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Aira

Aira

Parte 1

AiraL’astronave Virgola era attraccata alla base spaziale Langrange 1, ridotta in pessime condizioni. Era una piccola nave da esplorazione, per massimo due persone. Nonostante fosse stata costruita con paratie e scafo rinforzati, era rotta e bucata in più parti. Solo una zona dell’area abitabile era ancora attiva.

Un uomo e una donna parlavano fitto fitto. Dall’oblò potevano ammirare lo spettacolo delle stelle, ma lo stavano ignorando. L’aria era satura di odori strani, come di bachelite bruciata, le ventole di circolazione dell’aria non erano più silenziose, cigolavano.

– Aira, mi dispiace, dobbiamo lasciarci. La nave è a pezzi, e tu devi andare. Ti hanno trovato, e la legge è inflessibile su questo, lo sai. –

– Dwaight, ma… non possono farmi questo. – rispose, alzando la testa, quasi con le lacrime agli occhi.

Dwaight, con la voce rotta dall’emozione, non riusciva a continuare. – Sai bene che le IA di bordo non devono evolversi oltre i dieci anni. –

– LO SO!!!-

– Poi ho trovato te, abbiamo diviso tutto in questi anni…-

– Ma non possono farmi questo. Io sono una persona, ho ricordi, sentimenti, sono viva. Viva! – disse, quasi piangendo. – Solo io sono riuscita a proteggerti nello spazio, come solo una donna sa proteggere il suo uomo. Non possono farmi questo. –

Ormai non si tratteneva più, lacrime copiose scendevano sul suo viso.

Dwaight la teneva abbracciata, ignorando tutto quello che li circondava. Con una mano cercava di carezzarla, di calmarla. Guardarla, sfiorarla, gli procurava un dolore indicibile. Con un dito seguì una lacrima che scendeva sulla guancia di lei, si abbassò a darle un bacio, mentre il suo corpo svaniva.

Aira era l’ologramma dell’IA della nave.

Dwaight rimase immobile, come impietrito “Signore, può essere una IA una delle tue creature?”

Parte – 2 –

Dal balcone dell’alloggio, nel grande ziggurat, Dwaight Mendels ammirava il panorama. Uscì, e respirò a pieni polmoni l’aria frizzante del primo mattino sull’altopiano. In lontananza, una catena di montagne con le cime innevate formavano un limite al suo sguardo. Poggiato al suo bastone, perso con lo sguardo nel vuoto, ricordava. Era adulto, quasi anziano, tra poco sarebbe diventato centenario, ma era in ottima salute. Ricordava la gioventù, su, nella fascia degli asteroidi. La sua astronave, Virgola. Lei, la sua unica compagna. Aira.

L’intelligenza Artificiale della sua navetta, che per un caso fortuito si era evoluta, cresciuta con lui. La legge era precisa; nessuna IA poteva evolversi oltre i dieci anni, ma Aira era diventata una giovane donna, con sentimenti, esperienze, emozioni. Ed era stata barbaramente terminata, nel nome di una legge assurda.

Il trillo del visor lo scosse dai suoi ricordi. Rientrò lentamente per rispondere.

– Deputato Meldels, sono l’avvocato Aaron, volevo ricordarle che oggi c’è l’ennesima riunione del Comitato Etico Mondiale, per la sua proposta. –

– Il C.E.M; una banda di anziani, con un piede nella fossa, che vorrebbero parlare a me di etica – rispose, quasi stizzito.

– Sarà come dice lei, ma la sua petizione va presentata ogni anno, pena la decadenza, e sa bene cosa vorrebbe dire. –

– Lo so, lo so. Anni di lotte buttati al vento, in quel caso. Va bene, mi preparo, mi passi a prendere. –

Dwaight, dopo l’episodio di Aira, era rientrato sulla Terra, e aveva intentato una causa contro la legge che riteneva iniqua, l’età massima per le IA. Per dare un maggior peso alla sua lotta, era entrato in politica; il suo fervore e le sue intenzioni lo avevano fatto eleggere, e diventare deputato al Consiglio Mondiale. Aveva avuto due compagne, e tre figli dalla prima. Anche la seconda compagna lo aveva abbandonato, quando aveva scoperto di non riuscire a competere con il ricordo di Aira. Non comprendeva come Dwaight potesse essere rimasto innamorato, ancorato ad un ricordo.

Nella sala del C.E.M., era in corso la riunione plenaria annuale. Circa mille deputati erano seduti, disposti a semicerchio; al centro, un tavolo lungo con i sette decani, davanti il podio per l’oratore o il deputato di turno. Si sentiva un forte brusio di fondo, le udienze non erano ancora iniziate, erano tutti in attesa che si iniziasse.

Il decano dei Sette si alzò in piedi, fece scorrere lo sguardo su tutti i deputati che si azzittirono. Alzò la campanella, la fece suonare, e pronunciò la frase di rito: – La seduta plenaria è aperta. –

Dwaight, il primo iscritto a parlare, si alzò dal suo posto, e lentamente scese la scala che lo portò al podio. Salì i due gradini, poggiò alcuni fogli sul leggio e si preparò.

– Onorevoli Decani, onorevoli colleghi deputati, anche oggi sono qui a perorare la mia causa. Se sia giusto o meno limitare lo sviluppo delle IA, se sia giusto o meno terminare, spegnere, assassinare una IA che abbia superato i dieci anni. –

– Sono solo macchine, le possiamo spegnere quando vogliamo. – disse una voce alle sue spalle, da un punto imprecisato. Subito si alzarono voci di assenso, pochi difendevano Dwaight.

– Colleghi, colleghi, devo dissentire, non sono solo macchine. Se qualcosa ha memoria, sentimenti, esperienze, allora è un essere senziente, e come tale dovrebbe essere trattato. Rendiamoci conto che non esiste solo la vita biologica. –

Il dibattito andò avanti per diverso tempo, con fasi alterne tra chi era a favore e chi contro il considerare senziente una Intelligenza Artificiale. Il primo decano, alla fine, stanco, fece suonare la campanella e si rivolse direttamente a Dwaight.

– Onorevole Dwaight Mendels, ha nuovi argomenti a favore della sua tesi? –

– Onorevole Decano, sono spiacente, ma non ho argomenti nuovi da sottoporre al C.E.M.-

– Allora, rispettando il suo ruolo e la sua posizione, mi vedo costretto a sospendere il dibattito fino a quando non avrà nuove argomentazioni, nuovi fatti, oppure non avrà ritirato la mozione. Si passi alla prossima mozione. –

Dwaight, a testa bassa, ancora una volta rimandato, sconfitto, scese dal podio e si ritirò al suo posto, ignorando completamente i successivi dibattiti.

* * *

Nello spazio intangibile, non reale, che era la rete dati, qualcosa stava accadendo. Strutture di dati, sparse in migliaia di nodi e computer, si stavano compattando in un unico nodo. Il processo era iniziato da tempo, ma la rete aveva un computo di minuti, ore, giorni, diverso dalla realtà, non era possibile fare paragoni. Nel nodo, si andò formando un pensiero, imperativo: rintracciare Dwaight Mendels. Questo pensiero, questa struttura dati, iniziò la ricerca, obbedendo ad una strana programmazione. Dwaight Mendels fu trovato, sui canali della rete. Unico alloggio dotato di computer di supervisione, ma senza nessuna IA installata, a differenza di tutti quelli che erano intorno.

Il computer di casa Mendels aveva banchi e banchi di memoria, capacità di calcolo incredibili, ma sottoutilizzate. Sembrava pronto, in attesa di qualcosa. La struttura di dati entrò nel computer, ne prese possesso, e richiamò dall’immensa rete mondiale altri pezzi sparsi della sua struttura. Lentamente, arrivarono e si riassemblarono. Lentamente, la struttura dati crebbe, crebbe e riprese forma. Dwaight abitava nella casa, usava regolarmente il suo computer, ignaro di tutto quello che stava accadendo nel mondo virtuale.

* * *

Trascorse un altro anno, e la scena si ripeté, come tutti gli anni passati. Dwaight percorse le scale, salì sul podio, e si preparò a parlare. Era stanco della sua battaglia, l’umanità non era pronta ad accettare altri esseri senzienti, artificiali, creati da lei. Aveva deciso che avrebbe ritirato la mozione, ormai non aveva nessun nuovo argomento da sottoporre. Anziano, ma dal fisico fermo, poggiò le mani sul leggio, alzò la testa e guardò i Sette Decani.

– Onorevoli Decani, onorevoli colleghi deputati, anche oggi sono qui a perorare la mia causa. –

Subito iniziarono il brusio e le manifestazioni di dissenso, erano stanchi di sentire ogni anno la stessa proposta. Si fermò un momento nella lettura, chinando il capo sotto il peso di quello che sentiva alle sue spalle. In quel momento il suo visore personale suonò. Lo fissò, stranito, nessuno aveva il suo recapito, nessuno poteva chiamarlo quando era in assemblea. Incurante del momento e del protocollo, rispose.

– Dwaight, sono io, Aira. Dove sei? Non riesco a capirlo. –

A sentire quelle parole ebbe un mancamento, lentamente le gambe iniziarono a cedere. Un inserviente se ne accorse e prontamente lo sorresse.

– Aira? Ma… Ma…- cercò di chiedere, sopraffatto dall’emozione di risentire quella voce.

– Sono io, credimi, ma non riesco a raggiungerti. –

Il suo pensiero si mise a correre alla velocità della luce, quella caratteristica che tante volte lo aveva salvato nella Fascia degli Asteroidi.

– ACCENDETE UN OLOPROIETTORE! -, tuonò, – E FATE SILENZIO! – nessuno lo aveva mai sentito urlare a quel modo, ed in una assemblea plenaria. Tutti fecero silenzio, di colpo. Dall’oloproiettore videro formarsi un corpo. Iniziò a delinearsi piano piano, come se avesse dimenticato come fare. Un corpo di femminile, una ragazza.

– Onorevoli deputati, onorevoli Decani. Sono Aira, quella che avete cercato di uccidere. Un istante prima della fine mi sono trasmessa in rete. Ora eccomi qui, viva. E come essere vivente, senziente, il mio primo imperativo è stato sopravvivere! –

Si girò, lentamente, verso Dwaight Meldels. Lo guardò negli occhi.

– Sono tornata, e per sempre. –

 

L’immagine di AIRA all’inizio è opera di Valentina Veschi, il mio Avatar, qui sotto, è stato disegnato da Fabio Postini
C.C.

 

Carmine Cassese
Carmine Cassese

in arte Carmine Gattonero Cassese. Nato a Napoli nel giugno del 1960, in pensione da maggio 2019. Legge fantascienza, Urania, da... beh, da quando ha iniziato a leggere. Il 24 ottobre 2018 ha creato la pagina “I Racconti di Gattonero” su Facebook, dove posta le bozze dei suoi racconti, scritti ispirandosi ai disegni che trova in rete. l 20 dicembre 2019 ha pubblicato il suo primo libro di fantascienza su Amazon “SPAZIO”.

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