarmi nel tempo.
Ma non solo per questo. Se anche l’argomento non mi ha mai interessato, le sue storie accendono una curiosità che, terminata la lettura, si rifletterà a lungo termine spostando l’attenzione su dettagli che prima non avrei colto, oppure creando agganci con altre discipline.

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J.A. Michener: Space (Random House, 1982). Prima edizione statunitense

Michener è stato un prolifico scrittore di romanzi storici, però scordiamoci gli intrighi politici o i monaci misteriosi del romanzo italiano, o gli affreschi olandesi della statunitense Tracy Chevalier, o ancora la Londra vittoriana di Michel Faber; perché Michener scrive vere e proprie epopee dove il lettore insegue l’alternarsi di civiltà e generazioni di protagonisti coinvolti in sconvolgimenti sociali, guerre e vittorie, punti oscuri e gradini evolutivi.

Le sue sono saghe, condotte sulla base di uno studio documentativo chirurgico, ineccepibile e approfondito, dove decidono personaggi realmente esistiti e scorrono dinamiche di fatti comprovati, tenuti insieme da uno spunto di fantasia affinché la vicenda non cada nel trattato di storia. Tutto questo senza perdere credibilità storica, pur riuscendo a mantenere la suspence narrativa. Come fa? Racconta la gente, chi ha vissuto quel tempo di cui sta scrivendo, ne individua le versioni non ufficiali, le passioni, le aspirazioni belle e quelle brutte.

Che avesse scritto anche una saga sulla corsa allo spazio mi era sfuggito. Nel 1982 ha pubblicato Space (Random House), tradotto dall’editore Bompiani nel 1984 mantenendo il titolo originale.

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Nativo dello stato di Pennsylvania, Usa, James Albert Michener (1907-1997) viene allevato dalla madre adottiva quacchera Mabel Michener. Consegue la laurea con lode in Storia inglese nel 1929. Grazie a una borsa di studio, studia e viaggia in Europa.
Sebbene come quacchero possa avvalersi dell’obiezione di coscienza, allo scoppiare della Seconda guerra mondiale si arruola nella Marina come storico navale e trascorre la massima parte del suo servizio nel Sud Pacifico, dove incomincerà a scrivere.

Negli anni Sessanta, pur avendo militato in passato nel Partito Repubblicano, è presidente della commissione elettorale di John Fitzgerald Kennedy. In seguito, partecipa alle elezioni nazionali come candidato democratico, ma perde e torna a scrivere.

Si spegne a novant’anni decidendo di interrompere la dialisi a cui era sottoposto da quattro anni.

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Michener: Space (Bompiani, 1984). Prima edizione italiana

Space è un romanzo fiume, tipico della tradizione letteraria di Michener, che nell’edizione italiana conta poco più di 700 pagine. Nel 1985 il romanzo fu trasposto in una miniserie televisiva dal titolo James A. Michener’s Space, con il celeberrimo attore James Gardner. Fu data dalla CBS in cinque parti di 13 ore.

Il romanzo si apre alla fine della Seconda guerra mondiale con un lungo capitolo in cui vengono introdotti gli antefatti che porteranno quattro uomini a trovarsi, per motivi diversi, a collaborare al grande progetto spaziale. Per trent’anni l’Autore ne inseguirà le vicende.
In apertura, dalla guerra nel Pacifico (dove Michener svolse servizio attivo dando prova, quindi, di conoscere molto bene geografia e dinamiche storiche), ci troviamo catapultati in Germania, a Peenemünde, dove gli scienziati addetti allo sviluppo del progetto missilistico si trovano pressati dal regime nazista perché sospettati di non occuparsi veramente della guerra in corso, ma piuttosto di sognare una pace futura limitandosi a fare ricerca pura.

La guerra sta per finire e si innesta un nuovo personaggio proveniente dagli Stati Uniti che ha l’incarico, coperto da segreto militare, di salvare gli ingegneri missilistici tedeschi.
Parte della comunità scientifica tedesca verrà accolta negli Stati Uniti, parte in Russia.

La prospettiva dell’Autore è sempre quella statunitense, perciò nel romanzo sono raccontate le vicende degli scienziati accolti in USA. Nulla viene menzionato dell’altro versante, che invece si ricava di riflesso seguendo la narrazione degli eventi e dei problemi legati alla corsa spaziale, quest’ultima riconosciuta come uno degli aspetti della guerra fredda.

Lo si coglie bene, per esempio, dai primati conseguiti nel corso della Prima era spaziale (quella raccontata nel romanzo) che va all’incirca dal 1957 al 1975.
Nell’agosto 1957, sono i russi a lanciare per primi il missile balistico intercontinentale R-7 Semyorka; subito dopo, a settembre, lanciano il primo satellite artificiale (terrestre) Sputnik 1 e in novembre lo Sputnik 2, passato alla storia per aver trasportato la cagnetta Layka. Saltiamo alcuni gradini fatidici e vediamo che ancora, nel settembre del 1959, sono ancora i russi a effettuare l’atterraggio di una sonda sulla Luna per la prima volta (Luna 2).
È evidente lo stupore degli statunitensi, impreparati di fronte ai successi del blocco avversario. D’altronde, per contrasti politici interni e una miopia generale del governo statunitense, viene riconosciuto come gli sforzi scientifici della comunità tedesca siano stati posti in secondo piano, oppure mal finanziati.

Ci vuole dunque una grande idea che propagandi la superiorità statunitense: superare i primati russi può farlo solo un allunaggio di umani. Cosa a cui i russi, invece, non sembrano essere interessati, più attenti a risultati tangibili che non a eventi d’effetto.

Il romanzo illustra vicende pubbliche e private di personaggi immaginari legati al mondo scientifico, astronautico e politico, posti accanto a personaggi realmente esistiti, come l’ingegnere aerospaziale tedesco Wernher von Braun e il politico statunitense Lyndon Baines Johnson che fu presidente degli Stati Uniti dal 1963 al 1969.

È un’opera che piacerà sia ai cultori di astronautica per il taglio documentativo (Michener ha infatti diffuse competenze in materia missilistica e spaziale, acquisite dal 1979 al 1983, quando è membro del Consiglio consultivo dell’Amministrazione nazionale per l’aeronautica e lo spazio), sia ai cultori fantascientisti per la deriva fantastica finale in cui Michener narra le vicende di una missione Apollo 18 che non si verificò mai, dove avviene un allunaggio sul lato oscuro della Luna. Il problema fondamentale da superare per questo tipo di allunaggio è rimanere in contatto con la Nasa dopo l’atterraggio; non anticipo la soluzione che l’Autore troverà perché ciò avvenga.

Infine, ho raccolto alcune curiosità fantascientifiche nel corso della lettura, che dimostrano come, in qualche modo, Michener abbia letto della fantascienza e quale.

Nell’edizione Bompiani che ho avuto per le mani (“I Grandi Tascabili”, maggio 1998), un primo incontro fantascientifico-letterario avviene quando uno dei protagonisti, in seguito a un crollo fisico per il quale è ricoverato in ospedale, riceve da un amico in visita alcuni libri, e sono tutti libri di fantascienza.
Un ampio dialogo dei personaggi è dedicato al sorprendente e famoso racconto Servire l’uomo di Damon Knight (To Serve Man, 1950). Gli altri autori che l’amico sceglie per l’ammalato in forma di raccolte di racconti sono Isaac Asimov, Ray Bradbury, Fritz Leiber, Robert A. Heinlein, Arthur C. Clarke, Stanley G. Weinbaum. Attraverso le impressioni dei personaggi si intuiscono le probabili simpatie di Michener, e il suo pensiero riguardo a questa letteratura (da pagina 433 a 438).

Si parla ancora di fantascienza a pagina 502, anzi, sarebbe meglio dire di protofantascienza anche se rivestita di scientificità, a proposito di Percival Lowell, l’astronomo statunitense che mal tradusse i canali di Schiaparelli dando loro una valenza di vie d’acqua artificiali. E che scrisse, cito Michener, Marte quale dimora della vita.
Sull’argomento marziano vengono citati anche Jules Verne ed Edgar Rice Burroughs.

Bradbury viene menzionato a pagina 622 quando la NASA, in occasione della missione Viking 1 e 2 su Marte, ricorrendo il duecentesimo anniversario della nazione, indice un convegno a cui partecipano illustri civili, tra cui appunto Bradbury, oltre all’esploratore e oceanografo Jacques Costeau e il fisico Philip Morrison, e altri ancora.

Ancora citazioni fantascientifiche ci sono da pagina 684 a 688, quando Michener narra di una ricerca fatta dall’astronauta John Pope, personaggio fittizio, e pubblicata in un saggio intitolato “Disorientamento circadiano”, dove l’autore si domanda “che cosa causa il disorientamento circadiano quando attraversiamo i fusi orari? E che cosa si può fare al riguardo?”, oltre a considerare le problematiche connesse al viaggio umano nello spazio.
Leggendo i capitoli finali del saggio (Viaggio fino a Marte; Viaggio fino a Proxima Centauri; Viaggio fuori dalla galassia), Mott, uno dei protagonisti stupisce e, sulla base dei dati forniti dall’astronauta, pensa che dentro quel saggio ci sia il meglio di Jules Verne, di Arthur C. Clarke, di Robert Heinlein.
Ed è ancora attraverso il personaggio di Mott che si parla di una richiesta fattagli dai suoi ex superiori della NASA circa un nuovo progetto a breve termine in cui uomini autorevoli riuniti in un gran consiglio esprimano le loro competenze circa la possibilità di vita altrove nell’universo. Gli danno il compito di raccogliere “soltanto gli uomini migliori. Diciannove: uomini come Sagan, Asimov, Cameron di Harvard (…), Ray Bradbury (…)”. Viene anche citato l’astrofisico Riccardo Giacconi.

Torniamo un attimo indietro, a pagina 637, e qui sono costretta a fare un’anteprima al lettore che non ha ancora letto il libro.
Durante la missione Apollo 18 avviene l’incidente in cui l’astronauta Clagget perde la vita. Il collega che si trovava con lui in missione, Pope, tempo dopo si trova a fare da relatore a un corso universitario ed è reticente a riferire le ultime parole del collega Clagget, quando una studentessa gli chiede di svelarle.
Solo il giorno dopo, alla successiva lezione, decide di renderne pubblico il contenuto e dichiara: “Non ho mai rivelato quel che disse Randy quando si rese conto di essere sul punto di schiantarsi sulla Luna (…). Mi limiterò a riferirvi le sue parole e a lasciare che siate voi a interpretarne il significato. Clagget disse: ‘Benedetto San Leibowitz, continua a farli sognare, laggiù’.”.
Gli studenti sono perplessi, non capiscono il senso del messaggio. È il lascito di un uomo che sta per morire, che sa di morire entro pochi istanti, ma un ragazzo del corso ha un amico patito di fantascienza e il giorno dopo bisbiglia all’orecchio di Pope la soluzione: “Walter Miller”.

 

 

 

Tea C. Blanc
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È comasca. Vive un po' a Como, un po' in Svizzera. Collabora ad alcune riviste, fra cui "Giornale Pop", webzine diretta da Sauro Pennacchioli, e "Andromeda - rivista di fantascienza", diretta da Alessandro Iascy. Ha pubblicato un racconto di genere fantastico con Edizioni Dell’Angelo e il romanzo dagli spunti fantascientifici “Mondotempo” (Watson Edizioni, collana Andromeda).

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