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24 A MEZZANOTTE: INTERVISTA A GIUSEPPE MARESCA E LUCA RAIMONDI

24 A MEZZANOTTE: INTERVISTA A GIUSEPPE MARESCA E LUCA RAIMONDI
Vecchi cinema infestati, terrificanti nottate di Halloween, vampiri del passato con tutto il loro carico di fascino e morte, antichi sortilegi, strani riti africani, demoniache vendette, una droga che trasforma in zombi cannibali, sinistri B&B del profondo sud e inquietanti FAQ aziendali. Questi gli ingredienti al sangue di 24 a mezzanotte, un’antologia di racconti horror ambientati nelle province italiane, dove vecchie e nuove tematiche horror si incrociano e si rinnovano tra presente e passato, tra realtà e leggenda, tra sole e tenebre. Una visione cupa e sinistra del Belpaese, che vi condurrà nelle periferie della paura e nei centri cittadini dell’inquietudine in compagnia di 24 affilate penne dell’horror italiano.

Dalla quarta di copertina di 24 a mezzanotte – Storie italiane dell’orrore

Di 24 a mezzanotte, raccolta di racconti horror firmati da ventiquattro autori italiani, abbiamo parlato in un precedente articolo; adesso andiamo a conoscere e fare due chiacchiere con i due curatori del volume: Giuseppe Maresca e Luca Raimondi.

Giuseppe Maresca si è laureato in Lettere Moderne con una tesi sul cinema horror dal titolo Morte a 35 mm: i maestri del gotico italiano. È docente nei licei e ha pubblicato diversi racconti horror su riviste specializzate e blog on line. Ha collaborato alla stesura del volume Ancora più… cinici, infami e violenti (Dizionario dei film polizieschi italiani). Con Luca Raimondi ha sceneggiato il film C’era una volta il sud e fondato il blog di cultura horror Il gorgo nero. Il suo racconto Alice oltre lo specchio è apparso nell’antologia I signori della notte. Storie di vampiri italiani (Morellini, 2018).

Luca Raimondi è nato ad Augusta (SR) nel 1977. Laureato in Filosofia e in Scienze dell’educazione, vive a Siracusa. Tra le sue pubblicazioni i saggi Nient’altro che un sogno. Pasolini e la Trilogia della vita (Bastogi, 2005), Il pensiero pedagogico di Pier Paolo Pasolini (Sampognaro & Pupi, 2006), Comunicare la cultura (Bonanno, 2007), nonché i romanzi Marenigma (Aracne, 2009), Se avessi previsto tutto questo (Edizioni Il Foglio, 2013), Tutto quell’amore disperso (Edizioni Il Foglio, 2014), Cerniera lampo (Edizioni Il Foglio, 2016) e Il grande chihuahua (Augh! Edizioni, 2017), gli ultimi due in collaborazione con Joe Schittino. Ha curato l’antologia I signori della notte. Storie di vampiri italiani (Morellini, 2018) e, con Giuseppe Maresca, ha fondato il blog di cultura horror Il gorgo nero. Il suo sito è www.lucaraimondi.blogspot.it.

Giuseppe, Luca, buongiorno e grazie di essere qui! Per chi non vi conoscesse, al di là delle note biografiche scritte sopra, vi andrebbe di dirci qualcosa di più su di voi?

G.M.: Innanzitutto ciao Roberto, e grazie per averci concesso questo spazio sulla tua bella pagina di Cose da Altri Mondi. Dire qualcosa su di me… preferirei rispondere come Gadda (Per piacere mi lasci nell’ombra), soprattutto perché non c’è molto da dire, però posso raccontarti un episodio occorsomi da ragazzino. Avevo tredici anni, ed era l’estate del passaggio dalla Media al Ginnasio, mi sentivo un po’ inquieto perché iniziavo a rendermi conto che crescere vuol dire perdere i propri sogni e caricarsi di responsabilità. Mi salvò un libro: Il popolo dell’Autunno, di Ray Bradbury, così scoprii che il fantastico era il miglior modo per continuare a sognare e a provare emozioni autentiche nonostante i tempi e i casi della vita che cambiano. Così ho passato quarant’anni della mia vita a collezionare tutto ciò che potevo trovare su pellicola, fumetto o in narrativa che avesse a che fare con questo genere.

L.R.: Da tanti anni porto avanti una grande passione, che è quella per la cultura, in tutte le sue molteplici forme. Nel tempo mi sono interessato a vario titolo al cinema, alla letteratura, alla musica, all’arte figurativa, adoro leggere anche i fumetti e ho un’indomabile curiosità verso tutto ciò che porta idee nuove, trasmette emozioni forti e sincere, rischiara la notte dell’esistenza umana. O anche, semplicemente, diverte. Nella pedagogia e nella letteratura ho senz’altro raccolto le migliori soddisfazioni e alla lunga credo di poter dire che è questo quello che infine sono: un pedagogista e un letterato, avido lettore e discreto scrittore, con ormai anche una certa competenza nell’ambito editoriale.

Com’è nata l’idea di un’antologia di racconti horror ambientati in Italia, location quasi inusuale, fatte le dovute eccellenti eccezioni, per il genere?

24 a mezzanotteG.M.: Difficile dire da dove è nata questa idea che ha avuto una genesi travagliata; innanzitutto è nata dall’esigenza di una grossa mancanza all’interno del panorama letterario italiano, che è quella di creare storie che facessero paura ma con un’ambientazione italiana. Parlando col mio grande amico Claudio Chiaverotti, ci siamo trovati di comune accordo nel sostenere che una storia ambientata in Italia fa più paura di una storia ambientata all’estero perché attinge al nostro DNA culturale, al nostro patrimonio folkloristico e a tanti retaggi che ci portiamo dietro da bambini con tutte le storie paurose che ci raccontavano le nostre nonne o gli anziani del paese. Ho trascorso l’infanzia in un borgo marinaro sulle coste della Sicilia, e da bambino mi affascinavano e terrorizzavano le storie dei pescatori che avevano viaggiato e raccontavano di mostri marini o leggende di spiriti o creature degli abissi che infestavano quel tratto di mare. Solo quando sarei stato adolescente avrei letto Lovecraft con le sue storie non troppo dissimili da quelle di zio Stefano e altri pescatori che ricordo. Quindi mi sono detto che l’orrore e la paura non erano sentimenti appannaggio solo di inglesi e americani, ma che sarebbe stato bello cercare il lato oscuro, l’aspetto “lunare” della nostra cultura nelle pieghe della quotidianità. Così con Luca ci siamo messi in caccia di altri autori che la pensassero come noi, il risultato è questo libro! Anche l’amico Claudio, tra un Brendon e un Morgan Lost, ha superato la sua proverbiale timidezza e ci ha omaggiato con una prefazione che era anche un po’ una benedizione augurale da libero sognatore!

L.R.: Questa antologia ha molte affinità con I signori della notte, una raccolta uscita nel gennaio dello scorso anno ed edita da Morellini, che ho curato da solo ma a cui Giuseppe ha partecipato non solo come autore ma come amico e consulente. L’idea di quell’antologia si è sviluppata durante le nostre fluviali conversazioni, in cui è emerso prepotente il desiderio di mettere insieme racconti dell’orrore firmati dagli autori italiani contemporanei che stimiamo, imponendo a tutti di valorizzare le nostrane ambientazioni attraverso un genere poco usuale. Pur avendo la mia cultura specifica del genere, riconosco a Giuseppe una competenza che colma le mie lacune, mi è quindi sembrato naturale proseguire e dare un seguito a quella pubblicazione, stavolta lavorando gomito a gomito con lui in tutti gli aspetti della lunga (e non facile) gestione di un volume affollato di grandi personalità e dalle grandi ambizioni. Dopo aver trapiantato in terra italiana l’iconografia del vampiro, abbiamo stavolta allargato il campo tematico e la squadra degli autori, coinvolgendo tanti altri stimati artisti della narrativa, alle prese praticamente con tutti gli archetipi del genere, dagli zombi ai fantasmi.

Come mai, secondo voi, l’horror e il fantastico in generale non ha in Italia la considerazione di cui gode in altri paesi, quelli anglosassoni in testa? Eppure, un’eccellente base, sia nella tradizione popolare sia nella letteratura e nel cinema, non sembra mancare.

G.M.: Bella domanda, e difficile risposta. Elio Vittorini una volta scrisse che la letteratura italiana è “malata” di realismo. Forse perché l’italiano medio ama sentirsi rassicurato, ama la commedia e la risata di grana grossa, crede di vivere nel migliore dei mondi possibili e solo quando si sente davvero minacciato da qualcosa a livello sociale (come succede negli anni ’70 col boom del thriller e dell’horror al cinema) o durante l’Unità d’Italia (con i racconti macabri della Scapigliatura) allora sente la necessità di evadere attraverso la vecchia e sana paura. Poi sai, la nostra cultura è una cultura fondamentalmente classicista, dove non c’era spazio per gli eccessi (e quei pochi che ci provavano come Seneca o Lucano finivano relegati dai potenti nel limbo della dimenticanza nel migliore dei casi). Abbiamo avuto dittature e regnanti ferocissimi, siamo stati abituati a livello sociale ad accettare ogni tipo di nefandezze, così, solo quando il potere si fa più arrogante, ecco che la letteratura italiana tira fuori la sua vena horror dove non conta più solo la forma, ma anche la sostanza. Quindi l’horror ha sempre una funzione liberatoria.

L.R.: Guarda, con Giuseppe abbiamo sviscerato più volte la questione e abbiamo trovato diverse spiegazioni. Personalmente, senza girarci troppo intorno, penso sia proprio una deficienza culturale del nostro paese, ecco, in ambito letterario grava sull’horror un pregiudizio negativo basato soltanto sull’ignoranza e su un retaggio della nostra tradizione verista e neorealista, da cui ancora oggi i “venerati maestri” (per usare un termine caro a Giuseppe Culicchia) faticano ad affrancarsi. Basti pensare a quanto poco la scuola e l’università diano il loro apporto per spiegare e far capire qual è il senso dell’horror e quale enorme patrimonio culturale e letterario vi sia dietro. Quest’ignoranza dovrebbe essere combattuta dagli scrittori più noti e più bravi, ma sembrano non avere mai il coraggio di affrontare l’horror, con le poche eccezioni che conosciamo. Gli scrittori “mainstream” continuano a scegliere, per furbizia e calcolo, di impegnarsi in altri generi più redditizi, a partire dal giallo (che pure a sua volta appena vent’anni fa era ancora visto con altrettanta snobistica diffidenza). E anche gli editori, a parte pochi coraggiosi, continuano a mostrare per questo genere una stolta diffidenza.

A bruciapelo: perché l’horror? Cosa ci attira nel macabro e nel raccapricciante?

G.M.: Perché l’horror è un genere che non ha regole fisse. Non rispetta logiche euclidee e non incasella gli avvenimenti in rassicuranti (e spesso tristi) casistiche scientifiche. Quando ero bambino, vedevo per strada i manifesti degli horror anni ’80, alcuni come L’aldilà, Morte a 33 giri, Zombi 2, La casa 4, o anche qualche Conan all’italiana o il raccapricciante mondo movie Dimensione violenza, esercitavano su di me un fascino tutto particolare, quella sensazione di proibito (visto che ero troppo piccolo per vederli) che mi faceva paura ma allo stesso tempo sognare su tutto ciò che si sarebbe visto su quegli schermi. È il lato proibito, la nostra metà oscura che ci attira verso il macabro, mettendoci alla prova su cosa e quanto siamo disposti a sopportare in una situazione inusuale e devastante. Forse perché quando abbiamo paura non possiamo fingere, dobbiamo essere per forza noi stessi e attingere alle nostre riserve se vogliamo conservare il nostro equilibrio. L’horror è forse l’unica vera forma di anarchia, dove autodeterminarsi vuol dire prendere consapevolezza dei sogni del nostro lato più oscuro. Proprio per questo l’horror è l’unico genere che ci permette di fare le boccacce pur rimanendo seri. Posso dirti che i miei studenti sono molto più attenti quando racconto una storia macabra o fantastica di Tarchetti o Hugo rispetto a quando spiego autori ben più celebrati. Il gusto per l’insolito e per il romantico macabro, se sviluppato nei ragazzi che forse sono un po’ stanchi di vivere in una società troppo scientifica, può dare delle belle sorprese per il futuro.

L.R.: L’horror per me è il genere più anticonvenzionale, quello che ti porta ad aprire gli occhi e la mente e a sfidare i tabù. Fornisce emozioni forti da cui comunque il lettore non è minacciato e attraverso cui può capire meglio, per intuizione, se stesso e il mondo che lo circonda (perché non è vero che chi si occupa di letteratura fantastica non vuole affrontare la realtà, tutt’altro). È un genere poetico, che abbonda di metafore, e permette di far volare al di là del reale, del visibile, del razionale. Come esseri umani abbiamo questa meravigliosa facoltà di immaginare cose e situazioni impossibili, che poi magari non è detto che lo siano davvero. Dopo averlo soltanto sognato, siamo andati infine sulla Luna e magari prima o poi riusciremo anche a comunicare con i morti, chissà.

Quali sono i vostri autori, nell’ambito della letteratura horror e non, di riferimento? E al cinema?

G.M.: In primis il più grande di tutti dal mio punto di vista: Clive Barker! I suoi deliri onirici a base di sangue e sesso, amalgamati da una prosa poetica, sono quanto di più genuinamente originale abbia letto in vita mia. Ray Bradbury sicuramente, per come tocca le corde interne del lettore con grande sentimento e maestria, ma anche autori italiani imprescindibili come Eraldo Baldini o il mai celebrato Domenico Cammarota (ha scritto poco, ma ragazzi, che forza visionaria), Tiziano Sclavi col suo humor nero e i suoi romanzi surreali, o classici come Iginio Ugo Tarchetti e Tommaso Landolfi. Per quanto riguarda il cinema, sicuramente l’allucinante e barocco Lucio Fulci, ma anche il genuinamente viscerale e poliedrico Aristide Massaccesi e il visionario Michele Soavi, l’Argento di Phenomena (il mio primo film horror, un film che ha segnato tantissimo per atmosfere e suggestioni la mia fanciullezza) e Inferno (un capolavoro assoluto).

L.R.: In Italia il 90% della letteratura horror comunemente reperibile in libreria ha un solo nome: Stephen King. Inevitabile dunque che diventasse fin dall’adolescenza il mio punto di riferimento. Tramite la trasposizione del suo romanzo Shining ho poi conosciuto il miglior regista cinematografico di tutti i tempi a mio modesto avviso, Stanley Kubrick. Sono i due nomi che hanno segnato la mia formazione letteraria e cinematografica. A questi dovrei aggiungerne tantissimi altri, ma sarebbe un elenco noioso. Concordo comunque con Giuseppe nell’attribuire a Eraldo Baldini un ruolo chiave nella mia scoperta di un filone italiano del gotico. Impossibile non citare poi, per quanto riguarda la cinematografia italiana, le suggestioni ricevute da alcuni film di Dario Argento, Suspiria e Phenomena su tutti.

Prima di lasciarci, chiudiamo con la domanda di rito: avete altri progetti per il futuro?

G.M: Mmmm, un bel po’ di cose top secret (ma solo per scaramanzia): un’avventura nel mondo dei fumetti e graphic novel come sceneggiatore, una sorpresa dove c’entra il cinema di genere, e altri vari ed eventuali con l’amico Luca col quale ormai siamo più affiatati dei CHiP’s, anche per quanto riguarda la redazione del nostro blog Il gorgo nero dove ci occupiamo di tutto ciò che è cultura horror italiana! E poi sì, c’è la scuola che sarebbe il mio primo lavoro in realtà, dove attraverso lo studio della letteratura italiana e latina, cerco di educare i ragazzi dei licei al gusto del fantastico e del meraviglioso, a porsi qualche domanda in più sugli aspetti più inconsueti della realtà.

L.R.: C’è sicuramente l’intenzione di continuare a collaborare con Giuseppe sul fronte dei racconti horror italiani. A novembre uscirà per Morellini un’altra antologia, di tutt’altro genere, che ho curato in solitudine, ma in cui è comunque coinvolto come autore anche Giuseppe. Il progetto, il cui ricavato andrà in beneficenza, è dedicato al tema dell’autismo, tema che mi sta molto a cuore, dato che da dieci anni, in quanto pedagogista, collaboro con cooperative sociali e mi occupo anche di questa sindrome piuttosto particolare su cui mi è parso che gli scrittori abbiano prodotto, almeno nel nostro paese, un numero francamente ridotto di opere davvero rilevanti che non abbiano un’impostazione documentaristica. Anche se ho scritto diversi romanzi, negli ultimi anni mi ritrovo più a mio agio nella brevità dei racconti, così anche il mio prossimo libro da “solista” sarà dedicato alla narrativa di corto respiro.

Grazie a tutti e due per la disponibilità.   

Grazie a te caro Roberto per la gentilezza e per lo spazio concessoci! Ad maiora horribilia!

 

 

Roberto Azzara
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(Caltagirone, 1970). Grande appassionato di cinema fantastico, all'età di sette anni vide in un semivuoto cinema di paese il capolavoro di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”. Seme che è da poco germogliato con la pubblicazione del saggio “La fantascienza cinematografia-La seconda età dell’oro”, suo esordio editoriale. Vive e lavora a Pavia dove, tra le altre cose, gestisce il gruppo Facebook “La biblioteca del cinefilo”, dedicato alle pubblicazioni, cartacee e digitali, che parlano di cinema.

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