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LO SPETTACOLARE CINEMA INDIANO: UN’ESCLUSIVA

LO SPETTACOLARE CINEMA INDIANO: UN’ESCLUSIVA

Devo scusarmi con voi e in particolarmente con il direttore della rivista e con il mio padrino che, guarda caso, sono poi la stessa persona, per essermi fatto vivo solo adesso. Però, avevo le mie buone ragioni… Ebbene, sono stato a lavorare in India e più precisamente a Hyderabad, capitale del cinema asiatico e di quel fenomeno chiamato Tollywood, che si discosta da quello, forse più noto in occidente, con il nome di Bollywood.

La differenza sta nella lingua che si parla, in realtà, più che nel genere, seppure Tollywood sia decisamente improntata sul cinema d’azione ed epico. Nel primo si parla il Telugu e nel secondo l’Hindi (Bombay, da cui Bollywood, ora Mumbay).

L’India è un paese dove la classe media praticamente non esiste e la distinzione tra ricchi e poveri è decisamente netta. Automobili, scooter, moto e tuc-tuc sfrecciano senza alcuna regola stradale e con un uso smodato del clacson, in situazioni spesso incredibilmente congestionate di traffico. I mercati all’aperto, fatti di stuoie e verdure fin troppo mature, si alternano a moderni centri commerciali e negozi della Apple.

cinema indianoAccanto a Hyderabad, sorge maestoso il Ramoji Film City, il più grande complesso di studi cinematografici al mondo (circa 150 volte Cinecittà, per intenderci), primato certificato dal Guinness World Records. Attualmente si estende per più di duemila acri. Con una produzione di 1.200 film all’anno, è un colosso globale la cui utenza media dei propri prodotti è di almeno due miliardi di persone.

Fu costruito dal produttore cinematografico Telugu Ramoji Rao nel 1996 con l’intenzione di edificare uno studio simile a quelli di Hollywood. Procuratosi il terreno, incaricò l’art director Nitesh Rao di progettare il complesso. Secondo un dirigente, i costruttori hanno tenuto il territorio, che a quel tempo era composta da giungle e terreno montuoso, intatto, senza rimuovere un albero o spianare una montagna.

Pochi anni dopo la costruzione, è stato aperto al pubblico. Si possono visitare, infatti, i set cinematografici, i parchi a tema e di divertimento. La città del cinema ha anche due hotel al suo interno, 47 palchi sonori e set permanenti che vanno dalle stazioni ferroviarie ai templi.

Lo studio ha una cucina centrale per le varie unità cinematografiche che vi lavorano e fornisce pasti in qualsiasi momento.

La macchina funziona e funziona molto bene. I mezzi a disposizione sono enormi, le tecnologie all’avanguardia e la manovalanza non manca di certo.

Il film cui ho partecipato, Saaho, uscirà nel 2019 e conta su un budget di 50 milioni di dollari, con staff e crew tecnica proveniente da tutto il mondo, soprattutto dagli USA, e una trama, una fotografia, una regia e un montaggio che farebbero impallidire qualunque produzione europea.

Se il fenomeno non è conosciuto (in parte) all’estero, il fatto è dovuto alle spiccate tradizioni e leggende tipicamente asiatiche presenti sempre all’interno delle storie, molto amate dalle popolazioni locali ma sconosciute al resto del mondo. Calcolando che siamo però circa sette miliardi su questo povero e martoriato pianeta, un bacino di due che questi film raggiungono è tutt’altro che trascurabile.

Noi stranieri siamo stati trattati con grandissimo rispetto e gentilezza, coccolati e accuditi dal profondo senso dell’ospitalità indiano, la cui cultura mi ha immediatamente conquistato. L’apparente confusione sul set, dovuta al gran numero di dipendenti presenti (almeno 150 persone), era in realtà smentita da un fatto estremamente funzionale: ogni persona aveva un solo incarico. Che fosse il pulire la lente della macchina da presa, che fosse azionare l’interruttore dei grandi ventilatori che simulavano la tempesta, che fosse l’incaricato di chiederti cosa volevi per pranzo o il ragazzo che presidiava i camerini, ognuno sapeva di cosa doveva occuparsi.

L’industria cinematografica indiana funziona e fa lavorare migliaia di persone, producendo film che appassionano e che, se non fossimo condizionati dalla politica di marketing aggressiva e spiazzante degli USA, dal loro star system e dai nomi che ci vengono quasi imposti perché sono un vero prodotto da vendere, anche a discapito di una storia interessante, ritengo che il cinema indiano sia decisamente più puro, anche se più ingenuo. Però, appunto, funziona e funziona molto bene.

Gli stipendi sono molto bassi ma la cultura cinematografica, il momento di svago settimanale di passare una serata al cinema, fa parte della tradizione e fa sognare il pubblico che, magari, spera nella prossima vita di poter calcare le scene di un set.

Non posso parlarvi dettagliatamente del film perché sono legato al segreto professionale ma ci torneremo sopra più in dettaglio, sia per parlarvi di questa mega produzione, del luogo incredibile dove è stata girata e quant’altro sia necessario poter dire dall’interno, contateci.

Prossimamente vi parlerò della mia produzione libraria, romanzi di horror, thriller e fantascienza continuando a intrattenervi sulle mie esperienze cinematografiche italiane ed estere.

cinema indiano

Michael Segal
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ha studiato due anni a Ferrara con Massimo Malucelli è un attore diplomato all'Actor's Studio, un anno a Los Angeles alla Beverly Hills Studios. Corso da stunt-man in Danimarca e a MIlano. Sub, paracadutismo, snowboard, Judo, ecc.

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