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Stravolgimento del senso

Stravolgimento del senso

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Arpagone e lo stravolgimento… Questa mattina mi sono svegliato con questa cosa in testa. Spero l’apprezzerete.
G. Sangiorgi

 

Arpagone quella mattina si sentiva esacerbato, irrisolto, demineralizzato. Risalì a fatica dal suo letto di spine con una schiena dritta che a fatica rimise in una posizione scorretta.

Provò una strana commozione, notando che Etrezia dormiva ancora, russando fragorosamente e sbavando copiosamente; era evidente che la sua intrinseca avvenenza né veniva risaltata. Eppure tutto ciò non bastava a incoraggiarlo, perché provava un senso di privazione che non riusciva ad appianare.

Uscì dal suo tabernacolo in una sverzura fresca e corroborante. Perché lamentarsi, quindi, eppure…

C’erano già diversi terrestri come lui in giro, forse segno che non era il solo a sperimentare disagio. Il traffico dei catorci dismessi cominciava già a diradarsi. Del resto quando tutti gli essenti fossero scesi in strada, non ci sarebbe più stato tanto spazio per i mezzi semoventi.

Si fermò a rimirare il rabberciato monumento alla forchetta sbeccata che troneggiava nel parco eolico ormai da dimenticati decenni. Del resto era troppo presto per recarsi al suo posto di tracimazione, il che non era un bene, perché trascorrere il tempo a stappare bottiglie vuote di certo gli avrebbe impedito di crogiolarsi un quelle inquietudini malsane e aspricce.

Si sedette su una sfera di parcheggio chiappe, mentre un vecchio passava correndo, seguito da un giovanotto che faticava a stargli dietro. Un gatto abbaiò e una pervice si stiracchiò su un ramo di giunco.

Quello in cui viveva era di certo un mondo degno di esser rimirato, eppure doveva ammetterlo a se stesso: gli mancava quel qualcosa di grigio che c’era prima. E invidiava un po’ i più giovani, che non potevano ricordare quando, faceva quasi fatica a ricordarlo… i treni… arrivavano… quasi sempre in orario.

Per un attimo cercò di mettere a fuoco quei sovvegni inopportuni, quelle ricordanze desuete, che riaffioravano sì, ma, giustamente, subito si riadattavano al nuovo ordine delle cose, ripiegandosi dal giusto lato.

Dunque, com’era?… C-o-n-i g-e-l-a-t-o… P-a-s-s-e-g-g-i-a-t-e i-n b-i-c-i-c-l-e-t-t-a… G-l-o-r-i-a, l-a p-a-t-e-n-t-e è s-u-l t-a-v-o-l-o v-i-c-i-n-o a-l-l-a f-r-u-t-t-a…

Dovette smettere, perché lo sforzo gli schiantava le meningi.

Ma era certamente tutta colpa Loro. Del loro imperlato e strabiliante arrivo.

Infatti, quando gli Esegeti Esterni erano precipitati sull’orizzonte con le loro teiere volanti avevano subito iniziato a minacciare, irradiare e disinfestare la volontà degli uomini e la stabilità quantica delle cose.

Il loro capo supremo Tibulzio, presentò l’ultimo dei suoi lacchè che era stato incaricato di parlamentare con le nostre autorità. Questi si affacciò agli incaricati del… faticava a ricordarlo… del G-o-v-e-r-n-o e aveva riso di loro per una buona mezzora, per buona creanza. Poi li aveva emancipati, risanati dal loro cogitevole pattume, mentre un gruppo di suoi tecnici già armeggiava con lo strato atomico del nulla. Cosa in cui essi primeggiavano.

Ora diamo per scontato che un bruchiere primeggi in saggenza, che una farfalla piombi dal cielo in picchiata, che un cerchio dispieghi tutti i suoi sei lati in ognuna delle sedici direzioni. Ma una volta, una volta non era così.

Loro avevano riportato tutto nel suo fulgido alveo e le cose andavano nel più bizzarro e rassicurante dei modi. Però…

Passarono due amanti che cincischiavano allegri.

Sollevò lo sguardo su un astruso cronometro e gli parve che fosse giunto il tempo di recarsi all’ozio prestabilito, alle sue vuote bottiglie. Era molto meglio. Dove lo avrebbe portato ricordare quel suo cubico passato, proiettarsi in una sola direzione del tempo, quando adesso ne aveva a disposizione almeno sette?

Passo uno di Loro, alto, dinoccolato, astruso in modo magnifico, e lo salutò carinamente con uno sberleffo.

Era sempre stato convinto che gli Esegeti fossero stati per lui e per la sua specie una nefasta benedizione, un epifania di corolle. La poesia aveva preso il controllo della realtà, la m-a-t-e-m-a-t-i-c-a finalmente, qualunque cosa fosse, era stata drasticamente ridimensionata.

Discese su per la strada in salita che lo avrebbe allontanato dalla sua meta. Poteva certo dire di conoscere tutte le migliori allungatoie della città. Come poteva dirsi fiero della sua ineccepibile cattiva condotta, della sua smagliante famiglia, del suo umile lavoro.

Ma dopo pochi passi, vedendo un elefante attraversare il cielo remigando, dal suo occhio centrale discese una lacrima. Doveva farsene una ragione, quel vecchio stato fisico, quel luogo appianato, all’improvviso gli mancava ferocemente.

Purtroppo, oramai, il mondo era stato rivoltato, soqquadrato, arabescato… e non ci si poteva fare un grazioso nulla. E la sua anima era disastrata.

Avrebbe certamente dovuto parlarne con un idraulico.

 

Giorgio Sangiorgi
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Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.

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