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I BlaBlaBla sul futuro – 2: Le città

I BlaBlaBla sul futuro – 2: Le città
I BlaBlaBla sul futuro, prima parte ci ha presentato  lo schema classico dei film di fantascienza, soprattutto quelli inglesi e americani. Vanni Mongini si è concentrato sulla notevole somiglianza della lotta contro i sovietici degli amglo-americani, con la guerra terribile contro gli alieni. In questa seconda parte si conclude il breve saggio di Vanni, con l’analisi delle città nei film di fantascienza.

 

Uno degli elementi che caratterizza la società del futuro definendone anche i profili architettonici e urbanistici, è la diversità sociale tra gli individui. Infatti, questa diversità sociale viene radicalizzata e portata all’esasperazione in numerosi film, tra i quali primeggia il già citato Metropolis, archetipo formale e artistico di tutte le utopie negative che verranno

Il problema della radicalizzazione della diversità sociale si gioca non solo sul terreno della stratificazione delle classi, le quali sono magari destinate a scomparire lasciando il posto a razze diverse, come i Robot, Alieni, Replicanti, Androidi o i demoniaci fanciulli de Il Villaggio dei Dannati, molto più alieni di qualunque essere ameboide. La diversità sociale si vede soprattutto nella trasposizione spaziale e architettonica delle differenze sociali.

Per cui possiamo dire che l’architettura urbana significa e esemplifica la struttura sociale. Infatti, si assiste ad una stretta corrispondenza fra organizzazione spaziale urbana e organizzazione politica che si risolve poi nell’affermazione del principio di una struttura spaziale centralizzata e gerarchica.

Possiamo quindi dire che assistiamo a trasposizioni e adeguamenti temporali che sono tipici delle utopie classiche, dove sono evidenti i riferimenti alle città-stato rinascimentali, trasportati in scenari futuri più o meno lontani.

Possiamo quindi affermare che Metropolis (1926), Nel 2000 Guerra o Pace (1936), Nel 2000 non sorge il Sole, L’Uomo che Visse nel Futuro (1960), Orwell 1984 (1984), e altri ancora, sono esempi tipici del principio di identità tra struttura spaziale e organizzazione politica o di potere.

Il centro della città è spesso in enormi e sontuosi palazzi, magari in cima ad una collina, dove si colloca il potere, lo Stato Centrale, il Comando di Polizia, le Istituzioni e le residenze magnatizie.

Tutto intorno e naturalmente più in basso, è un pullulare indescrivibile di razze perennemente alla ricerca di qualcosa che non trovano mai. Una massa a volte amorfa, più spesso affamata e sporca e altre volte imbestialita e feroce, ma comunque sempre disumanizzata e anomica. L’individualità è un residuo del passato e quando affiora viene soffocata senza pietà.

In alcuni film questi asociali vengono collocati, o preferiscono vivere, ai margini delle Città-Stato.

Un tiranno straccione domina ciò che resta di un’umanità semidistrutta da guerre e malattie negando la scienza e la tecnologia in Nel 2000 Guerra o Pace? noto anche come La vita futura.

Mentre magari da un’altra parte abbiamo una società di telepati mutanti e di scimmie che adorano l’ultima bomba atomica esistente come in L’Altra Faccia del Pianeta delle Scimmie di Ted Post.

Ciò che rende drammaticamente vero il futuro rappresentato in questi e in altri film, è la mancanza di scansione temporale tra il presente e il futuro delle ambientazioni che di solito si ottiene con scenografie particolari e effetti speciali, che qui mancano; soprattutto nelle visioni della città presentata in molti film, la quale non sarebbe altro che una delle nostre attuali, moderne e sofisticate città con la loro disumanizzazione e l’estraneità dei suoi abitanti.

Il regista ottiene il salto temporale soprattutto manipolando i rapporti umani, ampliandone e proiettando i segni negativi e disumani, latenti o manifesti, già presenti nella nostra società.

Lo sfascio, la stessa decadenza della società odierna elevata a potenza, rappresentano la cornice ideale per avvenimenti fantascientifici, ma probabili.

Per lungo tempo la città sembrerà l’unica scenografia possibile del cinema di fantascienza. Una scenografia ridondante di oggetti, reperti e rimasugli di un’epoca e di un sistema contrassegnati da una inevitabile entropia sociale in cui la violenza è arrivata a sostituire ogni altro rapporto umano e dove la stessa “umanità” è sostituita da esseri che di umano hanno solo le sembianze.

La città è il laboratorio ideale per sperimentare sul campo le previsioni apocalittiche dei sociologi.

Possiamo quindi dire che la Fantascienza è abbastanza certa che il nostro futuro sarà sovrappopolato, solo che altrettanto certe e angoscianti sono le misure e i metodi per risolverlo.

La negazione della sfera affettiva e sessuale sembrerebbe quindi la soluzione più probabile. Soprattutto se si considera che negare la sfera istintuale e affettiva di un individuo significa privarlo della propria individualità e della propria identità.

Le alternative a questi sistemi sociali sono essenzialmente due, opposte tra loro ma accomunate da un aspetto che si rivelerà come la tipica espressione di una cultura che nasce da una società fortemente individualista. Come la società americana.

Innanzitutto, la ribellione al sistema è sempre un fatto individuale, svincolato da un processo culturale di presa di coscienza diffusa e di interiorizzazione della propria funzione e ruolo nella società.

L’eroe è sempre solo e i percorsi che lo conducono alla ribellione non nascono mai dalla “condizione popolare di sempre” presente nella società.

Possiamo citare ancora l’esempio di Winston Smith in Orwell 1984 nel quale è l’amore che fa scattare in lui la molla della ribellione e sarà lo stesso sentimento per Clarissa che condurrà Montag ad abbandonare il corpo di polizia e ritirarsi nella foresta diventando un uomo-libro in Fahrenheit 451 di Francois Truffaut (1966).

La ricerca della verità, che il potere nasconde, è la ragione che porta Zed alla ribellione in Zardoz di John Boormann (1973), mentre la scoperta dell’inganno lo indurrà alla vendetta.

Potremmo quindi affermare che la ribellione al sistema delle distopie non è mai un fatto di classe, ma solo il risultato di un gesto individuale, di un atto di coraggio o anche di pazzia di un eroe nello stile di Don Chisciotte.

Le alternative sono essenzialmente due: un ritorno a un passato edenico, al mito del buon selvaggio nel quale la scienza e la tecnica non trovano posto così ben riassunto dal capo dei “Vampiri” Jonathan Mathias in 1975: Occhi Bianchi sul Pianeta Terra quando si rivolge a Neville, l’ultimo umano sopravvissuto:

Barbari?! E tu osi chiamare noi barbari? Sì, è un appellativo giustificato perché noi intendiamo distruggere quel mondo che voi, gente civilizzata, avete costruito. Noi vogliamo cancellare la storia dal momento in cui le macchine e le armi hanno rovinato più di quanto non abbiano offerto, e quando tu sarai morto l’ultimo residuo vivente dell’inferno sarà scomparso per sempre…”

Oppure la fuga verso l’ignoto e una incertezza che il più delle volte significa ambiguità (Gli Avventurieri del Pianeta Terra, Alphaville, ecc…) o la fine di tutto (Brazil).

Un ignoto gravido di incertezze e perplessità è la reale alternativa alle terrificanti società del futuro che molti autori propongono nelle loro opere. Altri invece non disdegnano un ritorno all’Arcadia tentando di gettare un ponte sopra un futuro assurdo e invivibile restaurando una società di tipo naturale come la comunità degli Uomini-Libro. Si tratta però di sistemi chiusi che non interagiscono fra loro e non danno vita a nuovi sistemi, al massimo è consentito uno scambio di elementi tra di loro.

È per queste ragioni che le due alternative alle utopie negative che solitamente vengono prefigurate nel cinema di fantascienza in generale e nella più matura filmografia inglese in particolare, sono, in ultima analisi, negative. E questo perché in primo luogo la fuga pone l’individuo di fronte ad un’incertezza complessiva, soprattutto se si pensa che chi fugge lascia alle proprie spalle l’unica realtà esistente e conosciuta senza avere nessuna reale alternativa.

Inoltre, il rifiuto della società che spesso si concretizza nella fuga, diviene automaticamente un rifiuto di se stessi e questo determina inevitabilmente un problema di rigenerazione e rimodellazione della propria identità.

In secondo luogo, perché proporre un ritorno, sempre drastico e doloroso al passato, significa rinunciare al futuro e al presente e quindi, anche in questo caso, rinunciare alla propria personalità ridefinendola alla luce di nuovi parametri sociali e relazionali.

Queste, in sostanza, sono le uniche alternative, che si pongono di fronte agli eroi delle distopie e ambedue sono connotate negativamente da un’ambiguità di fondo che le unisce e le sostanzia.

C’è da dire una cosa, però: in questo contesto l’ambiguità assume la forma del dilemma paradossale e contrariamente alla contraddizione il dilemma non consente possibilità di soluzioni alternative per mezzo delle quali ci si può sottrarre a situazioni spiacevoli.

Infatti, l’opzione tra la fuga verso l’ignoto e ritorno al passato impone comunque sofferenze e instabilità. Di solito, infatti, l’eroe che si incontra nelle distopie di SF compie una scelta per quanto dolorosa e ardua possa essere.

Il problema vero nasce, invece, nel momento stesso in cui lo spettatore, dopo essersi identificato con l’eroe solitamente protagonista del film, ripensa alla propria condizione e al proprio presente.

Come porsi nei confronti del futuro? È un evento da desiderare o da rifiutare? È da rifiutare, evidentemente considerando anche che non si lascia molto spazio al dubbio e alla incredulità.

Il futuro non può essere che così, pertanto allo spettatore di Sf non resta che “rifugiarsi” nel presente e programmare sul breve termine la propria vita.

Il presente e il quotidiano sembrano non solo il luogo ideale per sublimare l’ansia e la paura generale della visione di un futuro terribile, ma anche un luogo in cui vivere, sic simpliciter.

 

L’immagine di copertina è tratta da un articolo di Enkey, che ringraziamo.

 

Vanni Mongini
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Tra i maggiori specialisti mondiali di cinema SF (Science Fiction) è nato a Quartesana (Fe) il 14 luglio 1944 e fino da ragazzino si è appassionato all'argomento non perdendosi una pellicola al cinema. Innumerevoli le sue pubblicazioni. La più recente è il saggio in tre volumi “Dietro le quinte del cinema di Fantascienza, per le Edizioni Della Vigna scritta con Mario Luca Moretti.”

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