“IL SIGNORE DELLE MOSCHE” DI WILLIAM GOLDING (1954)
L’uomo produce il male come le api producono il miele.
Con questa frase manifesto, lo scrittore britannico William Golding, premio Nobel per la letteratura nel 1983, riassumeva tutto il suo pessimismo verso la società umana contemporanea.
Viviamo in una società apparentemente civilizzata, con regole e punti di riferimento, in linea di massima ben delineati, su cosa sia considerato giusto e cosa no. Ma cosa succederebbe se all’improvviso ci trovassimo privati delle certezze e delle comodità della nostra vita? La nostra educazione, gli insegnamenti, la morale e il buon senso rimarrebbero tali o si cadrebbe verso un pericoloso imbarbarimento? Tutto ciò che ci definisce come una società civilizzata rimarrà tale o si assisterà a un ritorno alle nostre origini selvagge e primitive, a uno stato di natura belluino?
Il pensiero di Golding si esplicita in Il signore delle mosche (Lord of the Flies), suo romanzo d’esordio del 1954, e per esporre la sua tesi sceglie i protagonisti più innocenti che si possano immaginare: i bambini.
Durante un conflitto mondiale atomico, un aereo che trasporta i membri di un prestigioso college precipita su un’isola deserta dell’oceano Pacifico (cinquant’anni prima di Lost…). Gli unici superstiti sono gli studenti i quali, in attesa dei soccorsi, cercano di ricostruire una comunità civile e democratica a imitazione dell’ordine borghese e benestante da cui provengono. Il paradosso è che l’essenza di questo ordine è lo stesso che ha prodotto la guerra nucleare in corso. Procedendo nella lettura, questa contraddizione si rivelerà tragicamente.
Tre sono i principali protagonisti della vicenda e rivestono ruoli e caratteristiche significatamene metaforiche:
Ralph, eletto capo della comunità, rappresenta i valori positivi e razionali di una società democratica, ma anche le sue debolezze;
Piggy (Bombolo, nella prima traduzione italiana), grassoccio e poco attraente, è il suo aiutante e consigliere. Rappresenta l’intellettuale e lo scienziato (con le sue spesse lenti da vista riesce ad accendere il primo fuoco);
Jack, ex conduttore del coro del college, diviene capo dei cacciatori, casta nata con lo scopo di procacciare il cibo. Rappresenta la forza e il potere autoritario mantenuti dalla violenza e dalla paura.
Dopo un golpe che spodesta Ralph, i cacciatori prendono il potere e Jack instaura un sinistro culto, quello del Signore delle mosche rappresentato da un totem composto da una testa di maiale impalata. L’appellativo nasce dal fatto che attorno al suo muso in decomposizione ronzano continuamente delle mosche. Il totem dovrebbe proteggere la comunità da un fantomatico mostro che i ragazzi si sono convinti abiti l’isola. La paura del mostro legittima il potere dei cacciatori e il loro culto. Quando uno dei bambini scoprirà che in realtà il mostro non esiste – è solo il cadavere del pilota del loro aereo – verrà linciato dai compagni!
Spinti ormai alla pratica dei sacrifici umani (l’assassinio di Piggy) e sull’orlo del cannibalismo, i ragazzi arriveranno a incendiare l’isola pur di stanare Ralph, l’ultimo avversario rimasto tra i dissidenti. I soccorritori arriveranno appena in tempo per fermarne l’uccisione e riportarli nel mondo civile (per mezzo di una bella nave da guerra), anch’esso però sull’orlo della distruzione.
Al loro arrivo, gli adulti non solo troveranno il paradiso tropicale distrutto, ma anche i ragazzi ormai irriconoscibili e regrediti allo stato bestiale, a dimostrazione della precarietà delle convenzioni e delle conquiste civili e alla facilità con la quale l’individuo possa tornare alla condizione di barbarie. L’estrema libertà ha scatenano nei ragazzi desiderio e violenza, dimostrando di non esseri migliori degli adulti impegnati in una guerra mondiale.
Nel 1963 il regista britannico Peter Brook trasse dal romanzo un film omonimo fedele al testo e che ne ricalca pienamente l’atmosfera e lo stile. Certa critica lo definì troppo soft rispetto al romanzo, con la violenza lasciata fuori campo. Il film in realtà risulta inquietante e terrorizzante nella sua semplice linearità. Girato in bianco e nero e con macchina da presa a mano, rende credibile l’incredibile trama nera di Golding. Gli attori bambini, inoltre, sono magnifici e magnificamente diretti.
Nel 1990 venne prodotto un nuovo adattamento cinematografico, questa volta americano, diretto da Harry Hook. L’azione si sposta da un non molto lontano futuro all’epoca in cui il film fu girato. I ragazzi non sono studenti di un college ma cadetti militari. Invece delle facce normali ma vere del film precedente, qui i protagonisti appaiono come dei ragazzotti precocemente palestrati. Il bianco e nero del film precedente si trasforma in un technicolor da spot di un villaggio vacanze. Sembra più un film in stile Laguna Blu dove la metafora politica è bandita: i giovani sono vittime di un incidente qualsiasi, naufraghi in un paradiso in cui, tra un’abbronzatura e l’altra, qualche cattivo soggetto cerca di prendere il controllo della situazione. Alla fine arrivano i nostri e questi sono ovviamente Marines.
Più di recente, si è parlato di un interessamento da parte del regista italiano Luca Guadagnino nel voler realizzare una nuova versione del romanzo.
Roberto Azzara
(Caltagirone, 1970). Grande appassionato di cinema fantastico, all'età di sette anni vide in un semivuoto cinema di paese il capolavoro di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”. Seme che è da poco germogliato con la pubblicazione del saggio “La fantascienza cinematografia-La seconda età dell’oro”, suo esordio editoriale. Vive e lavora a Pavia dove, tra le altre cose, gestisce il gruppo Facebook “La biblioteca del cinefilo”, dedicato alle pubblicazioni, cartacee e digitali, che parlano di cinema.