Sarah Pinsker: Canzone per il nuovo giorno
Il presente articolo esce in contemporanea su Nuove Vie e su Cose da Altri Mondi, come abbiamo fatto altre volte, per una collaborazione tra le due WebZine.
Sarah Pinsker è una scrittrice che non conoscevo prima che vincesse il premio Nebula di quest’anno con il romanzo A Song for a New Day. Non sono un biografo, ma mi pare che Sarah sia oltre che scrittrice anche una musicista.
Abito dappertutto, ma dico che la mia casa è a Baltimora. Ma chi se ne frega. Ho abitato in quaranta stati diversi, ho suonato in venti e sono stata anche cinque anni in Canada. Ho cominciato a scrivere racconti il giorno in cui mi hanno regalato il primo computer, a sei o sette anni: ho la sensazione che quello fosse il primo computer esistente in Texas.
All’epoca niente Internet e la vita era quasi priva di distrazioni. A sei anni avevo scritto tantissimo. A tredici ho messo assieme la mia prima band, cioè quando, non per caso, mio cugino Phillis mi ha regalato la prima chitarra. La band si chiamava Hellbound Train (Treno per l’Inferno) e una nostra canzone era appunto Hellbound Train. Ma non ne voglio parlare qui.
Il mio primo album è stato Charmed, prodotto dalla SONiA of disappear fear […] La mia Band Stalking Horses, nel 2007 ha fatto un album intitolato This is Your Signal, per una simpatica etichetta indie che si chiama The Beechfields […]
Questa breve biografia, è utile per comprendere il senso e il ritmo del libro.
La storia inizia nel momento in cui un’ondata di terribili attentati a stadi, teatri, cinema, obbliga il governo a chiudere qualsiasi centro che possa generare assembramento. Inoltre, poche pagine dopo, si viene a sapere dell’esistenza di un terribile virus. La vicenda si svolge in due momenti diversi: il mondo chiamato Pre, cioè prima del disastro e il mondo Post. Anche i protagonisti sono due: c’è Luce Cannon, una donna che vive chiaramente nel Pre, suona la chitarra, compone canzoni e si esprime in prima persona: è il personaggio principale. Al momento in cui la incontriamo non è ancora famosissima, ma parrebbe sul punto di diventarlo.
Nel Teatro che vediamo all’inizio, il suo nome è già riportato a lettere luminose sull’insegna. Ed è in quel momento che tutto succede: uno stadio di baseball è fatto esplodere provocando migliaia di morti. Poi, come detto, scopriremo anche il virus, ma non subito. Il lockout provocato dagli attentati, crea nell’animo di Luce un irrefrenabile bisogno di musica. È disperata e va a New York per trovare una sua amica che suonava la batteria nella sua band. Spera che a New York i controlli siano meno rigidi. La sua intenzione sarebbe quella di esibirsi, perlomeno, in un piccolo club che le offre un pubblico di undici persone. È qui che la sua amica si ammala. Ed è qui che le cose si complicano.
In contrapposto seguiamo la storia del Post, come lo vive una ragazza che si chiama Rosemary Laws, la quale lavora in una sorta di iper magazzino virtuale chiamato Superwally: nessun contatto fisico con i clienti, consegne fatte dai droni. Il personale lavora da casa. Del resto è così che il mondo è cambiato.
La vita vissuta attraverso olovisori sembra normale a Rosemary: in questo senso si può dire che è l’esatto opposto di ciò che vorrebbe Luce. Se a quest’ultima manca il contatto con il pubblico, Rosemary vive in modo più che normale la mancanza di qualsiasi contatto. La storia si dipana tra Luce che cerca di vivere a modo suo frequentando piccoli, se non infimi club di jazz e pop e Rosemary che cambierà mestiere e cercherà di promuovere su una gigantesca piattaforma olovisiviva i concerti segreti in cui proprio Luce si esibisce.
Qui la parte più importante è il modo di concepire la vita tra quelli del periodo Pre e la generazione del periodo Post. Lo stesso problema che abbiamo oggi in quest’epoca di pandemia. La generazione di Luce vive rinchiusa in casa, tranne una minoranza, tra cui Luce stessa, che non ha paura di quella specie di vaiolo che ha colpito l’umanità (pox). O quanto meno vuole ‘vivere’. La generazione di Rosemary ha vissuto solo chiusa in casa e ritiene pericoloso, se non addirittura delinquenziale vivere in mezzo alla gente. Esattamente ciò che succede oggi. Nel racconto, invece, Rosemary, ha deciso di osare, uscire per un lavoro sul campo, ma ha inizialmente tutte le paure della sua generazione:
Mentre tornava al suo albergo, un tale starnutì proprio nel momento in cui le passava accanto. Probabilmente lo starnuto non la raggiunse, ma Rosemary sentì prudere la pelle per tutto il percorso. E alla fine dovette utilizzare la sua intera riserva d’acqua per quel giorno, per lavare se stessa e i suoi vestiti.
Sarah Pinsker produce qui una storia notevolissima. Il lettore ha davvero la sensazione di essere ‘dal vivo’, di provare tutti gli effetti della tensione che un’artista ha sul palco e di tutto ciò che passa nella sua testa.
Allo stesso modo (oggi più che in altri momenti), viviamo la paura e il coraggio del virus e la battaglia per liberare se stessi dalla paura. Decisamente attuale la storia, anche se, quando Sarah Pinsker ha scritto il romanzo probabilmente non si era in pandemia, che è peraltro descritta con precisione e sensibilità incredibili. L’unica cosa a cui Sarah non ha pensato, sono le mascherine!
Di fantascientifico c’è solo l’ambiente. Eventi in diretta con proiezioni nella mente che fanno sentire le persone al centro all’evento stesso. Di questo si occuperà Rosemary, vera rappresentante del genere Homo Spettacularis. Potrei definire questo romanzo più che un’avventura, una sorta di ricerca sociale e, anche se normalmente non apprezzo troppo questo genere, devo ammettere che la qualità qui è davvero eccellente.
La generazione di Luce vive in un mondo del tutto incomprensibile per Rosemary. Il che trascende anche le pandemie possibili.
È sempre un confronto tra vecchia e nuova generazione, come dice la stessa madre di Rosemary quando le racconta: “andavamo al cinema assieme a centinaia di persone e con migliaia di spettatori vicini gli uni agli altri negli stadi.”
Ecco la vera chiave di questo straordinario romanzo, che in effetti non so se possa definirsi di fantascienza. Per lo meno non secondo il vecchio modo di concepirla!
Franco Giambalvo
Appassionato di fantascienza da sempre, ma ha scoperto di esserlo in quarta elementare quando lo hanno portato a vedere "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin: era il 1953 e avrebbe compiuto nove anni in quell'autunno. In seguito ha potuto scrivere con l'aiuto di Vittorio Curtoni e ha pubblicato un romanzo, del tutto ignorato, dagli Editori e dai lettori. Ma non si lamenta troppo: ama la fantascienza!