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A BOLOGNA, MAI!

A BOLOGNA, MAI!

Il Racconto della Domenica

Il titolo fa riferimento a una famosa affermazione di Fruttero e Lucentini che osteggiavano la nascita di una letteratura di fantascienza italiana, asserendo che un disco volante che atterrasse a Lucca non sarebbe stato credibile.

Luigi era una bel tipo padano, tendenzialmente nullafacente e per lo più interessato a fare bisboccia al bar con la sua pletora di amici debosciati come lui. Serate in cui era assolutamente bandita ogni forma di intelligenza e di savoir-faire.
La vita, tanto per confermare la convinzione di alcuni sulla sua natura profondamente ingiusta, con lui era stata assai generosa.
Dopo aver concluso le scuole medie a fatica, Luigi aveva lavorato, poco, come commesso in un negozio di dischi di un suo prozio. Il povero imprenditore sopportò a fatica il suo parente poltrone, che si imboscava in continuazione a dormire nel fondo del magazzino o che lasciava il negozio in anticipo molto spesso accampando le scuse più assurde, quando tutti lo vedevano benissimo, poco dopo, bellamente seduto ai tavolini del suo bar preferito, in via Castiglione. Il negoziante stava quasi per licenziarlo, ma dovette rimandare la draconiana decisione perché si venne a sapere che il ragazzo stava per sposarsi. Gettare sul lastrico due giovani sposi non avrebbe giovato ai suoi affari.
La malcapitata promessa sposa, figlia di una sesta cugina della madre di Luigi, si chiamava Luisa e veniva da una famiglia che una volta era stata ricca, ma poi era caduta in disgrazia. Per quei dissesti il padre era morto di dispiacere e la madre lo aveva seguito a un dipresso.
Rimasta sola e senza un soldo, la giovane trovò appetibile persino quello scansafatiche di Luigi, il quale, ai suoi occhi, aveva almeno un lavoro. Si celebrarono delle nozze coi fichi secchi ovviamente. Prima su a San Luca per il fatidico sì, poi in una trattoria di quarta categoria. Ma i giovani erano felici. Lei aveva trovato un porto, relativamente sicuro, e lui una che “gliela dava”, cosa che all’epoca per un ragazzo come lui era una cosa più unica che rara – anche perché i bordelli statali erano stati chiusi da poco per, a suo dire, l’infelice iniziativa della signora Merlin.
Asserire che la ragazza non aveva niente, però non era del tutto esatto. Dalla madre aveva ereditato alcuni terreni ghiaiosi vicino al fiume Savena. Inizialmente si credeva che non valessero nulla, perché si trattava di siti dove non si poteva coltivare né in alcun modo edificare. Ritagli di terra inutile di cui non aveva voluto occuparsi neanche il curatore fallimentare del padre. Invece, negli anni seguenti, con il boom edilizio, quella ghiaia crebbe spaventosamente di valore, assicurando alla coppia anni di introiti molto elevati.
Luigi si licenziò, con gran sollievo del suo prozio, e non dovette mai più lavorare in vita sua. Cosa che, per Luigi, rese drammatico e urgente il tema su cosa fare della sua vita. Ci pensò un po’ e decise che avrebbe trascorso la sua esistenza per lo più con gli amici al bar, mentre sua moglie ben presto decise che l’unico modo di vivere felice era cornificarlo allegramente.
Una sera Luigi si ritrovò in bicicletta in aperta campagna, era andato a controllare uno dei suoi terreni, dove stavano eseguendo altri scavi e le maestranze gli avevano fatto far tardi. Il tramonto lo sorprese a mezza via e presto l’uomo si ritrovò immerso nel buio e sovrastato dalle stelle, con l’unica incerta guida del fanalino della bici.
Fu passando dalle parti della tenuta di Guarino, un tipo che gli stava un po’ antipatico, che notò un forte bagliore che proveniva da dietro i filari di cipresso che delimitavano la sua proprietà. Luigi aveva sempre pensato che Guarino si desse al contrabbando e decise di andare a vedere. Se lo avesse colto in flagrante avrebbe potuto denunciarlo ai carabinieri e togliersi un bel peso dallo stomaco – da quella volta che Guarino lo aveva sbeffeggiato di brutto, in terza elementare.
Ciò che vide dietro gli alberi, invece, lo lasciò a bocca spalancata.
Era indubbiamente un disco volante, ben fornito di luci e lucette che sembravano rischiarare a giorno il circondario. Luigi pensò bene che quello non era esattamente il posto dove avrebbe dovuto essere e, sempre con la bocca aperta, fece qualche passo indietro.
Quando fu sicuro che nessuno lo avesse scorto si girò per fuggire a gambe levate e si trovò di fronte un alieno.
Ciò che Luigi fece non era esattamente ciò che ci si sarebbe potuto aspettare.

Un’ora più tardi, Luigi fece irruzione al Bar in compagnia di un tizio tutto infagottato in un capotto, coperto su fin sopra alla testa.
C’erano tutti, Acquadella, il Plomma – così detto per la sua peculiare avarizia – Pompeo, Sghino ed il Cele – che aveva preso quell’appellativo un giorno, in cui uscendo da un negozio nel bel mezzo di un sommossa, si era preso una sonora manganellata in fronte da un poliziotto, allora comunemente definito celerino.
«Oh, regazz, guardate moh cosa vi ho portato!» esclamò Luigi e strappò il cappotto, che poi era il suo, da sopra al suo accompagnatore che si scoprì essere l’alieno.
In effetti quello era nudo, anche se non palesava organi imbarazzanti. La sua pelle era rugosa e grigia e sul testone rotondeggiante spiccavano dei grandi occhi totalmente neri. Gli astanti, quasi fosse un male contagioso, lo fissarono con le bocche totalmente spalancate.
«Sócc’mel,» fece Sghino, rompendo l’incanto. «Ma l’è propri brott!»
«L’ha ‘na faza,»
«Ma l’è n’oman o un cinno?» chiese Pompeo. «L’è un po’ snin.»
«Ma dai, Pompa! Vuoi che mandino un bambino in giro per la galassia?» rispose Luigi. «Anche se è basso è sicuramente un adulto
Acquadella, invece ora sembrava arrabbiato.
«Ma te… sei scemo!» sbottò all’improvviso sporgendosi verso Luigi. «Magari c’è in corso un’invasione planetaria e tu ce lo porti proprio qui al bar! Ma in testa mi sa che non c’hai un neurone neanche a pagarlo. Quello magari ci attacca un qualo, una bella malattia spaziale e siamo tutti nella cacca fino al collo.»
Luigi lo guardò sprezzante. Gli aveva portato un divertimento coi fiocchi e quello adesso faceva il timoroso. Ma il Cele gli andò dietro:
«O porca. Hai ragione Pompeo. Mi sa che abbiamo un c’ero di ventidue metri e quelli della polizia domani ce lo ficcano in quel posto
«Ma vi ascoltate quando parlate!?» esplose Luigi. «A sentirvi anche le sedie si mettono a ridere. Mettiamo in chiaro le carte subito. Questo tipo non farebbe male a una mosca. Mi è parso piuttosto spaesato e così ho deciso di portarlo qui e vedere se sa giocare a bigliardo
L’idea piacque un botto.
Gli spiegarono le regole gioco a gesti e quello non era poi così scemo, tanto che capì subito cosa doveva fare. Era anche abbastanza bravo a maneggiare la stecca, così Luigi lo sfidò in una partita che risultò epica. Alla fine la spuntò e venne portato in trionfo dagli amici per tutta la sala.
Poi si stufarono e con un calcione cacciarono l’alieno fuori dal bar, poco prima dell’orario di chiusura.
Nei giorni seguenti, gli alieni discussero a lungo sull’eventualità di disintegrare la Terra, ma ci fu un attacco galattico da parte degli orioniani e non se ne fece più nulla.

 

L’immagine di copertina è World © di Giorgio Sangiorgi

Giorgio Sangiorgi

Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.

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