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Fantaimmagine: Manifesti (prima parte)

Fantaimmagine: Manifesti (prima parte)

Questa parte dedicata ai manifesti cinematografici, sarà messa  disposizione die lettori in due puntate successive: la prima adesso, la seconda domenica prossima.

L’articolo è dedicato agli artisti che nei vari decenni ci hanno regalato meravigliose e fantastiche immagini e dovrebbe invitarci ad alcune considerazioni verso un’arte che, senza dubbio, costituisce un bene culturale da conservare e valorizzare e che forse solo oggi ha finalmente avuto i giusti riconoscimenti che merita.

Del resto, chi di noi non ha sognato di possedere la locandina del film amato?

Forse a non tutti questo termine: locandina è molto chiaro, né sa da cosa generalmente è costituito l’insieme di immagini e disegni che passa sotto il generico nome di pubblicità e che segue il film nel suo viaggio attraverso le sale di prima visione per poi passare, già usata, a quelle di seconda visione e per poi finire, riciclata, scarabocchiata e cincischiata, nei piccoli atri dei cineforum o, amorevolmente imbustata nel cellophane, nella casa di un collezionista.

Bene, prima di tutto allora diciamo che la pubblicità di un film è costituita da quella che viene chiamata locandina, la quale è generalmente un disegno, anche di pura fantasia, della pellicola che vuole rappresentare.

È un rettangolo con i lati più corti in alto ed in basso stampato su carta lucida o, come una volta, su carta molto leggera (il suo formato standard è 33cm x 70).

La busta foto è un insieme di immagini: possono essere sei o otto, o dieci, o anche dodici e che dovrebbero rappresentare le scene più intriganti del film (esistono molti tipi di formati ma in genere siamo tra i 35×70 o 50×70).

Spesso sono dei collage se non addirittura delle scene inventate, o anche in seguito soppresse. Naturalmente ognuna di loro riporta il titolo del film, gli interpreti principali e la regia e spesso se ne evidenzia una frase ad hoc.

Facciamo qualche esempio di tali frasi: Nello spazio nessuno può sentirti urlare (Alien). Noi non siamo soli (Incontri ravvicinati del terzo tipo). Più bello di un sogno. Al di là dell’immaginazione (Cocoon). Un’epica e drammatica avventura di esplorazione del cosmo (2001: Odissea nello Spazio). Qualcuno lassù ci sta chiamando… (Explorers) e via di questo passo…

Poi esistono gli affissi, cioè quei disegni composti generalmente da un foglio di grandi dimensioni o da due fogli divisi a metà e grandi il doppio del primo. Il termine due o quattro riveste carattere puramente tipografico: infatti hanno il nome tecnico di Affissi a due fogli il primo e Affissi a quattro fogli il secondo o, più genericamente Affissi a due (140×100) e Affissi a quattro (200×140). Esiste ovviamente anche un raro Affisso a un foglio di cm 70×100.

Questi ultimi sono i più sfortunati in quanto finiscono negli spazi pubblicitari esterni, sistemati nei vari punti strategici della città che il cinema si è riservato.

Poi c’è la pubblicità per i giornali che è composta dai tamponi, una sorta di cliché in cartone che reca l’immagine del film e il tutto è controllato da quello che viene chiamato Visto di Censura: in pratica la carta d’identità della pellicola, la sua lunghezza, la sua trama, se è vietato o meno e, soprattutto, il numero progressivo che gli viene attribuito dal Ministero dello Spettacolo e la data in cui esso è stato rilasciato… la quale non corrisponde quasi mai alla vera data di creazione di un film.

Questo perché, essendo l’ultima cosa che viene fatta a film finito, può passare del tempo, generalmente un anno nel caso di un film straniero, prima che appaia sui nostri schermi.

Non dimentichiamoci mai che il film è preceduto nelle sue uscite cinematografiche dal suo Araldo di sempre, da quella frase particolare che identifica il cinema nella sua essenza: «Prossimamente su questo schermo».

In ultimo, e brevemente, giova ricordare che i film presentati nelle sale cinematografiche sono su supporto di celluloide o di poliestere e hanno il formato standard di 35mm (raramente in 16mm), che corrisponde al formato fotografico del 24×36 e scorre sullo schermo alla velocità di 24 fotogrammi al secondo.

In genere quindi un film della durata di due ore corrisponde a circa duemilacinquecento metri di pellicola quasi sempre ormai conservata in due enormi bobine divise tra primo e secondo tempo.

Non dimentichiamo mai che ancora oggi, la visione tecnicamente migliore che può offrire una sala cinematografica non ha rivali su qualsiasi altro tipo di supporto. Anche se la sala in questione fosse dotata degli impianti adatti e non possedesse macchine da proiezione anteguerra. Al cinema vediamo il film esattamente come lo ha voluto creare il regista, quindi non tagliato ai bordi nel caso dei film in cinemascope e nemmeno tagliato per esigenza di tempi televisivi o per ordine del garante.

La videocassetta è indubbiamente una grande comodità ma spesso snatura la vera realtà del film e lo squallido è che abitua il pubblico ad apprezzarlo nel modo sbagliato.

Ma ora torniamo a noi e alla nostra pubblicità che, fedelmente, segue il film durante quella che ora è diventata una storia molto breve dato che l’uscita cinematografica, in ordine di importanza, è stata soppiantata da quella televisiva e in home video.

I film di fantascienza erano considerati, negli anni ‘50 e per buona parte dei ‘60, un genere minore e per questa ragione spesso le distribuzioni non gli dedicavano la giusta attenzione come invece accadeva per altri generi che invece erano più commerciali e andavano per la maggiore. Curiosamente una tendenza che negli anni ‘80 e ‘90 si è completamente ribaltata.

Sicché, anche dal punto di vista grafico, il manifesto di fantascienza era spesso più povero di un film western, di un noir o di un film in costume.

Nella maggior parte dei casi non erano realizzati da grandi artisti, ma da disegnatori a volte mediocri o più semplicemente composti graficamente con la costante di non illustrare quasi mai il mostro o l’alieno per cercare di suscitare curiosità e interesse verso il pubblico: una scelta spesso discutibile dal punto di vista della spettacolarità del cartellone.

Manifesti: Anselmo BallesterNonostante questo alcuni film minori hanno avuto, graficamente, maggior fortuna di molti classici, perché magari distribuiti da grandi Major che avevano sotto contratto gli artisti di talento più dotati; capita così di rimanere a bocca aperta guardando l’affisso originale de La Terra contro i dischi volanti, film minore il cui manifesto è stato graficamente realizzato nel 1956 da Anselmo Ballester, e di restare più indifferenti di fronte ad un grande classico come La Cosa da un altro mondo disegnato da un anonimo cartellonista.

Le Major che sfruttavano il grande talento di Anselmo Ballester (1897-1974), di Luigi Martinanti (1893-1984) e di Alfredo Capitani (1895-1985) erano spesso la Columbia e la Warner Bros. e, dal punto di vista visivo, i manifesti realizzati da questi tre grandi artisti restano tra i più spettacolari del genere. Non solo in Italia, ma anche a livello mondiale le edizioni italiane di questi tre maestri sono unanimemente riconosciute e considerate.

Anselmo Ballester fu attivo nel cinema fin dagli anni ‘20 e ha firmato migliaia di cartelloni pittorici per più di mezzo secolo.

Abbiamo parlato di pittorici perché in quanto allievo di Padre Federico (che era pittore di origine spagnola e si occupava delle decorazioni e affreschi nell’Ambasciata spagnola) riuscì sempre a dare quel tocco e quell’atmosfera quasi tragica ai colori nei suoi lavori tanto da risultare un vero e proprio dipinto perfettamente miscelato con l’esigenza cinematografica.

Non a caso, spesso, non vi era una vera somiglianza del disegno con i visi degli attori protagonisti, ma questo non era importante: Ballester riuscì sempre a creare attraverso il colore un’atmosfera a volta cupa ma che sapeva catturare l’attenzione di chi guardava il suo lavoro.

Nel campo della fantascienza e del fantastico sono da ricordare i suoi affissi per: L’uomo invisibile, La Terra contro i dischi volanti, A 30 milioni di Km dalla Terra, Uomini dalle nove vite, L’uomo dalla maschera, Il segreto di Mora Tau.

Ma il suo nome è indubbiamente legato ai grandi classici dello schermo quali: Fronte del porto, Ombre rosse, Il segno di Zorro, La Signora di Shanghai, Salomè, Da qui all’eternità, Roma città aperta, Io ti salverò.

Luigi Martinanti fu l’artista di punta della Warner Bros per più di trent’anni.

Abile cromista e dotato di una invidiabile finezza di tocco, riuscì sempre a visualizzare il suo lavoro grazie alle indovinate scale cromatiche.

Nell’ambito del fantastico sono suoi: Assalto alla Terra, Il risveglio del dinosauro, La maschera di cera, Il mostro di Londra, La maschera di Frankenstein e La Terra esplode, ma ancora più degni di menzione sono i suoi capolavori, tutti realizzati per la Warner: Casablanca, Capitan Blood, La carica dei 600, Gioventù bruciata, La valle dell’Eden, Il gigante, La leggenda di Robin Hood e quasi tutti i film più importanti interpretati da Humphrey Bogart, Erroll Flynn, James Cagney, Bette Davis, dagli anni trenta ai cinquanta.

Manifesti: Alfredo CapitaniAlfredo Capitani fu forse meno completo di Ballester e Martinati, ma i suoi manifesti si distinguono per una maggior immediatezza e sono maggiormente assimilabili dal grande pubblico a differenza di quelli in realtà più leziosi di Ballester e realistici di Martinati.

Suoi furono grandi classici come Gilda, Sfida infernale, Gli amori di Carmen, per la fantascienza lo ricordiamo grazie a Il mostro dei mari e Banditi atomici.

 

In copertina Anselmo Ballester e alcune sue opere.

Vanni Mongini
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Tra i maggiori specialisti mondiali di cinema SF (Science Fiction) è nato a Quartesana (Fe) il 14 luglio 1944 e fino da ragazzino si è appassionato all'argomento non perdendosi una pellicola al cinema. Innumerevoli le sue pubblicazioni. La più recente è il saggio in tre volumi “Dietro le quinte del cinema di Fantascienza, per le Edizioni Della Vigna scritta con Mario Luca Moretti.”

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