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TINKER SPLATTER BELL DI ILARIA SALVATORI

TINKER SPLATTER BELL DI ILARIA SALVATORI

 

Impressionante e interessante questa nuova scrittrice, che si presenta con una storia rabbiosa, splatter, un Kill Bill in sedicesimo, con molti personaggi che bambini meno incattiviti hanno già conosciuto leggendo, o guardando al cinema Peter Pan! Tinker Bell è il nome originale di Campanellino, naturalmente Hook è Capitan Uncino e così via. La tenera Campanellino è qui del tutto scomparsa, trasformata in una specie di Angelo Vendicatore che demolisce i disprezzati maschilisti in generale e, soprattutto, quel fottuto e pomposo Peter Pan!

C’era una volta una graziosissima spacciatrice minorenne bipolare e senza voce che veniva odiata da tutti i pusher londinesi per via della sua abilità a spingere la roba.

L’unico che non poteva permettersi di perderla era il capitano della piazza di spaccio, Hook.

Per i suoi sedici anni le regalò un dizionario dell’alfabeto tintinnante e un choker in velluto nero dal quale penzolava un delizioso campanellino che le avrebbe permesso di comunicare con i tossici. La piccola lo indossava sempre; fu così che presto, nel giro, presero a chiamarla Tinker Bell. Un giorno, alla vigilia dell’ennesima epifania rivelatoria, il capitano Hook le disse: – Senti, Tinker Bell ne ho pensata una sporca, eccoti una pasta di Extra Hammer, un triossido di zolfo che sciolto in acqua produce acido solforico. Portala a quel rettile del Cocò [un pericoloso narcotrafficante gay colombiano amante dell’animalier] che mi ha mangiato la mano; so che è a disagio per quel tic tac allo stomaco e con questa si sentirà con un piede in paradiso. Mi raccomando, aspetta che faccia buio e slacciati quell’affare dal collo o ti farai scoprire dai bodyguard. Sono piuttosto suscettibili con gli sconosciuti che si intrufolano nel loro territorio. Non vorrei ti scuoiassero per farti indossare dal loro padrone, saresti très chic ma non lo sopporterei.

– Tintintin tin tintintin tintin tin tintin, tintintin – rispose Tinker Bell con una scampanellio seccato che invitava tutti quanti a non accollarsi, what a fuck.

Il colombiano abitava a due minuti di cammino dai Giardini di Kensington, in una villa poco distante dalla Discoteca che non c’è. La ragazzina ancheggiò nella sua tutina verde acetato, dal buio comparve Peter con un passamontagna sulla faccia. Tinker Bell era una delle poche persone a conoscere l’identità da rapper di Peter aka Pan, che si esibiva in palcoscenico col volto coperto, facendo sold out ad ogni data.

– Yo sis! – disse lui, t-shirt nera sotto a un giubbotto antiproiettile Luis Vuitton e al polso un Rolex Cosmograph Daytona in Rolesor giallo, leggermente too much.

– Yo bro – rispose lei inviando un messaggio su Whatsapp dal suo Android di cristallo.

– Che fine hai fatto, non mi scrivi più, non mi pensi, niente più foto delle tette…

– Credevo fossi troppo impegnato per il sexting.

– E che ci fai tutta sola da queste parti?

– Devo fare una consegna.

E ci vai a piedi a quest’ora? Guarda che stasera c’è un mio concerto non è un bel posto qui, è pieno di bimbi sperduti, – disse il rapper in tono malizioso, dopo aver pensato: Finalmente soli, mia dolce Tinker Bell. Non può succedere nulla se prima vieni un po’ via con me. Big up! Se faccio le cose per bene, ci scappa anche un pompino pre concerto! Si mise davanti a Tinker Bell, le cinse la vita e le sussurrò: – Guarda, Tinker Bell che se prima di andare entri a farti una birra nel mio camerino, non se ne accorge nessuno.

Tinker Bell alzò lo sguardo e si ricordò di quanto fossero sempre stati dannatamente magnetici gli iridi di quel moccioso mascalzone. Pensò: È solo una birra. Hook non verrà mai a saperlo. Entrò in camerino con Peter, prese una birra dal frigo bar e si sdraiò sul divano. Ogni volta che buttava giù un sorso di quella bevanda al luppolo, sentiva allentarsi le briglie dei suoi freni inibitori e tracannando, tracannando, si ritrovò sempre più sbronza con le pareti della stanza che non la smettevano di girare. Peter invece, andò dritto al sodo montandole cavalcioni sul viso con la patta dei pantaloni slacciata.

– Me lo fai un pompino?

– Cosa?

– Voglio che mi fai un pompino adesso e anche veloce perché tra poco devo salire sul palco!

– Ma io credevo solo che volessi bere una birra con me – rispose Tinker Bell, – scusa ma adesso è meglio che me ne vada.

– Se te ne vai faccio vedere a tutti le foto che mi mandi.

Il rapper le bloccò i polsi con le mani provocando la caduta in mille pezzi dell’Android.

– Anche se la lingua non la usi per parlare, non ci credo che non puoi farla vibrare bene sulla mia cappella.

Tinker Bell gli diede un calcio sulla schiena, spinse il moccioso via dal suo corpicino di fata e d’un balzo gli fu addosso. Affondò le dita mignon nelle cavità oculari di Peter con una tale violenza che lo sbalzo della pressione fece esplodere gli occhi del farabutto come pop corn. Una sagola viscida composta da umor vitreo, umor acqueo, sangue e tessuti sclerali imbrattarono il passamontagna. Peter si dimenava in modo così patetico da sembrare Pity il bello dei Simpson. Tinker Bell sfilò le dita dai bulbi e si accanì sulla testa insaccata di Peter con l’uncino di una gruccia trovata sulla rella nell’angolo. Colpi sfrigolanti e stridenti sulle ossa del cranio gli frantumarono le mucose in un etto purpureo di macinato vivo. Trascinato il corpo al centro della stanza, si frugò nelle tasche della tutina e prese a disossarlo con un coltellino Wenger multiuso. Poi azzannò il torace come fosse un gigantesco bignè e ne ingoiò i pezzi. Il dolore acutissimo costrinse il rapper a vomitare la svizzera di bovino con cui aveva cenato.

Nel frattempo il sangue che sgorgava dalle ferite da taglio, aveva imbrattato tutto intorno. Tinker Bell gli aprì l’addome ed ebbe tutto il tempo di allestire sulla moquette una mostra estemporanea di visceri d’artista rosso-bluastri. Peter defecò per riflesso involontario prima di perdere i sensi. Un odore nauseante saturò la stanza. Tinker Bell irritata dal puzzo, avvicinò la bocca all’inguine di Peter, lo castrò con un morso deciso e alzò in aria lo scroto come un trofeo. Peter si risvegliò lanciando urli strozzati in preda a emozioni miste e stavolta Tinker Bell soffocò i suoi strilli infilandogli il suo stesso cazzo in bocca. Poi applicò la lama del Wenger al polso destro di Peter. L’osso scricchiolò con un fruscio che gli fece accapponare la pelle. Era come se qualcuno si fosse messo a scarabocchiare su una lavagna con un coccio. – Pan mancano dieci minuti! – tuonò qualcuno da fuori.

Tinker Bell non fece in tempo a rabbrividire che subito Peter approfittò per colpirle a casaccio il viso con il braccio sano che gli restava. La piccola annaspò con gli occhi ruotati verso l’alto, aggrappandosi a quello che trovava e sparpagliando in giro pezzi del rapper. Quando poi riuscì ad alzarsi da terra con le gambe tremolanti, barcollò in punta di piedi fino alla porta e la dischiuse quel tanto che bastava per vedere a chi appartenesse quel vocione mefistofelico. Dall’altra parte un omaccione nerboruto con le braccia piene di peli e una maglia con su scritto Staff aspettava a braccia conserte che qualcuno rispondesse.

– Pan, mi hai sentito? Silenzio.

– Pan, ti stai facendo una canna? Silenzio.

A quel punto le venne una buona idea. Raggiunse di nuovo Peter gli recise la trachea per impedirgli di soffocare, asportò la laringe e pizzicandone con maestria le corde vocali ne cavò il ritornello della sua traccia più famosa, prevista in chiusura di scaletta al concerto di quella sera.

– Ok bro, scusa. Ti lascio scaldare in pace.

La piccola ridacchiò vedendo la mano amputata che se ne andava a zonzo per la stanza cercando di attirare l’attenzione del nerboruto, scossa da contrazioni cloniche autonome. Si spostò da sola continuando a sbattere sulle pareti per almeno due minuti, prima che le contrazioni cessassero del tutto. Quindi Tinker Bell soddisfatta e contenta, finì di segare il resto del corpo in pezzi da 2,5×5 cm con il coltellino svizzero, disponendoli in fila come tessere del domino.

In quel momento Capitan Hook, stava passando davanti alla Discoteca che non c’è. Sentendo tintinnare il campanellino di Tinker Bell, che nella colluttazione era caduto dalla tasca della ragazzina entrando di diritto a far parte di quel quadro viscerale espressionista, s’insospettì, entrò dal retro nel camerino di Peter e la vide.

– Eccoti qui, mia piccola pussy! – esclamò. – Ero ansioso di sincerarmi che stessi bene!

Avrebbe voluto prenderla a schiaffi per le condizioni in cui riversava il camerino di Peter, ma gli venne in mente che sgridarla per non aver saputo contenere i suoi istinti, non sarebbe stata una buona idea. Si sarebbe offesa scappando per sempre, lasciandolo senza la migliore spacciatrice di Londra. Diede un’occhiata allo scenario sanguinolento e in mezzo alle interiora gonfie e livide riconobbe la sagoma del campanello. Lo asciugò con un lembo della giacca in velluto cremisi che indossava e fece un nodo intorno al collo di Tinker Bell.

– Tintintintintin tin? Tin tintin tin!

– Lo so che ti sei spaventata! E sì che era tutto calcolato, tu eri l’esca per il rapper marmocchio e io avrei portato la pasta a casa del Cocò.

– Tintintin tintin tin tintin?

– Certo sciocchina che la pasta ce l’avevi tu, ma non era quella giusta, a te avevo dato un analgesico oppioide. – rispose Capitan Hook.

– Sapevo che avevi un debole per Peter, così ti ho seguito e ho aspetto di vederti entrare qui dentro per avere campo libero con il colombiano. Non hai idea della fatica che ho fatto, non voleva morire!

– Tintintitntin tin tintintin tintin!

– Non essere drammatica Tinker Bell, pensa piuttosto che ce ne siamo tolti due in un colpo solo.

– Tintintin tintintin tintintintin tintin!

– Di diamanti te lo compro il prossimo Android, dammi la mano gioia, torniamo a casa.

Questo racconto è World © di Ilaria Salvatori. All rights reserved

Ilaria Salvatori

È nata a Roma nel 1991. È laureata in Cinema e arti della visione al Dams di Roma Tre e ha un diploma d'Arte Drammatica presso la scuola di recitazione Teatro Azione. Nel 2016 ha vinto il premio Hombres Itinerante nella sezione racconti mentre il suo racconto La strada di Lucignolo è stato pubblicato nell'antologia "È meglio scrivere..."

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