UN INIZIO SENZA PRETESE: GALATTO TOUR
Dunque, non sono mai stato particolarmente noto ma c’è stato un giorno in cui sono entrato nell’Editoria e lo ricordo benissimo. Ecco quindi come tutto è cominciato.
Nel 1976 ero ancora piuttosto giovane e stavo malissimo: da un anno avevo dei terribili e sordi dolori allo stomaco ed ero praticamente certo di dover morire. Mi dispiaceva, si capisce, ma non vedevo alternativa a qualcosa che da un anno era stato in continua osservazione sotto diversi specialisti, ma che nessuno di questi aveva mai saputo diagnosticare.
Finalmente, in una terribile notte di febbraio, appena andato a dormire sono stato colto dai dolori più tremendi che io abbia mai provato in vita mia. Quello che da un anno a quella parte era stato un dolore sordo, sempre presente, ma sopportabile sia pur con disagio, alle 23 e 30 si trasformò in una stellare agonia assolutamente indescrivibile.
Il dolore proseguiva senza alcun calo e quindi non sopportabile fino alle 8 del mattino, più o meno. Molto dopo, quando ormai non avrebbe più avuto alcuna utilità, qualcuno mi ha spiegato che per una simile evenienza avrei dovuto chiamare l’ambulanza e tutto sarebbe finito prima.
Mia moglie (santa donna) e io non avevamo avuto il coraggio di disturbare quei poveri barellieri, semplicemente per un dolore che non si poteva sopportare in nessun modo. Poi avevamo anche il bambino di tre anni: a chi lo avremmo lasciato?
Insomma, alle otto mia moglie (santissima donna) prende il coraggio a quattro mani e telefona al nostro medico, che fortunatamente era un grandissimo. Non ho telefonato io perché in quel momento ero del tutto fuori causa. Nel frattempo, avevo assunto un antiacido e quel male allo stomaco mi pareva leggermente diminuito. Non stavo bene, ma non saltavo più sul letto. Ero certo che fosse un cancro allo stomaco. Peccato però, così giovane.
Il dottore, come detto, era un grandissimo perché, una volta sentiti i sintomi, aveva immediatamente accantonato le sue maniere solitamente tranquille e rassicuranti che difficilmente lo portavano a casa del malato ed è arrivato in un quarto d’ora. Da questo ho capito che ero grave. Lui sapeva di tutta la mia trafila per individuare il malanno e del fatto che nessuno lo aveva ancora identificato.
Mi mette le mani addosso visibilmente preoccupato e stranamente, subito dopo, sorride: – Ah! – dice sollevato, – sono le vie biliari!
– Sarebbe a dire? – rispondo confuso.
– Sarebbe a dire che molto probabilmente è un calcolo biliare. Una cosa in genere pochissimo grave, che però dà i dolori più terribili. Pare siano peggio delle doglie del parto che fino a qualche anno fa erano classificate come i dolori più terribili possibili. Adesso il calcolo è passato e poco per volta smette di far male. Però ce ne saranno certamente degli altri. Bisogna operare prima che vadano a bloccare di nuovo il coledoco, cioè il piccolo condotto che porta la bile nell’intestino.
Ecco perché poi si è parlato di ambulanza: avrei potuto godere di un intervento immediato se fossi arrivato in ospedale con un’ambulanza. Come dicevo prima, se l’avessimo chiamata.
Nel mio caso invece passò più di un mese prima che un chirurgo mi visitasse e decidesse anche lui che sì, c’era ancora un calcolo che bloccava il maledetto coledoco e, se si fosse mosso, sarebbero stati dolori insopportabili. Per fortuna doveva essere grosso e in quel momento era piantato ben fermo.
Siamo così arrivati a un’operazione chirurgica felicemente conclusa nell’aprile del 1976.
Per tenermi su di morale, quel giorno mia moglie mi porta in ospedale il numero uno, appena uscito, di una nuova rivista di fantascienza: Robot, edita da Armenia e curata da Vittorio Curtoni, uno scrittore che aveva già frequentato le avanguardie italiane della fantascienza, cioè Galassia, assieme a Gianni Montanari. Zona Piacenza, zona Emilia, a quel tempo il meglio della fantascienza italiana.
Vittorio era di un’intelligenza davvero notevole nel panorama della letteratura fantastica, non solo italiana e purtroppo ci lascerà nel pieno della sua attività, il 4 ottobre del 2011 a soli 62 anni.
In quel giorno in ospedale mi colpisce la presentazione di Vittorio, pagina 3 del numero 1 di Robot:
“… sarà bene chiarire subito che il contributo dei lettori c’interessa anche a livello professionale, il che significa che siamo dispostissimi a prendere in considerazione racconti, articoli, proposte di collaborazione in genere, e ad accettarle senza nessun pregiudizio, posto, come unico requisito indispensabile, il buon livello qualitativo dei lavori.”
Dichiarazione che di solito non era frequente nelle presentazioni di Editori e Curatori. Devo dire che io non ero del tutto a digiuno di scrittura. Non lo sanno in molti, ma la primissima cosa mia pubblicata è apparsa su Urania, nella rubrica Il Marziano in Cattedra. Si trattava di un raccontino scritto da me e inviato da un compagno di classe dell’Istituto Tecnico, perché io non avrei avuto il coraggio di farlo da solo!
Poi avevo scritto diverse cose che mai avevano abbandonato il mio cassetto. Comunque, per quella occasione, non ho mai pensato di usare qualcosa di già scritto. Non c’era niente che mi soddisfacesse.
Non appena tornato a casa, molto risollevato perché forse ce l’avrei fatta a vivere ancora un bel po’, mi sono così messo a scrivere un paio di racconti.
Uno s’intitolava Galatto-Tour, l’altro che mi aveva divertito moltissimo scrivere, era George di Ettamin. Anzi, credo che il primo che scrissi fosse stato proprio George, poi per un ripensamento mi sono detto: dai, mettiamone un altro non si sa mai e ho scritto Galatto.
Imbusto i fogli dattiloscritti, a quell’epoca si viaggiava con la macchina da scrivere, e li spedisco all’indirizzo di Robot, a Milano, città in cui abito pure io. Ero speranzoso, ma fino a un certo punto: le poche cose mie che avevo provato a inviare erano state regolarmente ignorate da chiunque.
Invece passano non più di cinque giorni e ricevo una telefonata, certamente inattesa in un tempo così breve. Era Vittorio che mi diceva: “Ho letto la sua proposta e devo dire che trovo molto divertente Galatto-Tour. Molto meno quell’altro, ma comunque mi andrebbe di pubblicare Galatto.”.
Accidenti, mi dico. A me piaceva più l’altro, ma chi se ne frega. Vuoi vedere che finalmente mi pubblicano qualcosa?
Il mio racconto verrà pubblicato con il numero 14 di Robot, cioè nel maggio del 1977. Ricordo con simpatia il primo incontro con Vittorio Curtoni che mi consegnava il mio assegno come Autore: 14.000 lire! Per i più giovani ricordo che si trattava di circa 7 Euro. Anche allora non era una gran cifra e Vittorio ci scherzò su: “Allora, sgodazzati l’assegno!”.
Il disegno di accompagnamento di Giuseppe Festino fu davvero molto bello, a mio parere: era decisamente difficile illustrare un racconto che non presentava particolari panorami, ma si basava su sensazioni e soprattutto sull’ironia, ma il disegnatore coglieva un aspetto decisamente pertinente.
Posso dire, per averlo constatato di persona, che Giuseppe legge tutto ciò che deve illustrare. Non è come altri che si fanno descrivere una scena e poi eseguono i disegni: lui ama l’argomento e pretende di leggere tutto.
Devo dire che anche George avrebbe poi trovato una sua collocazione. Ma questo fa parte di un argomento molto articolato, che forse varrebbe la pena sviluppare in altri ricordi.
Successe, infatti, che Galatto-Tour, una volta pubblicato, piacque molto anche ad Antonio Bellomi, che all’epoca curava un po’ di riviste di fantascienza. Vittorio mi telefona annunciandomi che un suo amico curatore sarebbe interessato a leggere un altro dei miei racconti: “Posso dargli i tuoi recapiti?”
Certo che sì, figuriamoci!
Così, andò a finire che Antonio Bellomi acquistò il racconto di George, un simpatico vermone alieno, che considerava molto divertente uccidere i suoi visitatori.
La storia apparve nell’appendice di Perry Rhodan.
da quel giorno Antonio è diventato uno dei miei più cari amici e lo ringrazio del molto che mi ha dato e insegnato.
Da questo primo momento non ho mai più smesso di scrivere, anche se con molta meno determinazione di altri amici che conosco. I miei lavori sono pochi e la mia pigrizia a farmi notare è leggendaria.
Sarebbe stato bello potermi dedicare solo all’attività di scrivere, o di lavorare in Editoria, ma al tempo io facevo programmi per computer e a quello dovevo dedicarmi. Qualche volta sento in televisione chi dice che “questi poveri anziani, non capiscono i computer!” Stranamente, io invece capisco solo quelli! E forse avrei voluto fare altro.
Chissà se adesso, che sono più vecchio e con meno obblighi lavorativi, potrò davvero scrivere!?
Io dico di sì.
Quindi non è finita.
Franco Giambalvo
Appassionato di fantascienza da sempre, ma ha scoperto di esserlo in quarta elementare quando lo hanno portato a vedere "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin: era il 1953 e avrebbe compiuto nove anni in quell'autunno. In seguito ha potuto scrivere con l'aiuto di Vittorio Curtoni e ha pubblicato un romanzo, del tutto ignorato, dagli Editori e dai lettori. Ma non si lamenta troppo: ama la fantascienza!
Certo che i tempi sono cambiati parecchio! Sembra di leggere una fiaba, anche se di sicuro è andata così. Nel 1976 gli Urania andavano a ruba, mio padre acquistava ogni uscita… oggi, invece, se entri in edicola e ne compri uno, l’edicolante prende subito nota, quasi fosse un caso eccezionale.