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RICORDI DALL’ESTERO: UN PAIO DI FATTI

RICORDI DALL’ESTERO: UN PAIO DI FATTI

Con questo articolo iniziamo i nostri incontri con voi. In questo caso si tratta di un remake che il geniale presidente della World SF, Donato Altomare, ci aveva mandato agli inizi della nostra avventura. Mentre vi avviso, tra parentesi, che la World SF ha in programma delle cose veramente interessanti per la sua attività, vi lascio al divertimento, alla simpatia e alla bravura di un grande scrittore.
Alla prossima.

Giovanni Mongini

 

Un paio di fatti realmente accaduti credo possano trovare spazio in queste memorie. Ho pubblicato molti racconti e alcuni romanzi all’estero. Due esperienze su tutte ricordo con molta simpatia.

Un po’ di copie… vi prego!
  1. Cecoslovacchia.

Un paio di fatti. Donato AltomareLudmila Freiovà, la bravissima italianista che ha tradotto le mie opere in ceco ha bisogno di me. Una casa editrice vuole sottoscrivere un contratto per la pubblicazione del romanzo breve Dolcissima Roberta. Prendo l’aereo e giungo a Praga in una giornata uggiosa. Nonostante tutto, la città è meravigliosa, con le sue centinaia di torri e i quartieri antichi e i ponti e le piazze. Insomma, è tutta da visitare. E Ludmila mi porta in giro mostrandomi quello che, in poco tempo, poteva essere mostrato.

Il giorno seguente al mio arrivo abbiamo l’appuntamento con l’editore. Si tratta di una bella signora che parla un po’ di italiano. Il contratto dev’essere scritto nelle due lingue e Ludmila lo vuole controllare, non per mancanza di fiducia, ma perché è una professionista.

Il romanzo breve uscirà su una pubblicazione specializzata SVET FANTASTICKY n°1 (Praga 1990), che in seguito ha pubblicato spesso autori di fantascienza italiani.

Lei e la segretaria si appartano per leggere attentamente il contratto. Io resto con l’editrice che mi offre da bere (sempre roba forte, e io sono astemio, ma ne riparliamo) e tenta di chiacchierare con me per ingannare il tempo.

A un certo punto, dopo le solite banalità, il discorso langue, allora, per venire fuori dall’imbarazzante silenzio mi sforzo a fare una domanda. Una qualsiasi domanda. Le chiedo:

– Quante copie stamperete? –

Lei, subito:

– 50.000 copie. – Risponde con noncuranza.

È un numero impressionante, tutti, scrittori, editori, distributori, lo sanno e poi per una pubblicazione di fantascienza. Pazzesco!

L’editrice certo mal interpreta la mia espressione tra l’incredulo e lo sbalordito. Alza le mani con le palme in avanti e si affretta ad aggiungere:

– Ma se ci danno la carta sufficiente ne stampiamo altre 50.000. –

Dopo un paio di giorni dobbiamo andare a Kosiče, in quella che oggi è la Repubblica Slovacca. C’è la loro Convention e sono uno degli ospiti stranieri. Prendiamo il treno e, dopo una notte in cuccetta, giungiamo nella graziosa cittadina.

Sono in compagnia di una decina di altri ospiti, tra cecoslovacchi e stranieri. Ci accompagnano dal sindaco per il consueto saluto. Entriamo in quella che era probabilmente la Sala Consiliare e ci sistemiamo ai lati di un lunghissimo tavolo in legno massello. Il sindaco ci fa la gentilezza di essere già presente e comincia il suo discorso di benvenuto, ringraziandoci di essere lì e augurandoci una buona permanenza. Ludmila è al mio fianco e traduce tutto.

A un tratto entrano due camerieri. Uno porta dei bicchieri (quasi da cucina, soltanto un po’ più piccoli) e l’altro ha in mano una bottiglia di vodka ghiacciata da due litri. Viene dato a ognuno di noi un bicchiere e riempito sino all’orlo.

Come dicevo, sono astemio. A parte un amaro a fine di qualche pranzo luculliano o il solito spumante per qualche ricorrenza, non bevo. Il sindaco solleva il bicchiere e invita tutti a brindare. Io non posso certo fare la parte del maleducato. Faccio la stessa cosa e, quando tutti bevono il forte liquore, chiudo gli occhi e faccio lo stesso. Mi brucia in gola, ma scivola via bella e gelata. Temevo peggio.

Penso sia finita. Mi sbaglio.

Il cameriere con la bottiglia rifà il giro e riempie nuovamente il bicchiere sino all’orlo.

Lo fisso con sguardo balbettante. Poi lo abbasso sbirciando il bicchiere pieno. Il sindaco intanto se l’è portato nuovamente alle labbra e lo butta giù d’un fiato. Ingoio un grumo di saliva, afferro il bicchiere e bevo nuovamente tutta la vodka. Il liquido va giù. Comincio a sentirmi strano. Poggio il bicchiere. E, come in un incubo, vedo il cameriere che si riavvicina. Gli lancio un’occhiata supplichevole, pregando il cielo che non lo faccia ancora, ma lui equivoca e lo riempie sino all’orlo ammiccando.

Afferro il bicchiere. Conosco quella gente, sarebbe atto di grave scortesia dimostrare di non gradire. E ingurgito il liquido per la terza volta.

Mi sento un po’ euforico e la testa mi gira, ma riesco a mantenermi falsamente attento mentre il sindaco continua a parlare e Ludmila a tradurre. Lei non si è accorta di nulla.

L’incubo diviene terrore quando vedo il cameriere che si avvicina ancora. E mi riempie il bicchiere col solito sguardo. Questa volta è ghignante.

Non ce la faccio. Non ce la posso fare.

Mi giro verso Ludmila e le chiedo aiuto. Lei non capisce. Allora le spiego che ho bevuto già tre bicchieri, che uno solo è l’equivalente in liquore di quanto bevo in un anno e che non ce la faccio a ingoiare il quarto.

Lei scuote il capo. Mi chiede:

– Ma li hai bevuti tutti? –

– Ovviamente, non penso sia educato lasciarne uno a metà. –

Lei riscuote il capo:

– No, da noi non funziona così. Se continui a svuotare il bicchiere, il cameriere te lo riempirà immediatamente. Se lo bevi tutto anche questa volta, te lo riempirà ancora. Ti sarebbe bastato sorseggiare il primo e lasciarlo semipieno. Il cameriere non sarebbe tornato a riempirtelo e sarebbe finito tutto. –

Incredulo mi do dell’idiota.

Ma non finisce qui la storia.

Abbiamo fatto tardi, manca poco all’una pomeridiane. Alle 13,30 c’è il pranzo ufficiale. Ludmila mi accompagna in albergo per cambiami, ho gli abiti del giorno prima. Mi dice:

– Ti basta mezz’ora? –

– Una doccia rapida e un cambio e sono pronto. – Quasi biascico.

Lei annuisce non molto convinta.

Chiudo la porta della stanza d’albergo e comincio a svestirmi. Mi gira la testa e mi poggio sul letto.

Grosso errore.

Intorno alle 16 stanno per chiamare i vigili del fuoco per buttare giù l’uscio della mia stanza in quanto non do segni di vita.

Mi svegliano le urla.

Apro la porta intontito mormorando:

– Che cazzo gridate? –

C’è Ludmila, il direttore dell’albergo, un paio di camerieri, gli addetti alla sicurezza e qualche ospite incuriosito.

Mi fissano con occhi carichi di rimprovero.

Cose che pensavo avvenissero soltanto nei film.

Il Popolo Del Cielo
  1. Belgrado.

Dragan Mraovič mi aspetta all’aeroporto di Belgrado. Fa un po’ freddo, ma sono elettrizzato. Devo partecipare al Convegno di Poeti Internazionale di Belgrado (ebbene sì, poeti, ma lo faccio come scrittore), e devo presentare l’ultima mia antologia di racconti edita lì. Si tratta de Il popolo del cielo ed. Gradina, 1993 Belgrado. Ovviamente tutto scrupolosamente in cirillico.

Dragan ha curato la traduzione. Lui è un mio fan acceso, almeno quanto io lo sia di lui. Per me resta un mito. È uno che ha tradotto la Divina Commedia in serbo e Leopardi, D’Annunzio, e un mucchio di altri grandi italiani. Merita tutta la nostra incondizionata stima.

Mi porta in albergo e ci diamo appuntamento direttamente alla sede della loro Associazione di Poeti e Letterati.

Molti non lo sanno, ma nei paesi dell’est la cultura è in cima all’interesse della gente. E degli uomini politici. È già successo che uomini di cultura, scrittori, critici, poeti, ecc., hanno fatto cadere un governo. Le loro manifestazioni si svolgono con, al minimo, la presenza di un paio di ministri e hanno a disposizione la televisione nazionale in prima serata.

Insomma, il Paradiso per noi autori.

Potrei raccontarvi di cose che sembrano frutto di una fervida immaginazione. Ma andrei fuori traccia.

Torniamo allora alla presentazione del libro.

Con un tassì raggiungo la sede della manifestazione un po’ prima. Ci sono giornalisti, TV, radio e chi più ne ha più ne metta. Dragan è in disparte a chiacchierare con una bruna alta e molto ben fatta. Appena mi vede la saluta e mi raggiunge.

Scommetto che non stai nella pelle per vedere il tuo libro?

Scommessa vinta. Ti devo un caffè. Dov’è?

Mi spiace, ma non so se riesco a trovarti qualche copia.

Lo guardo cercando di capire se sta prendendomi in giro o se ha soltanto voglia di scherzare. Ma lui è serissimo.

Non fare scherzi. –

Non sto scherzando. Te ne ho messo uno da parte. È che sono andati a ruba. –

Allora capisco che sta davvero scherzando. Sorrido e gli faccio cenno di muoversi. Ero alla mia seconda pubblicazione per case editrici professionistiche in Serbia (a parte qualcosa apparso su fanzine locali). Il primo libro era andato abbastanza bene (La casa degli scheletri) e aveva ricevuto uno straordinario commento da parte del più quotato critico serbo che aveva definito il mio racconto che dava il titolo all’antologia, La casa degli scheletri amanti, un racconto da essere incluso in una antologia mondiale. Bontà sua. Ma certo questo non bastava a far vendere, in neanche una settimana, tutte le copie stampare della seconda antologia.

Dragan invece è serissimo. Mi accompagna in una libreria lì vicino, una delle più grandi della Capitale e mi invita a chiedere una copia del mio libro. Lo faccio (grazie alla sua traduzione). Vedo il commesso scuotere il capo e mormorare qualcosa. Che lui traduce:

Copie non ce ne sono, bisogna prenotarlo, ma non sa dire quando sarà disponibile. –

Non ci credo. –

Allora lui si lascia andare a una risatina che mi confonde e spiega:

È tutto vero, ma c’è una ragione

Non sono tanto famoso?

Solo un po’. La ragione è un’altra. –

A questo punto, prima di andare avanti, credo sia necessaria una piccola premessa storica.

Ricordi dall'estero: un paio di fattiIl 28 giugno del 1389, il popolo serbo (cristiano) cercò di fermare l’avanzata dei turchi alla Piana dei Merli in Kosovo (altra ragione per cui i serbi ci tengono tantissimo a questa regione). I serbi erano in forte inferiorità numerica nei confronti degli ottomani che avanzavano, travolgendo e distruggendo ogni cosa, come esercito di cavallette. Il principe Lazar che guidava i serbi, prima della battaglia, fece un breve discorso ai soldati. Disse, in estrema sintesi:

Noi possiamo scappare abbandonando le nostre terre, vivremo, e resteremo un popolo sulla Terra, ma se restiamo e affrontiamo i turchi, moriremo tutti, e diverremo Il Popolo del Cielo.” –

Decisero di restare e morirono tutti. Da allora i serbi si attribuiscono come secondo nome quello de Il Popolo del Cielo.

Qui tutto l’arcano. Dragan era stato intelligente a dare il titolo all’antologia: Il popolo del cielo, riprendendolo da uno dei racconti presenti nella raccolta. Così tantissimi pensarono che avesse a che fare con la Battaglia della Piana dei Merli, e il volume andò esaurito in pochi giorni.

Speriamo non ci siano rimasti troppo male quando i lettori hanno scoperto la verità.

Donato Altomare
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Nasce a Molfetta nel 1951. Narratore, saggista, poeta, ha vinto due volte il Premio Urania, il premio della critica Ernesto Vegetti e otto volte il Premio Italia. Autore del genere fantastico è stato pubblicato dalla maggior parte degli editori. Nel maggio 2013 è stato nominato Presidente della World SF Italia, l’associazione italiana degli operatori della fantascienza e del fantastico.

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