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“LA PORTA NEL CIELO” DI STEFANO SPATARO

“LA PORTA NEL CIELO” DI STEFANO SPATARO

Il Racconto della Domenica

 

Quando quella mattina Abel fu chiamato d’urgenza dall’ufficio Emergenze del SAC, aveva subito intuito che doveva trattarsi di qualcosa di davvero grave. La voce del comandante Goeld era molto agitata. Erano mesi che non si verificavano anomalie di questo tipo e l’intero centro di controllo iniziava a sperare in un progressivo miglioramento della situazione. Ora però quelle speranze erano andate deluse. E le anomalie, a quanto sembrava, erano riapparse.

– Si è aperto un nuovo varco e ci serve la tua presenza in qualità di esperto – gli disse Goeld, eccitato. Abel non fece nemmeno in tempo di chiedere al comandante se c’erano state conseguenze sulla popolazione. Sperò almeno che l’impatto sonico generato dal prodursi del varco dimensionale non avesse provocato vittime.

Abel Gaat era un agente del Servizio Controlli Anomalie (SAC) della città di Banex, sul piccolo pianeta Bituur. Era un umano, e come tale godeva di tutti i privilegi della sua razza, la più diffusa nell’intero cerchio astrale di cui Bituur faceva parte. Il suo lavoro consisteva nel controllare, fare rapporto e, quando possibile, prevenire le anomalie dimensionali che potevano verificarsi in tutta la giurisdizione metropolitana. Anomalie dovute alla particolare posizione che l’intero pianeta occupava all’interno del cerchio astrale, troppo vicino infatti al quadrante di Xioe, notoriamente radioattivo.

Sul Dizionario Galattico, alla voce Anomalia radioattiva, si legge: «Campo di forza di dimensione variabile generato da flussi atomici non consueti o sconosciuti, la cui espansione può avere effetti pericolosi, o comunque non prevedibili». Quello che non si legge è di che tipo possono essere questi “effetti pericolosi e non prevedibili”. Di solito il verificarsi delle anomalie genera un campo di forza di una potenza capace di distruggere un isolato cittadino. Spesso il verificarsi di tali anomalie viene previsto e le aree urbane coinvolte vengono evacuate per tempo. Altre volte invece il campo di forza è molto più forte, ma, paradossalmente, perde la sua potenza distruttiva e si materializza come varco dimensionale. Si comporta come se implodesse in una piccola apertura del tessuto spazio-temporale. Gli agenti del SAC sono chiamati proprio a verificare le variazioni generate da questi varchi, provando a gestirle al meglio.

Giunto nell’ufficio di Goeld, Abel notò subito la tensione negli occhi del suo comandante.

– Una porta, agente Gaat – gli disse seduto dietro la sua scrivania, con voce tremante. – Una vera e propria porta nel cielo. Non ho mai visto una cosa del genere.

– Una porta? E dove? – chiese Abel.

– Asimov Avenue, sopra il numero 25, sospesa in aria a poco più di duecento metri dal tetto delle case.

Abel non chiese altro, avrebbe verificato di persona che cosa si trovava all’interno all’anomalia. Per ora gli bastava sapere che nessun civile fosse stato ferito. I due sbrigarono rapidamente alcune formalità relative alla missione. Abel firmò dei documenti e si congedò con un cordiale saluto locale.

– In bocca al lupo – gli augurò il vecchio comandante. Abel sorrise, anche se non capì appieno quella formula. Probabilmente di origine antica e tradizionale, o di qualche altro pianeta.

Appena fuori dell’edificio del SAC, Abel accese i propulsori presenti sulla divisa, si allacciò ben bene il casco blu d’ordinanza, abbassò la visiera e spiccò il volo verso Asimov Avenue. Pensò che sarebbe stato meglio evitare la confusione che si sarebbe naturalmente creata per le strade sotto l’anomalia. In questo modo raggiunse direttamente il tetto del civico 25, una struttura piuttosto monolitica, di acciaio e cromo. Regolò la visiera per ingrandire il punto in cui galleggiava l’anomalia a duecento metri sopra la sua testa: era davvero una porta. Fece un gesto scaramantico che consisteva nel roteare lentamente il polso sinistro. Faceva sempre quel gesto quando si trovava davanti a qualcosa di pericoloso. Riavviò i propulsori e ripartì verso l’alto.

Sospeso in aria Abel osservò la porta. Era di legno, o almeno così gli sembrava, non avendo avuto mai l’occasione di vedere quel materiale di persona, ma solo su alcuni terminali video. Provò a tastare la porta, probabilmente non era scorrevole, pensò. Toccò il pomello, l’unica protuberanza che avrebbe potuto attivare qualche meccanismo di apertura. Ci vide giusto, la porta scattò ed egli poté entrare.

Abel si trovò in una grande stanza, illuminata a malapena da alcune strane asticelle con una fiammella posta sulla parte superiore. In fondo alla stanza si trovavano tre uomini che discutevano animatamente intorno a uno strano macchinario, dalla forma smussata, alto circa quanto loro e altrettanto largo. L’apparecchiatura era costituita da strani meccanismi che si muovevano a scatti producendo un rumore fastidioso. Non si accorsero subito della presenza dell’agente. Erano vestiti in maniera piuttosto bizzarra, con delle giacche lucide e sgargianti, forse di plastica, e bianche camicie di un tessuto purissimo. Uno solo aveva i capelli corti, gli altri due portavano delle lunghe acconciature che terminavano in ricchi boccoli biondi.

– È davvero geniale, Denis! – Disse uno dei due dai capelli lunghi a quello coi capelli corti. Mentre parlava l’uomo osservava qualcosa all’interno del macchinario, con la testa praticamente appoggiata a uno schermo e con le mani inserite in due fessure. – Ma come hai fatto a concepire una cosa del genere?

– Miei cari signori, se dovessi raccontarvi cosa mi è successo, potreste pensare che io abbia perduto completamente il lume della ragione. È una storia davvero bizzarra! – rispose Denis, l’uomo con i capelli corti.

Poi d’un tratto tutti e tre si accorsero della presenza di Abel e si voltarono a guardarlo, dapprima spaventati, poi con palese ostilità.

– Chi è lei? – urlò uno dei tre con un gridolino acuto. – E come è vestito? Da dove viene?

– Per la verità io vengo da Banex, e siamo sempre stati sotto questa stanza che ora galleggia nel cielo – rispose l’agente deciso. Poi si tolse il casco e aggiunse: – L’aria è buona qui, sì? – e riprese con più enfasi, puntando anche un indice contro il gruppo. – Voi piuttosto, signori, vi rendete conto di aver aperto una anomalia temporale?

– Una che? – Disse l’altro con i capelli lunghi. – Ma come parla? Cosa dice? Non ho mai sentito parlare di una città di nome Banses

– Non Banses, Banex! Comunque, è chiaro che voi provenite da una dimensione parallela, quindi vi pregherei di lasciarmi fare il mio lavoro, senza…

I due si infervorarono e continuarono a inveire contro Abel. Si muovevano in maniera concitata e discutevano usando vocaboli stranissimi, cercando di decidere se fosse il caso di usare la violenza per cacciare l’uomo da quella che, dopo tutto, loro dicevano essere una loro proprietà.

– Un attimo – disse l’uomo con i capelli corti. – Jean-Baptiste, François, amici miei, calmatevi. Credo di potervi spiegare quello che è successo qui. – E rivolgendosi all’agente: – E anche lei amico mio, venga qui. Non è la prima volta che incontro qualcuno della sua stessa, come dire, parte di mondo.

– Vuole dire che ha già assistito a un’anomalia di questo genere? – chiese Abel avvicinandosi in maniera prudente al trio e a quello strano macchinario metallico, che visto da più vicino, emanava una inquietante luminescenza dal suo interno.

– Ora vi racconterò tutto… – Poi indicò con il palmo della mano le poltroncine che erano un po’ più in là nella stanza. Poltroncine fatte di quello strano materiale con cui era fatta la porta, ormai appartenente a un’epoca remota, e avevano forme bizzarre, rotondeggianti, assolutamente surreali agli occhi di Abel. Sembravano uscite da un libro di favole per bambini.

– Innanzitutto mi permetta di presentarmi – iniziò l’uomo dai capelli corti. – Il mio nome è Denis Diderot, e questa è la mia umile dimora. Questi signori sono miei stimatissimi amici e colleghi: Jean-Baptiste D’Alembert e François Metienne. Siamo degli studiosi e ci piace definirci con il termine di Illuministi. Qualche settimana fa, da quella stessa porta, è entrato un uomo vestito più o meno come lei. Io ero solo, in questa stanza, infatti sto raccontando anche ai miei amici questa storia per la prima volta. Quell’uomo, senza presentarsi, anzi senza dire nulla, lasciò per terra la valigetta in metallo che aveva con sé e dopo qualche secondo uscì dalla porta da cui era entrato, e da cui è entrato anche lei poco fa.

«Ci misi un bel po’ per riprendermi dallo stupore dovuto a quella perturbante apparizione, potete immaginare. Chi poteva essere quell’uomo? Da dove era venuto e cosa voleva da me? Ci misi qualche ora per decidermi ad aprire quella strana valigia bianca e lo feci con circospezione. Non fu difficile capire il meccanismo che ne sbloccava la serratura e non senza un fremito mi presi ancora un po’ di tempo prima di guardare all’interno. Raccolto il coraggio necessario vidi che conteneva un libro, più piccolo dei nostri libri, dall’aspetto stravagante, scritto con caratteri minuscoli e freddi: le lettere non possedevano alcuna grazia, anzi erano piuttosto svilite e squadrate. La rilegatura era molto originale e io non ne avevo mai viste di quel tipo. Si intitolava Settecento nucleare: Storia e fortuna dell’uranio impoverito durante l’epoca illuminista. Non mi fu affatto chiaro a cosa potesse riferirsi quel titolo e comprendevo più o meno la metà dei termini utilizzati.

«Nella valigetta c’erano anche dei fogli di carta molto più grandi. Erano i progetti per la costruzione di un apparecchio come quello che potete vedere qui e che i miei amici hanno avuto l’onore di sperimentare. E infine vi erano delle scatolette nere, una decina, sulle quali erano state incollate delle targhette: “Attenzione! Contiene Uranio impoverito. Maneggiare con cura!”

«Dai progetti era chiaro, anche per uno come me completamente alieno a un’arte di quel tipo, che le scatolette nere servivano all’alimentazione di quello strampalato macchinario. Così chiamai alcuni dei miei amici fabbri, falegnami, e chiunque potesse darmi una mano per costruire questa macchina mirabile. Ed eccola là!

– D’accordo, signor Diderot – disse Abel approfittando della pausa che fece il suo ospite. – Mi ha raccontato una storia davvero interessante. Ora mi vuole spiegare a cosa serve questa macchina?

– Ci stavo arrivando, signor… signor?

– Abel Gaat – rispose l’agente.

– Nome bizzarro… in ogni caso, signor Gaat, lei ha davanti ai suoi occhi la tanto agognata versione nucleare della nostra Encyclopédie.

– Cosa? – domandò l’agente incredulo, facendo coro con gli altri due uomini presenti in quella stanza.

– Venga, le mostro – Diderot si alzò in piedi e invitò con un gesto cortese Abel a seguirlo. L’agente esitò un attimo, ma seguì poi per filo e per segno le istruzioni dell’uomo. – Se lei fosse così gentile da inserire le mani nelle due fessure lì… sì, così. Ora ha modo di selezionare le lettere dell’alfabeto, una dietro l’altra e comporre il lemma che più le interessa… deve guardare però attraverso il vetro presente davanti al suo naso, ecco… benissimo! Ora, dopo aver composto la parola, basterà premere quel tasto grande con sopra una croce, o un “più” se preferisce, al fine di ottenere all’interno del vetro, in quella parte nera, il significato della parola, oppure, se il concetto è più esteso, tutti i dettagli enciclopedici relativi.

«Ma la cosa davvero notevole, cosa che non ho ancora detto neanche a voi, miei cari amici, è che è possibile costruire altri macchinari come questo, e che nei progetti è descritto il modo per collegarli l’uno con l’altro. In tal modo le definizioni potranno essere modificate da chiunque ne sappia di più sull’argomento, in ogni parte del mondo. Chiunque potrà accedervi e la conoscenza, in tal modo, non potrà più essere fermata: è il trionfo della modernità e del pensiero illuminista!

Le parole pronunciate da Diderot erano piene di entusiasmo. Grazie al piccolo aiuto di quello strano uomo venuto da chissà dove, il progetto dell’Encyclopédie aveva già preso una svolta incredibile e di certo avrebbe realizzato un nuovo modo di concepire scienza e conoscenza.

Abel invece pensava che qualcuno aveva fatto un casino tremendo. Si era preso la briga di portare l’energia nucleare e la tecnologia del futuro a certi illuministi del pianeta Terra del XVIII secolo – ne aveva a malapena sentito parlare di sfuggita a scuola. Il problema era che quel qualcuno aveva fatto compiere alla ricerca scientifica e razionale dell’uomo un salto di centinaia di anni, almeno in quel piano dimensionale.

A malincuore Abel si allontanò dal macchinario e si diresse senza dire altro verso il suo casco. Lo indossò e ignorò completamente ciò che Diderot e i suoi amici cercarono di dirgli. Una volta raggiunta la porta Abel la aprì e uscì all’aria aperta. Restò sospeso di fronte alla porta grazie ai suoi propulsori. Estrasse dalla tasca uno strano dispositivo rotondo e piatto, non più grande del palmo della mano, e lo fece aderire a uno stipite. L’oggetto fece prima un blip, poi altri due ravvicinati.

Spenti i propulsori, l’agente Abel raggiunse delicatamente il terreno, continuando a mantenere uno sguardo duro verso la porta nel cielo che piano piano si rimpiccioliva. Estrasse un altro apparecchio, simile al primo, ma che aveva un display digitale touch con due sole posizioni: Ignora Anomalia e Distruggi Anomalia. Questo emise un quarto blip più prolungato, segno che i due apparecchi erano connessi.

Abel esitò solo un attimo, rinfrancato solo del fatto che quel trio simpatico non avrebbe sofferto nella collisione dimensionale. Con gli occhi ancora puntati verso l’alto, sfilò il guanto della sua tuta e pigiò sulla posizione Distruggi Anomalia.

Un quinto blip ristabilì l’ordine, e la porta nel cielo sparì.

Questo racconto è World © di Stefano Spataro

Stefano Spataro
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Una laurea in filosofia, un dottorato in Storia della Scienza e un box pieno di libri e fumetti. Collaboratore scientifico dell'Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Vallisneri ha prodotto diverse pubblicazioni di carattere storico-scientifico. Nel 2015 ha deciso di dedicarsi alla scrittura di genere fantascientifico. È musicista attivo da quasi dieci anni nell'underground italiano, sia con band che da solo.

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