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LA FINE DEL MONDO (2013)

LA FINE DEL MONDO (2013)

La fine del mondo (The World’s End) è un film del 2013, terzo e ultimo della cosiddetta Trilogia del cornetto, una serie di film diretti da Edgar Wright, scritti da Simon Pegg e Wright stesso, e interpretati da Pegg e Nick Frost. Curiosamente titolato dai francesi Le Dernier Pub avant la fin du monde di douglasiana memoria, siamo in presenza di un film denso di significati e interessanti metafore.

Per iniziare, non si può fare a meno di osservare che gli inglesi hanno un approccio alla fantascienza sempre molto ben caratterizzato che, partendo da H. G. Wells e passando dal Dottor Who, declina il genere in un modo sempre apprezzabilmente britannico. Inoltre, per la concomitanza del loro cinema con quello statunitense, quello inglese ha sempre dato prova di saper confezionare un blockbuster senza mai cedere alla faciloneria o abbandonare il maggior spessore della cultura europea. Una prova di questo è ad esempio il film Kingsman – Secret Service, tanto raffinato e sorprendente quanto disastroso e imbarazzante è il sequel che Hollywood ha tentato di farne.

Il film in questione, infatti, si rivela, ma non subito, sorprendente.

C’è un tizio che non si rassegna a entrare nella vita adulta e che per questo ha rovinato tutta la sua esistenza. Nel tentativo di rivivere i bei momenti passati, va a recuperare i suoi vecchi amici del liceo per trascorrere una serata di bisbocce tornando nel vecchio paesello natio.

Beh, pensavo di aver sbagliato film, perché per un buon quarto la trama ripercorre gli stilemi della commedia nostalgica, un po’ depressa. Poi, all’improvviso, bam! Tutto si rivolta e il film diviene altro da sé. Mi dispiace quasi rivelarvelo, ma ci si ritrova in piena fantascienza, per una corsa che finirà con un nuovo strepitoso colpo di scena che spiazzerà ancora una volta le vostre aspettative.

Per non dir troppo, il film è degno di riferimenti: da L’invasione degli ultracorpi tornando a certe invenzioni comiche di Buster Keaton. Ma in esso c’è un elemento sociologico che, a ben vedere, ha del predittivo.

Chi conosce bene l’Inghilterra vi spiegherà che il Paese non è diviso solo politicamente tra Conservatori e Laburisti – dicotomia che persino lì nelle ultime ore parrebbe vacillare per la comparsa di nuovi schieramenti. Nell’isola ci sono altre due fazioni che si tollerano a malapena (un po’ come da noi oggi avviene tra gli illuminati di sinistra e i militanti leghisti): l’intellighenzia sofisticata delle city, di cui fanno ovviamente parte anche i politici, e il popolo dei pub. Non ha caso il film si delinea proprio in un percorso che attraversa queste birrerie, trasformandole in luoghi mitici, nodali per lo svolgimento della trama e, in definitiva, risolutivi.

In un certo senso il film anticipa la Brexit in modo così preciso che, se il primo ministro David Cameron vi avesse posto la dovuta attenzione, non avrebbe mai proposto il referendum di uscita dall’Unione Europea, come ha fatto nel 2016 credendo di fare una furbata elettorale. La fine del mondo spiega chiaramente che il popolo dei pub non aspettava altro che di riversare tutte le sue frustrazioni su un capro espiatorio, e che avrebbe rivendicato furiosamente ogni proprio diritto a restare imbalsamato nella propria mediocrità, rifiutando il progresso.

Ma non si limita a questo. Mostra anche chiaramente che il risultato di questo rifiuto porterà a conseguenze catastrofiche per tutti. Dava quindi già corpo al panico che si è diffuso in tutto il Paese, quando la Brexit è diventata una realtà da incubo da cui non si vede ancora una via d’uscita.

Se visto in questa ottica, il film è agghiacciante. Ma anche se guardato da un punto di vista più filosofico, per me lo è. Avendo io sempre creduto che la specie umana abbia la possibilità di trasmutare in qualcosa d’altro e di superiore mi sono trovato di fronte alla precisa dichiarazione che essa sarà disposta a tornare al medio evo pur di non rinunciare alle proprie più grevi prerogative. Un’amara lezione.

Oltre a questo, il film è godibile, quasi sempre giocato sul filo della commedia, e non mostra queste tematiche con lo sguardo spocchioso di chi le giudica dall’alto, ma con il trasporto di chi le vive dall’interno. Gli autori, infatti, si identificano con i protagonisti e non possono fare a meno di amare e di rivendicare quella cultura e quella vita che sono state probabilmente quelle della loro stessa gioventù.

© Giorgio Sangiorgi 

Giorgio Sangiorgi
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Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.

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