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Aurora

Aurora
Una Autrice nuovissima, che si dedica da poco tempo alla fantascienza. Sì, il suo racconto è ancora un po’ ingenuo, ma la sua forza descrittiva ci è piaciuta molto.

 

Aurora era un bel parco di divertimenti. Un enorme luogo di incontri, di feste e di svago, frequentato dagli abitanti di ogni pianeta; all’inizio solo da quelli del sistema solare limitrofo, in seguito, grazie al passaparola e alla pubblicità, pure da abitanti di mondi lontani.

Il lavoro ricadeva sulle spalle dei robot, che proteggevano, sorvegliavano, accompagnavano, pulivano, interpretando il ruolo di guide, babysitter, camerieri, maggiordomi. I residenti erano tutti benestanti che avevano vissuto e lavorato altrove e poi si erano rifugiati lì a godersi una meritata pensione.

Le verifiche su ogni turista erano talmente approfondite da rasentare la paranoia, eppure nessuno se ne lamentava; anzi padroni di casa e ospiti si sentivano rassicurati e accettavano di buon grado di sottostare ai rigidi dettami di Aurora. Quei pochi che avevano osato ribellarsi erano stati catturati con ogni riguardo dai robot, sistemati sul primo trasporto interstellare, e spediti via.

Ma inaspettatamente è successo qualcosa.

Dopo secoli di non violenza, in un normalissimo giorno di allegria, i robot guardiani scoprirono un cadavere.

All’interno di un “Centro dell’Avvenire”. Un ambiente in cui i visitatori potevano realizzare, attraverso immagini olografiche, i loro sogni più privati, i desideri più reconditi e inconfessabili.

Era una delle attrazioni più popolari. Che rischiava di chiudere perché qualcuno si era fatto ammazzare lì.

Appena venuto a conoscenza dell’accaduto, Marcus sovrintendente alla sicurezza di Aurora e dell’unico suo continente disse proprio questo:

– Che razza di idiota! Con tutti i posti in cui si può andare a morire!

– Signore, le faccio notare, rispettosamente, che l’hanno ucciso, non è certo morto lì per sua scelta – interloquì Sebastian, il suo vice.

Marcus lo guardò; lavoravano assieme da un paio d’anni e gli era stato affidato per addestrarlo, in modo che Marcus potesse ritirarsi quando avesse raggiunta un’età venerabile. Il momento era arrivato, ma non gli andava di lasciare, soprattutto perché era terrorizzato all’idea di dover dare tutto il potere a uno che considerava poco più di un ragazzo, benché ne riconoscesse le notevoli capacità.

Forse esagerava; Sebastian aveva già compiuto i settant’anni e Marcus, con i suoi centocinquanta era troppo vecchio per capirlo davvero.

– Sebastian – disse – vabbè, sarà. Il corpo però deve essere rimosso subito. Nessuno all’infuori di noi dovrà saperlo.

– Sì signore, ho già provveduto. L’attività ludica dell’ambiente è subito ripresa.

– Bene, le guardie devono essere riprogrammate per scordare l’accaduto dopo l’interrogatorio.

– Sì signore, provvederò anche a quello.

– Non devo ricordarglielo io che è essenziale, vero?

– Certo che no, signore.

– Ha già avvisato chi di dovere? – il sovrintendente si sedette.

Doveva occuparsi di quella faccenda e risolverla nel miglior modo possibile; un omicida a piede libero in un giardino di relax e divertimenti era impensabile. Poteva rivelarsi un grosso guaio, economico e sociale.

– Ho chiamato il capitano delle guardie. Dovrebbe essere qui a momenti.

In quel momento suonò un campanello e la porta a scorrimento automatico si aprì. Entrò un bell’uomo sulla cinquantina, alto, bruno, con occhi scuri molto penetranti. Indossava con eleganza la divisa grigia d’ordinanza. Aveva fascino, tuttavia era noto soprattutto per la sua efficienza e severità. Aspettò che lo invitassero a sedere prima di farlo.

Marcus gli spiegò in breve la situazione: non era necessario ne sottolineasse la segretezza e l’urgenza, sarebbe stato quasi un insulto per un agente capace come Jeson. Alla fine lo congedò, ma ancora non si rilassava.

– Adesso siamo nelle mani del migliore. Speriamo che basti.

– Ha dei dubbi, signore?

– Non ha notato la confusione nel suo sguardo quando gli ho parlato di omicidio? Da quant’è che sul nostro pianeta non succedeva una cosa così? È una situazione nuova anche per lui.

– Ma signore…

– Niente ma. Se il capitano non riuscirà a risolvere il caso, sarò cacciato e non sarebbe una gran bella fine per la mia carriera. E lei non l’avrebbe più una carriera. Non potrebbe essere il mio successore e mi dispiacerebbe. Lo devo dire.

– Grazie signore, è molto gentile, sono commosso.

Marcus sospirò: era proprio così. Ah, questa gioventù, si disse, tutti così sentimentali. Meno male che non c’erano questi rischi con Jeson.

***

Jeson era al lavoro nel suo ufficio, davanti al computer.

Stava elaborando dei dati per alcuni suoi collaboratori; lui già aveva appreso ciò che gli serviva.

Sul tavolo della camera mortuaria aveva visto l’uomo – difficile definirlo altrimenti: lo avrebbero potuto confondere con un terrestre. Era vestito di tutto punto, con una tuta azzurra pratica e funzionale, dotata di vari accessori per rendere la sua permanenza piacevole: moneta corrente, eliminatore di rifiuti solidi e liquidi, ologramma tascabile con indicazioni di passatempi e spettacoli da non perdere.

Jeson l’aveva osservato a lungo: era sui cinquanta, sessant’anni. Un po’ più basso di lui, sul metro e ottanta, robusto. Gli avevano sfondato il cranio. Non era un bello spettacolo. Il corpo non aveva rivelato alcunché. E purtroppo neanche il posto in cui era stato rinvenuto: nessun indizio, l’arma sparita, niente tracce di lotta. Detestava doverlo ammetterlo, però non sapeva proprio da che parte iniziare; era la prima volta, non si era mai occupato di un omicidio, solo di qualche tafferuglio o di qualche furto, la gente del venticinquesimo secolo era radicalmente pacifista, non aveva mai avuto problemi così drastici. E per uno come lui non svolgere l’incarico affidategli significava una sconfitta insopportabile. Tale da mandarlo in crisi.

Stampò lo scarno resoconto e lo consegnò al suo vice, Atlas. Era il suo agente più fidato, in un certo senso un amico.

– Atlas – esordì – ho molte incertezze su questo caso.

– Lo so, Jeson, non devi scoraggiarti. Vedi, io e te, scusa, tu e io, ci siamo dedicati finora a sciocchezzuole, adesso è ovvio che siamo in alto mare.

Jeson lo guardò; dopo tutti quegli anni, ancora si stupiva del suo linguaggio pittoresco.

– Ho letto il rapporto dei robot guardiani. Hanno spostato il corpo – lo hanno trovato seduto in poltrona, sembrava si fosse appisolato, non fosse stato per il sangue, – in mezz’ora era tutto sistemato. Sono stati precisi nelle deposizioni com’è loro abitudine, ma non hanno notato niente di strano. Soltanto la gente estasiata dalle esperienze olografiche. La vittima si chiamava Matthias Barrad. Lavorava in un’azienda robotica. Non ricopriva una carica importante, era un controllore in mezzo a tanti altri controllori. Non aveva un’unione in corso, l’ultima risaliva a sedici mesi fa, quando aveva reciso il contratto con la sua ultima donna un paio di mesi prima della scadenza.

– Di comune accordo?

– Non lo so, dovremo parlarle per scoprire i motivi, con discrezione e senza manifestarle i nostri, di motivi. Dovremo inventare qualche scusa plausibile, una scomparsa magari.

– Credi possa aiutarci?

– Potrà illustrarci la personalità del defunto. I suoi dati li ho registrati: proveniva dal pianeta Diesi, una vita noiosa; aveva soltanto due amici, colleghi di lavoro, Amans Fery e Jeremy Kapla, e nessun hobby, non amava viaggiare. Non era tipo da avere nemici. Però l’hanno ammazzato e servono altri elementi: che carattere avesse, che opinioni, se era coinvolto in qualcosa di pericoloso, perché è venuto sul nostro pianeta, cose che un computer non può fornirci.

– Problemi con le macchine!?

– Non per niente, non è bello che tu lo dica.

– Vero, capo, scusami.

Jeson chinò il capo, senza ribattere.

***

– Grazie all’appoggio del sovrintendente ho risolto tutto, non preoccuparti – Jeson stava tentando di placare Atlas.

– Mi fa rabbia che lei possa infischiarsene di un ex. Va bene, non lo ama più, però non volerlo nemmeno sentire nominare…

– Tranquillo – Jeson sorrise. Atlas era il solito: irruente e passionale. – Lei e Barrad non si vedevano da un bel po’, e forse pensa di non poterci essere utile. O non vuole che la disturbiamo. Non puoi biasimarla.

– L’hai già contattata?

– Sì, il collegamento avverrà nella solita maniera, tramite video iperspaziale. La signora Delice Crepens attenderà nella sua abitazione. È la prima mossa, poi toccherà agli amici del defunto. Sono solo due, ci sbrigheremo presto.

– Posso farti una domanda?

– Sì, certo.

– Per quale ragione il sovrintendente Marcus non ha ignorato la cosa? Poteva far sparire il cadavere.

– No, non poteva, non solo per paura che qualcuno cerchi il morto, situazione gestibile per lui, ma perché ha paura che possa trattarsi dell’inizio di qualcosa di più grave. Un omicidio è un evento decisamente insolito e ne teme le conseguenze.

– Una cospirazione per sovvertire la pace?

– Lui ne sembra convinto. Non ricorda che gli uomini sono capacissimi di uccidere per motivi futili.

Atlas lo fissò. Sapeva che il suo capo non aveva una grande opinione dei suoi simili, ma gli dispiaceva sempre sentirlo parlare in quel modo.

– I presenti sono esclusi – aggiunse Jeson, notando la sua espressione.

– Grazie, signore – replicò Atlas, con un po’ di freddezza.

Il collegamento venne effettuato in tempi brevissimi.

Jeson si ritrovò davanti la signora Crepens, seduta su una scranna che figurava nel salotto. Era alta, bionda e sottile. Fu subito chiaro dal suo atteggiamento come considerasse quella intrusione. All’inizio rispose a monosillabi, a volte si limitava ad annuire oppure a negare con un cenno della mano.

Atlas stava perdendo la pazienza. Jeson era sereno come sempre.

– Signora Crepens – chiese Jeson – conosce il motivo della venuta del signor Barrad su Aurora?

– No, mi dispiace, non avevo sue notizie da più di un anno, e non volevo averne.

– Può dirmi perché vi siete separati prima del termine previsto?

La signora tentennò.

– D’accordo, ormai… non ha più senso tenerlo nascosto. Matthias beveva, era un bevitore incallito. Era in grado di ingurgitare litri e litri di liquore diesino. Immagino che lei ne conosca le conseguenze.

– Ho studiato quegli effetti. È un alcolico molto pericoloso; chi non è abituato può risentirne dopo pochi sorsi, ma anche in chi ne è avvezzo, genera parecchi disturbi. Si hanno allucinazioni, deliri di onnipotenza e, spesso, si diventa violenti.

– Sì, purtroppo – ammise la donna.

– Poveretta! – sfuggì detto ad Atlas.

– Chi c’è con lei? Mi avevate assicurato che sarebbe stato un colloquio privato – sbottò Delice, dimenandosi sulla sedia.

– È il mio vice – Jeson lo fulminò con gli occhi. – Può stare tranquilla.

Atlas si ritirò, mortificato.

– Siamo un popolo molto riservato – riprese Delice, nervosa. – Non avrei mai accettato tutto questo se non mi fosse stato imposto da persone a cui non posso dire di no.

– Sì, signora. Ma come capitano delle guardie, ho il dovere di garantire la sicurezza dei nostri ospiti, perciò devo farle queste domande.

– Sono sconcertata. Matthias non ha mai amato viaggiare, né i posti nuovi; non si muoveva proprio e voleva avere sempre sottomano la sua scorta di alcool.

– Certo non poteva portarla con sé; ad Aurora è vietato bere il vostro liquore.

– Posso consigliarle a chi chiedere informazioni: a Jeremy Kapla, il suo migliore amico, forse l’unico.

– A noi ne risultano due – intervenne Atlas avvicinandosi, ormai si era mostrato.

– Sì, è vero – la donna gli rispose con degnazione, era certamente infastidita dalla sua presenza. Strinse con forza i braccioli della scranna. – Però con Amans Fery non si frequentavano più; avevano smesso da quando Matthias era diventato aggressivo.

– Ci rivolgeremo a loro. Grazie.

Jeson troncò il collegamento.

– Un pezzo di ghiaccio – commentò Atlas.

– Tu dovresti cogliere le sfumature dell’animo molto meglio di me, nondimeno ti è sfuggito.

– Cosa?

– Che la signora nasconde un segreto confidatole dall’ex compagno. Con i suoi modi stava cercando di dichiararsi estranea, nel caso lo scoprissimo.

– Ne sei sicuro?

– Ho registrato la sua voce, e non ho bisogno di stampare il grafico per averne la conferma. Dobbiamo solo verificare se questo segreto riguarda le nostre indagini.

***

Jeson passò a contattare i due amici di Matthias. Prima colui che doveva essere meno intimo, Amans Fery, e, in seguito, Kapla.

Fery era un ometto basso, con un’aria un po’ buffa, con grandi occhiali e pochi capelli grigi.

Fu cortese e laconico; ci tenne a precisare che con Matthias non si vedevano da quando, un anno prima, lui si era dimesso dalla carica di capo settore del reparto controlli dell’A.s.s.i.s., la maggiore industria robotica del loro pianeta. Interruppe il colloquio dopo cinque minuti.

Con l’altro amico fu peggio; si negò per giorni, con la scusa del lavoro, finché persino Jeson non ne poté più.

Tramite video iperspaziale, si collegò alla casa di Kapla, deciso a non farsi sbattere la porta in faccia per l’ennesima volta.

Ovviamente, a rispondergli, fu un robot.

– Signore, desidera? – chiese.

Jeson lo osservò: un modello un po’ antiquato, di un grigio anonimo, pieno di angoli. I modelli auroriani avevano forme più tondeggianti, più morbide, in modo da trasmettere una sensazione di accoglienza, non di minaccia.

Di vecchi robot simili ne circolavano anche qui, però di solito venivano impiegati per compiti di sorveglianza, o per lavori pesanti e umili, non certo come domestici nelle case.

Il robot lo incalzò, ripetendo la domanda.

Jeson lo osservò: era teso, un robot teso! Pensò di prendersela comoda per vagliarne le reazioni.

– Come ti chiami?

– Isaac, signore.

– Sono un agente della sicurezza auroriana. Devo contattare il tuo padrone.

– Il signor Kapla non è in casa, signore. Posso riferirgli le sue domande?

– No, non intendo lasciare un messaggio. E sperare che mi richiami e che tu ti ricordi di comunicargli la mia richiesta di colloquio.

– Signore, è mio compito.

– Sì, lo so, lo so, conosco la solfa; voi robot siete tutti uguali, basta un nonnulla per farvi andare in confusione, e chissà che potete combinare se vi va in tilt il cervello.

– Non può…

L’intonazione, rifletté Jeson, il tono era arrabbiato. Un automa in collera. La cosa diventava sempre più interessante.

– Allora, – Jeson sfoderò un atteggiamento arrogante – ti muovi e avverti Kapla? Non ho tempo da perdere con te.

– Agente, – Isaac stava per esplodere, era evidente – non posso avvisarlo, il mio padrone non è qui. Non mi ha comunicato nulla sul suo rientro, e, comunque, reputo non voglia avere a che fare con gente come lei.

Evviva, ce l’ho fatta, sorrise il capitano.

– E dovresti essere tu a deciderlo? – lo provocò ulteriormente.

– Il signor Kapla è in grado di decidere da solo, tuttavia sarei d’accordo con lui, in questo frangente.

– Già, senz’altro. Non disturbarlo, quello che volevo appurare, l’ho appurato.

Spense il video.

Come sempre, si confrontò con Atlas per chiarirsi le idee.

– Fery era il capo del settore dove lavorava Barrad, oltre che suo amico. Il professor Kapla è invece un programmatore rinomato dell’industria robotica di Diesi.

– Un programmatore? Cioè mette le mani nei circuiti positronici degli automi?

– Sì, ha una lunga esperienza. E sta combinando qualcosa.

– Qualcosa? A che ti riferisci?

– Semplice, ho avuto a che fare con Isaac, il suo robot, e ti assicuro che è sorprendente: un robot emotivo.

– Emotivo? Stai scherzando? È pazzesco!

– Già, è bastato dargli un po’ addosso e ha ceduto. Si è arrabbiato ed è stato insolente.

– Con te? Sono sempre tanto rispettosi, e non poteva immaginare che tu…

– Ha smesso di definirmi un signore quando ho oltrepassato i limiti. Era davvero indignato.

– E la conclusione è che Kapla ha immesso nei circuiti del servitore un chip per le emozioni.

– Sì.

– Avevo sentito di ‘sta cosa, ma per me erano soltanto ipotesi campate in aria.

– Non lo erano, invece.

– È una rivoluzione, potrebbe essere un grande progresso della robotica, nonostante i dubbi di molti.

– Rammenta che è illegale, sia nel loro pianeta che nel nostro.

– È vero, potremmo denunciarlo. Ma a che pro?

– Per noi, per le indagini, è importante. Isaac è un esperimento, probabilmente il professore riteneva di poterlo controllare, o meglio riteneva che lui riuscisse a controllarsi; invece, il robot si è mostrato per ciò che è, dandoci una pista.

– Kapla avrebbe ucciso Barrad per Isaac, per mettere tutto a tacere.

– Potrebbe essere coinvolto anche Fery; forse ha collaborato alla modifica del robot. Ne ha le capacità.

– Per non finire in rovina, deportati nell’isola di Canter, hanno ammazzato un loro amico – Atlas replicò, turbato.

– La prigione di Canter è famosa per essere un vero inferno.

– Famigerata, direi.

– Non li giustifico; hanno sbagliato e devono pagare – concluse Jeson, duro.

– Ti riferisci all’esperimento o all’omicidio?

– Non sono d’accordo su nessuno dei due.

– Per me non è sbagliato concedere ai robot il lusso dei sentimenti. Potrebbero soffrire, è vero, però ci comprenderebbero meglio; la gente li sentirebbe più vicini, più simili, e smetterebbe di considerarli semplici elettrodomestici.

– Se potessero provare passione, simpatia, antipatia, potrebbero anche coalizzarsi e decidere di non volere più sottostare.

– È un’eventualità, non è detto che accadrebbe; tu, Jeson, dovresti essere il primo a desiderarlo.

– No, decisamente no. Io voglio che tutto rimanga com’è. Questa discussione è puramente accademica, concentriamoci sul lavoro.

Ad Atlas non rimase che acconsentire, ma non poté fare a meno di sentirsi deluso.

***

Finalmente il dottor Kapla si degnò di ascoltarli. Isaac gli aveva di sicuro raccontato tutto, e lui, forse, credette sarebbe stato meglio fornire la sua versione. Si rese disponibile per un colloquio, tramite l’abituale collegamento video.

A differenza di Fery, era alto e spigoloso. Aveva dei begli occhi chiari, che erano, però, molto freddi. E che si piantavano in faccia all’interlocutore, facendolo sentire sotto esame. Cosa che a Jeson non faceva effetto; il dottore non poteva saperlo. Atlas, come sempre, aveva un ruolo di secondo piano.

Jeson non voleva chiedergli subito di Isaac, voleva prima che chiarisse i suoi rapporti con Barrad, nondimeno fu il dottore a tagliare corto.

– D’accordo, lo ammetto: ho reso Isaac più sensibile, l’ho migliorato. Non ho altro da aggiungere in proposito.

– Dottore, il suo è un grave reato, ed è in mio potere procurarle non pochi guai; le consiglio vivamente di collaborare.

– Posso confessare di aver fatto sparire Matthias, così può dimostrare ai suoi capi che sta lavorando. Beh, non ci speri – sibilò Kapla.

– Dottore, voglio solo la verità.

– Sono all’oscuro di questa storia. Potete controllare che non vengo sul vostro pianeta da anni.

– Sì, né lei, né Fery, né la signora Crepens risultate visitatori nell’ultimo periodo.

– Io, purtroppo, non mi sono mosso da qui – Kapla cambiò tono, era addolorato, adesso.

– Che vuol dire?

– Ho consigliato a Matthias di partire, ci siamo visti a casa mia per cenare insieme. Era depresso, non faceva che ingurgitare alcool, mi confidò che non ce la faceva più a continuare con quella vita insulsa, che voleva una compagna, che rimpiangeva persino Delice.

– A lei non piaceva la sua ex? – si intromise Atlas.

Jeson lo lasciò fare, tanto il suo vice non avrebbe imparato mai.

– Oh, per favore, quella! Una vera arpia. Presumo conosciate le arpie. Mitologia terrestre dei secoli passati.

– Lo sappiamo benissimo – intervenne Jeson, prima che Atlas svelasse la sua ignoranza in materia.

Lui aveva studiato e memorizzato la storia, la cultura, di varie epoche e di vari mondi. Atlas invece aveva molte lacune, che si intestardiva a non colmare.

– Una persona insopportabile, e un iceberg, pure tenendo conto degli standard delle donne diesine. Alla fine della serata, Matthias aveva deciso di prendersi una vacanza. Gli ho raccomandato Aurora, ne avevo sentito decantare le lodi come luogo di divertimento e di oblio; pensai fosse l’ideale per il mio amico. Lo spinsi a non rimandare. Se è arrivato da voi ed è scomparso, può darsi si sia allontanato da casa soltanto per un motivo: per suicidarsi. Sarei dovuto partire con lui, però il lavoro mi terrà bloccato qui ancora per due mesi, non potevo accompagnarlo. Se avesse avuto dei problemi, non avrebbe potuto neppure contattarmi, sono rimasto chiuso in laboratorio per giorni, per terminare una ricerca sui cervelli positronici.

– E di Fery che mi dice?

– Amans è un mascalzone! Mi sono sfogato con Matthias a proposito di Isaac, e mi ha garantito il suo silenzio. Viceversa lui, appena l’ha scoperto, mi ha ricattato. Ho ceduto e ho pagato. Matthias, perciò, non l’ha voluto più vedere.

– Ha pagato Fery. Barrad non ha preteso nulla?

– Appunto: nulla. Solo che…

– Parli – lo incalzò Jeson.

– Matthias mi pregò di abbandonare questi esperimenti. Era preoccupato per me; non si fidava di Fery, non era convinto che il denaro l’avrebbe zittito. Sostenne di non voler perdere anche me, ero l’unica nota positiva della sua vita, non avrebbe sopportato che mi deportassero, non avrei resistito a lungo a Canter, sarei morto. Tutto a causa di quel bastardo: Fery. Che razza di traditore!

– E lei come ha reagito?

– Gli risposi che gli avrei dato retta, avrei smesso le mie ricerche, gli promisi perfino di smantellare il cervello di Isaac. Ho mentito per tranquillizzarlo. L’indomani Matthias mi chiamò per dirmi della sua imminente partenza. È stato il nostro ultimo contatto.

– Bene. Se avremo altro su cui discutere, la riconvocheremo – disse il capitano.

– Va bene, ma trovatelo, per favore.

Jeson rimase a fissare lo schermo vuoto. Qualcosa di quella conversazione l’aveva lasciato perplesso.

– Che succede? Ti sei bloccato? – gli domandò Atlas.

– Stavo riflettendo. Che te ne è sembrato di questo Kapla?

– È una brava persona, in ansia per un amico. Per me è innocente.

– Sì, sono d’accordo. Chi, quindi, può aver ucciso Barrad? E cosa non mi quadra?

– A che ti riferisci?

– Torna al lavoro. Ti avvertirò se ci saranno sviluppi.

Come aveva imparato con gli anni, a volte, perché arrivi un’illuminazione, basta distrarsi.

Jeson si concentrò su un rapporto che doveva consegnare al sovrintendente Marcus.

Lo terminò, lo rilesse, lo stampò. Lo stava sfogliando e si fermò, guardandosi le mani.

Se fosse successo in quel modo?

Chiamò di nuovo Kapla, ed ebbe la risposta che si aspettava. Riguardò un filmato, ne ebbe la certezza. Era come aveva ipotizzato. Aveva avuto ragione, ma, in fondo, non riuscì a rallegrarsene.

***

Erano riuniti nell’ufficio del sovrintendente, a tarda sera. Erano presenti Marcus e il suo vice, Jeson e il suo vice.

– Signori, – esordì il capitano – siamo giunti alla soluzione di questo mistero.

Atlas lo ringraziò, nel suo cuore, per averlo incluso; in realtà non aveva risolto granché, solo ascoltato Jeson che lo metteva al corrente degli avvenimenti.

– Ho avuto dei dubbi dopo l’interrogatorio del dottor Jeremy Kapla. Non l’avevo escluso come probabile responsabile dell’omicidio di Barrad, come non avevo escluso la signora Delice Crepens o il signor Amans Fery. Tuttavia non c’era un movente. La sua ex non lo frequentava da quasi un anno e mezzo. Aveva subìto violenze dal compagno, però non ci si vendica dopo un periodo di tempo così lungo. Se n’era già liberata, perché rischiare una condanna? Con Fery, i rapporti si erano interrotti per un motivo valido, che vi illustrerò in seguito. L’importante è che pure lui non aveva motivo di sbarazzarsi del nostro uomo, non avevano nulla da spartire oramai.

– Rimane il migliore amico: quel Kapla – disse Marcus.

– Sì, signore. Anche lui è innocente.

– Come? – Marcus e Sebastian erano sbalorditi.

– Signori, fatemi spiegare. Gli ho parlato e, come potrà confermare il mio vice, non aveva l’aria dell’assassino – continuò. – So che né io né Atlas ci intendiamo di delitti, ma Kapla sembrava molto angosciato per la presunta scomparsa della vittima. Ha affermato una cosa che al momento non ho colto; riflettendo, ci sono arrivato. L’ho ricontattato, e gli ho posto un unico quesito. E ogni tessera ha trovato la sua collocazione.

– Vuole arrivare al dunque? – berciò Marcus.

– Sì, signore. Gli ho chiesto se, quando aveva cenato con la vittima erano soli, mi ha risposto di sì; insistendo, ho saputo che era presente qualcun altro, qualcuno che un diesino non considera avendo l’abitudine di averlo sempre sotto gli occhi: un robot. Isaac, per la precisione.

– Isaac? Il robot domestico? Allora?

– Signore, lei non è a conoscenza di un particolare rilevante. Isaac non è un automa come gli altri; il suo padrone lo ha fornito di un chip che lo rende schiavo delle emozioni.

– Delle emozioni? Su Diesi c’è un robot in grado di percepire ira, dolore e invidia?

– Sì, sovrintendente. Quella sera, Isaac ha sentito dire al dottor Kapla che, per il bene di tutti, lo avrebbe smantellato, su pressante invito dell’amico Barrad.

– E questo a cosa ci porta?

– È fondamentale, signore, per risolvere l’enigma. Isaac non è capace di gestire ciò che prova: sensazioni sconosciute, verosimilmente confuse. Pure devono piacergli, non vuole smettere di provarle. Invece apprende che tornerà quello di prima, un robot come tutti gli altri, e non può tollerarlo. Ascolta la conversazione tra Barrad e Kapla, scopre l’imminente partenza del suo nemico; lo valuta tale a questo punto. Il suo padrone rimarrà chiuso in laboratorio per mesi a lavorare; lui avrà campo libero. Decide di seguire Barrad. Si imbarca su un qualsiasi mercantile, tanti fanno la spola tra il suo pianeta e Aurora per l’esportazione di merci: si può essere infilato nella stiva, nascosto in qualche cassa. Giungono entrambi al parco e alla stanza degli ologrammi – Isaac può far finta di essere un guardiano – e là coglie l’occasione propizia. Si avvicina a Barrad, che, come è ovvio, non si scompone, non teme un robot, e con le mani gli spacca il cranio. Noi non abbiamo rinvenuto un’arma, infatti non è mai esistita, è bastata la sua forza. Sistema il corpo di Barrad su una poltrona ed esce.

– E nessuno se ne accorge?

– No, la camera degli ologrammi è buia, la gente si perde tra le visioni. Vi ho assistito anch’io, gli occhi umani non possono notare nulla.

– Ma è terribile – commentò Sebastian. – Un robot assassino.

– Purtroppo, è vero. Ho esaminato i filmati del parco, era di sicuro Isaac uno dei robot, molto simili ai nostri, però, per un esperto come me, non è stato difficile individuarlo.

– Un automa ha fatto del male a una persona per paura di essere disattivato – concluse Marcus, sbigottito.

– Signore, ne andava della sua esistenza.

Il sovrintendente dovette sedersi.

– E quell’Amans Fery a cui ha accennato?

– Si tratta di un ricatto, Isaac è sempre la parte in causa. E non escludo il coinvolgimento dell’ex signora Barrad.

– Basta! – proruppe Marcus. – Voglio, anzi ordino, che quell’omicida sia immediatamente distrutto.

– Già fatto signore, ho provveduto. Ho minacciato il dottor Kapla di stroncargli la carriera, alla fine ha dovuto cedere. Non penso fosse necessario; era disperato dopo le mie rivelazioni e le prove inconfutabili che gli ho presentato. Matthias Barrad era il suo più caro amico e, anche se Isaac è una sua creatura, ha dovuto ammettere che non siamo ancora pronti per un automa emotivo. Isaac non è più attivo, signore.

– Che sollievo. Bene. La faccenda è chiusa.

– Sì, signore.

– Lei è stato bravissimo, Jeson. Avrà un encomio per il suo portentoso lavoro.

– Grazie signore. Mio dovere.

Si strinsero la mano, e Jeson e il suo vice lasciarono l’ufficio.

– Sai cosa mi dà fastidio? – proruppe Atlas. – Avevo i tuoi stessi indizi e non ho capito. Come hai fatto?

– È stato un particolare fondamentale a chiarirmi le idee: le mie mani.

– Le tue mani?

– Ho considerato: cosa meglio delle mani di un robot può essere un’arma perfetta? Comunque, mi sono basato pure sulle altre tracce.

Atlas sorrise. È naturale, pensò, chi più di un robot può comprendere un altro robot?

 

In copertina una simulazione di Disney Space 220

 

Franca Marsala
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Cinquantuno anni, vive da sempre a Messina, dove lavora con i bambini e le piace molto. Scrive racconti di genere thriller, ma di recente si è avvicinata all'horror e alla fantascienza. Ha pubblicato racconti con varie case editrici.
Un suo soggetto del 2015, è diventato un albo della collana Diabolik per la casa editrice Astorina. Un suo testo del 2018, ha fatto parte di uno spettacolo teatrale che ha debuttato a Milano. Ama leggere e dipingere.

5 Commenti

  1. Franca

    Grazie.

  2. Maria

    Molto carino. Ho apprezzato il colpo di scena finale.

  3. Floriana

    Bello! 🙂

  4. Roberto

    Ottimo racconto.

  5. Monica

    😁 Molto molto carino!

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