Mario Luca Moretti, tra cinema e letteratura
Ci presenti Mario Luca Moretti? Gioie e ‘dolori’ di un appassionato di fantascienza…
Gioie sono sicuramente il sense of wonder e la scoperta di realtà alternative che nascono da un genere che per sua natura combina uno sfondo reale (il suffisso “scienza”) e una sua rivisitazione fantastica (il prefisso “fanta”). Direi che il fascino del genere, per quanto mi riguarda, nasce proprio da questa combinazione. I “dolori” nascono dal fatto che per molto tempo il genere è stato considerato, più che di nicchia, qualcosa di simile a una degenerazione mentale. Era difficile trovare persone con cui condividere questa passione, parlarne, scambiarsi pareri o preferenze, anche se almeno in un caso, quando è successo, è nata una delle amicizie più importanti della mia vita, e si tratta di un mio compagno di liceo, di un paio d’anni più grande di me. Stranamente non ci conoscemmo a scuola, ma in una libreria della mia città che era fornitissima di libri fantascientifici. Con l’esplosione del cinema di sf questo pregiudizio è andato scomparendo, ma il boom del cinema di sf non mi sembra si sia trasmesso alla letteratura, se non per casi sporadici come Philip K. Dick o Ray Bradbury. In compenso negli ultimi anni con i social si sono aperte molte porte e possibilità di contatti. Io stesso posso dire che grazie a Facebook e ai blog ho potuto stringere diverse amicizie, sia virtuali che concrete, con appassionati e scrittori sparsi per l’Italia.
La passione per la fantascienza viene condivisa od osteggiata dalla tua famiglia?
Dipende dai membri. Mio fratello, ad esempio, era un appassionato di fumetti di supereroi e trovava un’affinità con la mia passione per la sf. Il resto della mia famiglia d’origine era perplesso, ma alla fine si è adeguata, tanto più dopo che qualche soddisfazione “concreta” me l’ha portata. Per quanto riguarda mia moglie, direi che mi appoggia, perché, come me, vede nella sf una specie di sfida intellettuale, uno stimolo a superare i limiti del conosciuto.
Quali sono i tuoi interessi oltre alla fantascienza?
La musica in ogni sua forma, dalla leggera alla classica, dal jazz alla sperimentale. E letteratura e cinema in generale. Non leggo libri e non guardo film solo di sf. E una combinazione di entrambi è la passione per le colonne sonore cinematografiche. È vero che almeno metà della musica per il cinema non ha senso al di fuori dello schermo, ma l’altra metà ha al suo attivo autori come Ennio Morricone, Bernard Herrmann, Nino Rota, Georges Delerue che meriterebbero di essere ascritti fra i grandi della musica.
Quali sono stati i tuoi primi scritti di fantascienza o di cinema?
In seconda media la nostra insegnante di italiano ci dette come tema “Scrivi un racconto di fantascienza”. E io lo scrissi, non ricordo che voto presi. Al liceo scrissi, sempre come tema, una recensione di Blade Runner che ricevette una lode dal professore. Poi un lungo oblio che risale fino al 2015, quando cominciai a scrivere recensioni di film sulla mia pagina FB, incoraggiato da mia moglie che vedeva in me uno scrittore mancato. Questi primi scritti furono notati da Alessandro Iascy, che mi chiese di collaborare al suo blog Andromeda, e così ho cominciato a entrare veramente nel “giro”.
Come è nata la collaborazione con Vanni Mongini?
È anch’essa figlia di FB. Conoscevo il suo nome fin da bambino, quando leggevo i suoi primi articoli su Il Corriere della Paura, una rivista a fumetti degli anni Settanta che pubblicava anche vari articoli. Col senno di poi, credo che quegli articoli abbiano avuto un certo influsso sulla formazione dei miei gusti e sull’approccio non solo critico ma anche informativo, cioè su come vengono girati i film, sui loro retroscena. Qualche anno fa un nostro amico comune, Luca Magnoli, oggi musicista a tempo pieno, ma che per oltre 20 anni ha posseduto una videoteca che era un punto di riferimento per i cinefili di tutta Italia, mi suggerì di chiedere l’amicizia di Vanni su FB. Lo feci e cominciammo a corrispondere. Ci incontrammo una prima volta a Volandia, il museo del volo di Malpensa, dove presentò il suo libro L’universo in celluloide. Qualche giorno dopo mi arrivò un suo messaggio in cui mi chiedeva se volevo scrivere un libro con lui. Rimasi incredulo a fissare quel messaggio non so per quanto tempo, poi gli risposi di sì con tutto l’entusiasmo che si può mettere in un messaggio telefonico. E così è nato Dietro le quinte del cinema di fantascienza.
Il saggio “Dietro le quinte del cinema di fantascienza” è finalista al Premio Vegetti 2020, che ne pensi?
Un’emozione fortissima, un’enorme soddisfazione e gratificazione. Tanto più se si considera che è il mio primo libro, sia pur in collaborazione. Evidentemente Vanni e io abbiamo fatto un buon lavoro, che è stato apprezzato da un certo numero di lettori. E questo mi sembra già un bel risultato.
Fra le notizie citate, c’è qualche aneddoto particolare e curioso?
Ce ne sono molti, dal momento che la lavorazione di un film è sempre un evento che coinvolge un grosso numero di persone, con i relativi sforzi e contributi, creativi, professionali, economici, e con le passioni umane che ne conseguono: amori, amicizie, rivalità. Sul set di un film, ma anche prima e dopo, in fase di pre e post-produzione, succede veramente di tutto. Fra tutti i film che citiamo, quello che mi ha più colpito in questo senso è forse il film polacco Sul globo d’argento. Fu girato fra il 1976 e il 1977, ma lasciato in sospeso e completato nel 1988. La lavorazione fu travagliatissima. Per dirne solo alcune, il regista sottoponeva il cast a tour de force tali che un attore si ruppe deliberatamente una gamba pur di lasciare il set. Il direttore della fotografia inventò la steady-cam senza volerlo: si legò la cinepresa al petto e fece alcune riprese correndo e con l’obiettivo spalancato a 360°; in una di queste corse, senza protezioni, verso delle esplosioni che simulavano una pioggia di meteoriti. Altri episodi curiosi riguardano la lavorazione del primo Terminator, che era di fatto un film di serie B che solo il regista James Cameron prendeva sul serio. Il film fu girato con tale povertà di mezzi che la troupe doveva essere pronta in qualunque momento a nascondersi dalla polizia di Los Angeles perché non aveva nemmeno l’autorizzazione a girare per le strade.
Il tuo prossimo libro sarà ancora un saggio o un romanzo?
Il mio prossimo libro è già completato e uscirà fra breve, ancora per le Edizioni Della Vigna. S’intitola Ricordi di ROBOT ed è un saggio che racconta la storia della prima edizione della rivista ROBOT, quella uscita fra il 1976 e il 1979. È stata una bella esperienza anche sul piano umano, perché mi ha permesso di conoscere molti dei collaboratori di quella rivista e di rievocare quello che secondo me è stato il vero periodo d’oro della fantascienza italiana, gli anni Settanta, e di ricordare Vittorio Curtoni, direttore della rivista e figura chiave di quel periodo.
La cooperazione con Vanni Mongini continua? Con quali progetti?
La collaborazione continua eccome, e credo proficuamente. Attualmente in fase di scrittura è Remake & Reboot (titolo provvisorio), con il quale affrontiamo il cinema di sf da un punto di vista particolare, ovvero quello dei film che hanno avuto dei remake nel corso degli anni. Ci occupiamo sia di cinema che di televisione, e per me è stato impressionante scoprire quante versioni diverse uno stesso soggetto abbia avuto non solo passando da un periodo a un altro o da un mezzo a un altro, ma anche da una nazione a un’altra. Quanti conoscono la versione sovietica di Fahrenheit 451° o l’anime giapponese di Starship Troopers? Sono scoperte che anche io e Vanni abbiamo fatto e visionato documentandoci per il libro. Un altro progetto che abbiamo insieme, ma ancora in fase di definizione, riguarda i film di fantascienza che trattano il tema dell’ecologia. È prevista la collaborazione di altri due autori, ma per il momento non dico altro.
Il momento più emozionante come scrittore/saggista?
Ne vorrei citare più d’uno. Sicuramente quando Vanni mi messaggiò la sua richiesta di collaborazione, come dicevo prima. E poi la giornata passata allo SpaceCon di Modena nel 2018. Allora vidi per la prima volta il nostro libro stampato, con il mio nome in copertina: un’emozione fortissima che credo qualunque scrittore abbia vissuto alla sua “prima volta”. E la prima copia fu comprata da Roberto Azzara, che conobbi in quell’occasione, dove lui presentava il suo libro La fantascienza cinematografica. La seconda età dell’oro. E poco dopo salii sul palco a parlare del nostro libro. E al mio fianco c’era uno scrittore già affermato come Maico Morellini. Insomma una sfilza di prime esperienze tutte in una volta.
Manuela Menci
Manuela Menci è nata a Firenze il 22 aprile 1952 e ha continuamente collaborato alle ricerche per i saggi del marito Giovanni Mongini. Con La Fantascienza su Internet, si è impegnata in prima persona nella ricerca dei cortometraggi, serial e film che appaiono nel volume pubblicato dalle Edizioni Della Vigna: una guida per tutti quegli appassionati di piccole rarità che cinema e TV non riescono a colmare.