Seleziona Pagina

QUANDO ENNIO MORRICONE STRUTTURÒ DARIO

QUANDO ENNIO MORRICONE STRUTTURÒ DARIO

“Ennio Morricone me lo presentò mio padre Salvatore, che fu anche produttore dei miei primi film, mio socio e mio grande amico. Morricone abitava vicino a Roma in un posto chiamato Mentana, una piccola cittadina. Anche noi avevamo una casa lì e così cominciammo a frequentarci. L’ho incontrato quasi nelle scale di casa, così è stato il nostro incontro; lì lui mi ha incoraggiato a fare il mio primo film dicendomi: ‘Poi la musica te la farò io,’ e così la storia ebbe inizio.”

Con queste parole Dario Argento rievoca l’inizio della sua collaborazione con il Maestro Ennio Morricone, che musicò quattro dei suoi film: L’uccello dalle piume di cristallo (1969), Il gatto a nove code (1970), Quattro mosche di velluto grigio (1971), La sindrome di Stendhal (1996).

I primi tre della lista sono anche i primi tre film del regista. All’epoca Ennio Morricone era già il più importante fra i compositori italiani di musica per il cinema, insieme a Nino Rota, e la sua fama aveva già raggiunto anche il grosso pubblico, soprattutto grazie alle sue colonne per i film western di Sergio Leone.
Morricone è un musicista di formazione classica (fu allievo di Goffredo Petrassi, uno dei più grandi compositori italiani del ‘900), e, parallelamente alla sua carriera nel cinema, ha sempre sviluppato l’attività di compositore di brani musicali da concerto, spesso di carattere sperimentale e atonale, e più volte la sperimentazione è entrata nella sue colonne sonore. E appunto per i primi film di Argento, Morricone scelse di scrivere tre colonne sonore ispirate agli stilemi della cosiddetta “musica strutturale”.

La musica strutturale, codificata negli anni Cinquanta dal musicista francese Pierre Boulez, porta alle estreme conseguenze i principi della musica seriale, Si tratta di una musica ridotta appunto alla sua struttura, cioè a gruppi di note che volutamente non si sviluppano in veri e propri temi o variazioni, e non seguono costruzioni melodiche o ritmiche codificate, non seguono cioè una cadenza di quelle prestabilite (l’adagio o l’allegro, ad esempio). In fondo nemmeno una vera melodia si può dire venga sviluppata nella musica strutturale, in quanto una serie musicale è seguita subito da un’altra.

L'uccello dalle piume di cristallo, colonna sonora di MorriconeIn L’uccello dalle piume di cristallo il risultato è una musica dall’atmosfera sognante e astratta, ma ugualmente carica di tensione e angoscia, con forti influenze dal free-jazz, avvertibili nelle batterie corpose, suonate con le spazzole, e nelle trombe glaciali; cembali e celeste aggiungono note spettrali e allucinate con i loro continui interventi. Specie negli anni Sessanta e Settanta, Morricone era solito usare la voce umana in chiave strumentale piuttosto che cantata, vale a dire ricorrendo a vocalizzi, cioè versi senza parole. Qui le voci si sentono nel brano dei titoli di testa, intitolato Piume di cristallo,  nella forma di una voce femminile solista alternata a un piccolo coro maschile. È l’unico brano melodico del film, dove appunto la voce intona una specie di ninna nanna calda e avvolgente, sia pure in aperto contrasto con le sonorità allucinate che la accompagnano. La stessa voce femminile ritorna spesso nel corso della colonna sonora, ridotta però a una ripetitiva e monotona cantilena. Nel disco compare un altro brano melodico, assente però nel film, Non rimane più nessuno. Si tratta di un ballabile di stampo sudamericano, gradevole e di facile ascolto, che forse era stato concepito come tema d’amore, e poi scartato.

Il gatto a nove code si apre con Ninna nanna in blu, un brano all’insegna di una vena melodica e cantabile felicissima, un brano orecchiabile, ma ugualmente di grande impatto emotivo, tenerissimo e caldo insieme, a mio avviso fra i temi più belli e struggenti di Morricone.
La sperimentazione strutturale ritorna comunque subito nel commento musicale del film, e anzi direi che qui si fa più consapevole e matura. Uno dei punti di forza di Morricone è sempre stato l’uso del contrappunto, vale a dire della sovrapposizione contemporanea di due o più melodie: non a caso, il musicista inglese Stanley Black una volta definì Morricone “tessitore di ragnatele di suoni”.
In Il gatto a nove code il contrappunto diventa la caratteristica dominante della colonna sonora, dove continuamente le melodie – anzi, in questo caso le “strutture” musicali – si sovrappongono intrappolando l’ascoltatore in quello che può essere paragonato a un labirinto di specchi sonori, dove alcuni espedienti ripetitivi – un accordo per piano, una cantilena femminile – intersecano o si alternano a soluzioni più complesse ma sempre spiazzanti: archi dissonanti, celeste allucinate, un flauto lugubre, ancora qualche spunto jazzistico.
Il risultato è un commento musicale di grandissima efficacia per la creazione di un’atmosfera di suspense e di paura, ma allo stesso tempo ricco dal punto di vista formale, variegato dal punto di vista stilistico.

Quattro mosche di velluto grigio, colonna sonora di MorriconePer quanto riguarda le musiche di Quattro mosche di velluto grigio, Argento non voleva ricorrere a Morricone. La sua prima scelta cadde sul complesso rock dei Deep Purple. Accadde però che il regista litigò con il montatore Franco Fraticelli. Quest’ultimo, com’era usanza fra i montatori di Cinecittà all’epoca, non lavorava a un solo film per volta, ma divideva la sua giornata fra diverse sale di montaggio. La cosa indispettì Dario, che voleva che Fraticelli lavorasse in esclusiva al suo film, al punto che lo licenziò. Per solidarietà a Fraticelli, nessun altro montatore italiano accettò di sostituirlo. Essendo il film una coproduzione con la Francia, Argento poté assumere un montatore francese, ma così rischiò di perdere i benefici fiscali che il governo italiano concedeva ai film che avessero un certo numero di collaboratori italiani. Se oltre al montatore francese, la produzione avesse scritturato gli inglesi Deep Purple, questo numero non sarebbe stato raggiunto. Così Argento rinunciò alla rock-band per ripiegare su Morricone.

I titoli di testa del film si aprono con una band che esegue un brano rock. Questa scena fu filmata in sincrono con un brano che i Deep Purple avevano già composto ma che non poté essere impiegato per i motivi spiegati. Morricone subentrò scrivendo un nuovo pezzo che giocoforza dovette essere in sincrono con i movimenti dei musicisti sullo schermo. Il risultato è un brano piacevole, ma anche piuttosto scontato, che segue gli stilemi del rock progressive in voga in Italia, piuttosto che il rock duro anglosassone.

Rispetto ai due film precedenti, c’è più spazio per brani tradizionalmente melodici. Ascoltiamo così alcuni ballabili, un tema romantico accostabile a Piume di cristallo, ma senza gli sfondi allucinati. Una scelta sicuramente legata ai contenuti del film, che seguono una sottotrama insolitamente sentimentale e intimista accanto alla  “serie omicida” tipica dei film di Dario Argento.
L’aspetto thriller comunque è ben accompagnato dalla modalità “strutturale” ormai consolidata dal Maestro Morricone. In qualche modo le sonorità si fanno più tradizionali, nel senso che la strumentazione è più vicina a quella tipica di un’orchestra tradizionale, e le atmosfere un po’ più vicine a quelle più consuete delle musiche da thriller.
Morricone è un musicista troppo inventivo per cadere nel cliché o nella ripetizione, e anche questa colonna sonora rivela una grande personalità creativa, ma qualcosa a mio avviso si perde rispetto alla geniale innovazione delle altre due colonne sonore: specie di Il gatto a nove code, che rimane la mia preferita delle tre.

L’epilogo e i titoli di testa di Quattro mosche sono commentati dal brano Come un madrigale. Ancora una specie di ninna-nanna, anche stavolta con una vocalizzante voce femminile a fare da solista. E ancora una volta una melodia incantevole e ammaliante, del tutto diversa dalle altre due, ma ugualmente ricca di calore e commozione.

Fra Dario Argento ed Ennio Morricone si creò in quegli anni un rapporto di grande confidenza, eppure Quattro mosche di velluto grigio chiuse la collaborazione fra i due per 25 anni. Cosa avvenne lo raccontò il musicista in un’intervista televisiva rilasciata nel 2005:

“Dario è un compagnone, con lui si andava a mangiare la pizza, a mangiare il prosciutto ai Castelli. Sulle mie musiche non ebbe mai niente da ridire, le accettò sempre così com’erano. Dopo il montaggio di Quattro mosche di velluto grigio, Salvatore Argento mi disse: ‘Ma le tue musiche per il film di Dario sono tutte uguali!’ Al che risposi: ‘No Salvatore, le mie musiche non sono tutte uguali, sei tu che non capisci niente e te lo dimostro’. Glielo dissi proprio così, con queste parole. E da allora Dario non si fece più vivo. Quando poi, dopo molti anni mi chiamò per La sindrome di Stendhal, mi ricordai dell’episodio con Salvatore e scrissi un tema del tutto tonale, non volendo che si ripetessero problemi.”

Le sperimentazioni “strutturali” di quei primi anni Settanta però non si limitarono ai film di Dario Argento, anzi si può dire che la stagione del thriller argentiano e delle sue imitazioni videro l’incontro fra la musica colta e il cinema popolare. Infatti Morricone ripropose questo stile in almeno altri due thriller di serie B: Le foto proibite di una signora perbene (1970) di Luciano Ercoli e Gli occhi freddi della paura (1971) di Enzo G. Castellari. E si ricorda almeno un altro film giallo che si serve di una colonna sonora di stampo strutturale, opera però di un altro compositore: Un omicidio perfetto a termine di legge (1971) di  Tonino Ricci, musicato da Giorgio Gaslini.

Mario Luca Moretti
+ posts

Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ricevi la NewsLetter

Scrivi la tua email:

Prodotto da FeedBurner